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Arabia saudita:in arrivo legge antiterrorismo

Nel paese del Golfo, sarà considerato un atto terroristico qualsiasi azione volta a “mettere in pericolo l’unità nazionale” o a “danneggiare la reputazione dello stato”. La proposta di legge, se passerà, afferma Amnesty International, soffocherà qualsiasi atto di dissenso politico.

(23 Luglio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

Arabia saudita:in arrivo legge antiterrorismo

foto: www.nena-news.com

DI BARBARA ANTONELLI

Roma, 23 Luglio 2011 – Nena News - Reclusione minima di 10 anni a chi mette in dubbio l’integrità del monarca, del principe o della famiglia reale. Detenzione fino a 120 giorni (che può essere prolungata da un giudice), in isolamento, senza processo né assistenza legale. Punizioni inasprite che includono anche la pena di morte: questo rischia chi è accusato di aver compiuto un “atto terroristico”. Peccato però che sarà considerata un atto terroristico qualsiasi azione volta a “mettere in pericolo l’unità nazionale” o a “danneggiare la reputazione dello stato”; vale a dire qualsiasi atto di dissenso politico, già fortemente limitato nel paese del Golfo alleato di Washington.

La proposta di legge, per ora segreta, ma che potrebbe essere approvata a breve, ruota infatti intorno ad un’interpretazione estesa di ciò che può essere etichettato come “atto terroristico”, cedendo il passo quindi a possibili abusi. Se entrerà in vigore, minaccia di soffocare qualsiasi tipo di dissenso nel paese del Golfo: a lanciare l’allarme è l’organizzazione in difesa dei diritti umani Amnesty International che ha ottenuto una copia della proposta di legge (http://www.amnesty.org/sites/impact.amnesty.org/files/PUBLIC/Saudi%20anti-terror.pdf).

Nessun commento ufficiale finora da Riyadh; per Mohammed Al-Qahtani, a capo dell’associazione diritti civili in Arabia Saudita, intervistato dalla britannica BBC, approvare questa legge significa dare ancora di più mano libera al “ministero degli interni, per fare ciò che vuole; controllerà la magistratura e la pubblica procura, mentre è già incaricato del sistema giudiziario”.

Mahjoob Zweiri, professore di storia del Medio Oriente all’Università del Qatar, intervistato da Al Jazzera ha spiegato che “non si tratta di una nuova legge” ma di una proposta iniziata 5 o 6 anni fa con una discussione più ampia sulle leggi in vigore nel paese, focalizzate a colpire le crescenti minacce della presenza di gruppi qaedisti.

“In nome della lotta al terrorismo, questa legge pone una seria minaccia alla libertà di espressione” ha detto Philip Luther, vice direttore di Amnesty International, area Medio Oriente e Nord Africa. “Anche atti di dissenso pacifico, potrebbero essere bollati come terrorismo”. Inoltre fa notare Amnesty, va contro gli obblighi internazionali che il governo saudita ha preso, siglando alcune convenzioni internazionali come quella delle Nazioni Unite contro la tortura.

Del resto a Riyadh vige la pena di morte e i documenti sulle violazioni del governo saudita a danno dei più basilari diritti umani, da parte di organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International si sprecano; nell’ultraconservatore paese del Golfo, i partiti politici sono vietati, a metà della popolazione (le donne) non è permesso di guidare, e il timore che questa legge –alla luce delle proteste che hanno infiammato altri paesi della regione – offra alle autorità i poteri per arrestare e punire chiunque sia sospettato di dissentire, non è infondata. Fa anzi da contraltare alle misure di sostegno sociale che il re Abdullah bin Abdul Aziz, al potere dal 2005, ha preso per contenere l’espandersi sul territorio di possibili proteste. Che a dire il vero sono rimaste limitate alle provincie orientali, quelle dove più forte è la presenza sciita, come nella città di Qatif, e dove maggiore è lo stato di povertà. Per placare le manifestazioni contro la crescente disoccupazione (il 20%, ma secondo altre fonti il 40% tra i giovani, in un paese i cui due terzi della popolazione sono sotto i 30 anni) il monarca saudita ha attuato una manovra da 100 miliardi di dollari in programmi di assistenza sociale, in primis finanziamenti per mutui e creazione di posti di lavoro. Dall’altro lato ha però mostrato intransigenza verso le proteste che, quando non vietate, sono finite con arresti di massa: secondo Human Rights Watch, negli ultimi mesi, da febbraio, il numero degli arresti è drammaticamente aumentato.

Che però il sistema politico in Arabia Saudita sia tutt’altro che democratico e che il potere rimanga sostanzialmente in mano alla dinastia Al Saud e ai clan familiari ad essa collegati, non importa all’amministrazione USA per cui conta di più la politica filo-occidentale e le risorse petrolifere presenti nel paese. Per questo l’ultraottantenne monarca, spaventato sulla facilità con cui Washington ha “scaricato” i capi dei regimi che prima erano considerati alleati strategici, in primo luogo l’ex rais egiziano Mubarak, ha represso le manifestazioni, che pure di massa non erano, e dall’altro lato ha avanzato ingerenze nei paesi più interessati dalla “primavera araba”: non è un caso che le truppe saudite siano intervenute in Bahrein per mettere fine alle proteste, e ancora è in Arabia Saudita che il destituito presidente tunisino Ben Ali si rifugiò a gennaio; ed è sempre nel regno saudita che è attualmente corso il presidente yemenita Saleh a curarsi (letteralmente) le ferite dopo l’attentato dinamitardo che ha colpito il suo palazzo. Nena News

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