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25 Aprile: quale resistenza?

(25 Aprile 2004)

Come ogni anno, il 25 aprile si scende in piazza. Sarebbe miope, però, non considerare il cambiamento di clima culturale degli ultimi tempi, dimenticarsi di aver assistito ad un attacco complessivo nei confronti della Resistenza. C'è infatti chi ne ha negato il valore, riducendola, da fenomeno di mobilitazione popolare, a lotta di una minoranza contro un'altra. Ora, non si può dire che questo discorso abbia vinto: il revisionismo, dopo aver furoreggiato, è entrato in crisi. Però, qualche effetto lo ha sortito. Come si è arrivati alla riabilitazione "etica" dei repubblichini che, pur sbagliando, erano mossi da una spinta sincera? E' semplice: si è assunto lo sbandamento che è seguito all'armistiziodell'8 settembre del '43, come momento di crisi della patria, cui sarebbero state date due risposte. L'una, errata, perché in fondo comportava la soggezione ai tedeschi, fu Salò. L'altra, in cui l'amor patrio trovò la via del riscatto, fu la Resistenza. In sostanza, attualmente, si fanno proprie alcune istanze revisioniste ma senza rinunciare al valore della lotta partigiana. Lorsignori si sono resi conto che, proprio in questo momento - in cui si sta trasformando l'assetto della repubblica, apportando serie modifiche alla Carta del '48 - non si può fare a meno di miti fondativi e quindi la resistenza se la tengono stretta! Magari ne adattano la lettura al nuovo che avanza. Ma ciò non implica una rottura totale con l'interpretazione ufficiale del '43-'45, quella codificata dall'ANPI e condivisa dai partiti della sinistra storica. Certo, viene meno l'originario richiamo alla giustizia sociale e si aggiunge una inedita comprensione verso i repubblichini. Però in fondo, si estremizza la tradizionale idea del Secondo Risorgimento. Ovvero, di un moto sostanzialmente volto a perseguire la cacciata dello straniero, a rendere un dato definitivo l'unità della penisola.

Insomma, proprio in lontani discorsi delle "forze di progresso" stanno i germi dell'attuale considerazione della resistenza tra i miti fondativi di questo paese. Di un paese, peraltro, che oggi vuole contare nel mondo. L'Italia, rammenta enfatico Ciampi, dopo la resistenza ha aderito alla NATO ed ha costruito l'Europa. Ora, quindi, partecipa alle imprese militari - in Serbia, in Afganistan, in Iraq - fiera di essere un cardine dell'Occidente. Sulla scia di questa retorica, poi, si giunge sino all'apologia del ruolo dei carabinieri a Nassiriya. Omettendone la funzione repressiva verso chiunque alzi la testa, ed esaltandone l'umanità, superiore, si dice, a quella dei militari USA. Peraltro, questa mistificazione serve anche a superare l'imbarazzo generato dalla dipendenza dai comandi americani. E' infatti opinione di Ciampi e dei principali quotidiani, che i nostri ragazzi la propria funzione imperialista la svolgerebbero meglio in missioni coordinate dall'ONU ed in cui l'UE abbia un ruolo di rilievo ed un peso nella spartizione dei bottini.

Ora, il discorso sin qui svolto rivela che l'opposizione al bellicismo e la rivendicazione del vero senso del moto partigiano, sono due temi che si intrecciano. Una vera lotta contro la guerra, non può limitarsi a constatare la sempre più evidente arroganza yankee, deve fare i conti con l'imperialismo di casa nostra, cercando di scalfire quel patriottismo che spinge a considerare gli italiani "brava gente" anche quando fanno i mercenari. A tal fine, può risultare appunto utile una visione della guerra partigiana diversa, lontana da qualsiasi menata sul riscatto nazionale e tale da ricordare che in essa molti non combattevano solo l'occupante nazista, desiderando il definitivo regolamento dei conti con chi sostenne il regime di Mussolini. Di più, va precisato che le spinte che la attraversarono non furono tutte rappresentate dalla Carta del '48, che privilegiò quelle che potevano essere mediate con gli interessi di chi (la Chiesa, il grande capitale) aveva abbandonato il fascismo solo in prossimità del suo tracollo. Già assai costretta come fondamento culturale della prima repubblica, figuriamoci quanto la resistenza possa giustificare l'ordinamento attuale!

Il fatto è che nel '43-'45 si iniziò a parlare una lingua nuova, che rompeva, memore della barbarie del ventennio, con ogni nazionalismo. Una lingua impregnata dei principi di solidarietà internazionale e di eguaglianza, meno lontana di quanto non si pensi da quella propria di chi - in varie parti del mondo - si batte oggi contro quella logica di sterminio che distingue l'imperialismo.

Roma, 25 aprile 2004

Corrispondenze Metropolitane - Collettivo di controinformazione e di inchiesta

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