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Palestina, il sogno d’uno Stato bussa alla porta Onu

(27 Agosto 2011)

Palestinesi

I palestinesi l’agognano, gli israeliani la temono. E’ la risoluzione delle Nazioni Unite che nel mese di settembre potrebbe riconoscere unilateralmente uno Stato Palestinese quale 194° membro dell’Onu. L’idea, che nei mesi scorsi ha fatto riavvicinare i due partiti di Fatah e Hamas, sarebbe una mossa che spiazzerebbe qualsiasi politica dell’attesa (su questo tema) e del fatto compiuto (sugli insediamenti) attuata dal governo Netanyahu e subìta dall’amministrazione Obama. Ma non è detto che vedrà luce. Al di là degli schieramenti di sostegno e contrarietà che in Italia ha prodotto, ad esempio, la raccolta di ottocentomila firme di cittadini pro e l’opposizione trasversale di 150 parlamentari, affinché la Palestina diventi membro effettivo l’Assemblea Generale Onu dovrebbe esprimere un voto favorevole di due terzi. Fatto estremamente difficile che si possa verificare, ma soprattutto dovrebbe ricevere l’assenso del Consiglio di Sicurezza. E qui già si sa che gli Stati Uniti, condizionati dalle lobbies dell’Aipac e dell’Aief, porrebbero il veto. Una via di mezzo può diventare il riconoscimento come semplice Stato, cosa che in realtà già esiste visto che 122 Paesi hanno rapporti coi diplomatici dell’Anp, ma ratificarlo ufficialmente sarebbe un importante e simbolico passo politico per Abu Mazen e uno smacco per la leadership di Tel Aviv. Un nodo centrale può essere quello dei tanto dibattuti confini precedenti alla guerra dei “Sei Giorni”, ribadire che la nazione palestinese è quella segnata dalle carte antecedenti al 1967 vuol dire puntare il dito sull’illegale occupazione dei Territori perpetuata dall’Esercito israeliano. Vuol dire restituire Gerusalemme est alla popolazione araba, una parte della città da cui i palestinesi continuano a essere espulsi con espropri e abbattimenti di case a vantaggio di nuovi condomini israeliani o delle immense colonie, come Ma’ale Adummim, costruite nell’ultimo ventennio.

Uno Stato Palestinese all’Onu potrebbe far soppesare giuridicamente le ripetute azioni belliche compiute dall’Idf non solo contro presunti terroristi ma verso la popolazione civile e farle considerare crimini contro l’umanità. Nella maniera in cui il rapporto Goldstone non è riuscito a fare. In contrapposizione Israele tesserà la sua tela diplomatica per disattivare il pericolo (per lui) di un’operazione politica internazionale tanto dirompente, puntando sulla vecchia arma della divisione del nemico. Il capro espiatorio resta Hamas con l’aggiunta del microcosmo del Jihad palestinese che ha generato nei giorni scorsi nuove azioni armate e la consueta pesante risposta d’Israele. Ma pur colpendo civili e bambini Tel Aviv ha limitato un uso generalizzato della forza. Gaza che, dopo i fatti di Eilat ha subìto nuovi bombardamenti e distruzioni, ha contato le sue vittime soprattutto fra i combattenti controllati a distanza da droni o sul territorio dagli agenti dell’Intelligence. Così sono stati eliminati uno dei capi dei Comitati di Resistenza, Kamal al-Nairab, e delle Brigate di Al Aqsa Abu Isnaimah più altri militanti. Proprio perché la partita diplomatica che coinvolgerà le Nazioni Unite è una scadenza dietro l’angolo si cerca di privilegiare l’arma politica. Una prima tregua lanciata e subito violata è stata ribadita da una seconda di ieri alla quale dalla Striscia aderiscono sia Hamas sia Jihad. Dunque fermi gli F16 e fermi i razzi Qassam. Mentre il ministro della difesa Barak intervistato da The Economist ha annunciato che a seguito di accordi presi col governo egiziano quest’ultimo schiererà nel Sinai propri reparti armati - prevalentemente uomini, non carri – coi quali controllare componenti guerrigliere beduine che possano ripetere azioni come quella dello scorso 18 agosto. Il Sinai è smilitarizzato dai tempi dell’accordo di Camp David, ma gli eventi dei giorni scorsi conducono Israele a rivedere le sue posizioni. Secondo il Mossad dalla caduta di Mubarak il pericolo qaedista è aumentato.

26 agosto 2011

Enrico Campofreda

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