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Eric Hobsbawm

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(11 Ottobre 2012) Enzo Apicella

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Un Ricordo di Vittorio Tranquilli. Comunista, cristiano, internazionalista (1925-2012).

(12 Luglio 2012)

Ci conoscemmo a metà degli anni ’90, e il nostro incontro coincise con la pubblicazione de “Il secolo breve” di E.J. Hobswam. Erano gli anni della fase più acuta del conflitto in ex Jugoslavia.
Partimmo in tre, destinazione, campo profughi di Varazdin, nella neo proclamata Repubblica di Croazia.
Le luci della periferia romana alle spalle, il bagagliaio della tua auto improbabile-sarebbe stato un miracolo arrivare solo al Raccordo Anulare- pieno di lettere di studenti delle scuole della Capitale, destinate ad uno dei primi “gemellaggi” di una lunga serie. La Penisola scorreva tra fiumi di chiacchiere e caffeina.
La toscana ed i suoi cipressi, la bassa emiliana con le sue luci al neon e le sue cascine dirute: sui muri in rovina, “w Stalin” sbiaditi dal tempo, appena leggibili. Non indugiavi mai sul passato senza pensare al futuro. Per questo , a ventisei anni, mi facevi sentire tanto più vecchio dei tuoi sessantanove, ben portati per tutto il Novecento e ben oltre.
L’alba ci sorprese alle porte di Trieste, tra i paesaggi drammatici del Carso. Un capriolo saltellava a pochi metri dall’autostrada. “Vedi, questo fatto delle Foibe... Rispetto per le vittime innocenti a parte, mi fa pensare che, prima di puntare l’indice sui nazionalismi altrui, sarebbe buona cosa denunciare quello del proprio Paese…”
L’arrivo in una vetusta caserma asburgica, riconvertita a ricovero per profughi dalla Bosnia Erzegovina. I primi contatti con scuole elementari del campo e dei villaggi della Slavonia. “Gospodin, gospodin” –“Signore”- nella commozione, affiorò la tua prima incazzatura in questo viaggio, e sbottasti in faccia alla nostra accompagnatrice-traduttrice: “Un bambino è fratello di ogni altro bambino, anche serbo…”
Il ritorno, bagagliaio vuoto e testa piena di progetti. “Ancora i nazionalismi, ancora una volta schermo delle manovre delle grandi potenze. Nel 1914 i Serbi erano le vittime innocenti da vendicare, oggi, gli unici colpevoli da combattere…”
Le tue impressioni, sui limiti del mondo pacifista e della sinistra italiana ed europea nell’elaborare una analisi adeguata dei conflitti nei Balcani, furono confermate in seguito, dopo il nostro secondo viaggio in quelle terre “bombardate” dai jet, come dai media, e, ancor più tragicamente in seguito, nell’annus horribilis 1999, che vide un Paese europeo sotto attacco militare dopo oltre mezzo secolo.
Ci siamo visti poche volte, da allora. O meglio, tutte le volte che avevi voglia di rivedere qualche tuo vecchio compagno di viaggio, anche se breve. Il tuo interesse per le persone era capace di attraversare i continenti ed i paesi in guerra, senza farti dimenticare il tuo quartiere. Le ultime volte-sono passati diversi anni, da allora- mi parlavi di come fossi riuscito, assieme a validi collaboratori, a bucare il muro dell’indifferenza nei confronti dei “paria” serbi. “Come osi, italiano, farti vedere qu i, tornatene ad Aviano”- ti urlò un giorno sul muso un pope ortodosso di una cittadina devastata dalle bombe della NATO e dell’Italia centro-sinistrorsa. ”Ce n’è voluto, ma alla fine siamo diventati amici, ed anche i ragazzi sono stati fantastici, dopo tutto quello che GLI stiamo facendo..”
“Aveva il naso
appuntito come te, vero? E portava gli occhiali spessi..” questa mia domanda ti fece commuovere, per una volta vidi il tuo naturale senso del decoro lottare per ricacciare indietro una lacrima, mentre ti svelavo come, avendo carpito dai tuoi rari racconti il nome del tuo compagno di gioventù massacrato, lo fossi poi andato a trovare alle Fosse Ardeatine.
“Tra queste case, quando ero studente al Visconti, feci un comizio volante. Era il ’44… Mi misi una tuta da operaio sopra il vestito della domenica e...i fascisti si trovarono davanti un ragazzo di buona famiglia che si era perso in periferia..” Il tuo aspetto da gentleman britannico ti salvò anche dalle botte della celere di Scelba nel dopoguerra. La tua sensibilità, dall’invecchiare per tutta la vita.
“Insomma,
incontro ‘sto vecchio compagno sudamericano con un passato da guerrigliero in una metropoli africana; oggi fa il funzionario della Banca Mondiale. Gli dico: Ma tu parli sempre di ‘sto mercato, legge di mercato, mercato globale... Bè, qui, a pochi isolati da noi c’è uno dei più grossi mercati di bestiame dell’Africa occidentale. Ci sei mai stato a dare un occhiata per vedere come funziona?..”
Non ci riuscivi proprio, negli anni in cui eri di casa in ogni continente, a dimenticare il dramma della disoccupazione, la tragedia della droga nel microcosmo di Tiburtino III. Non c’era miseria umana né catastrofe della Storia, che ti distogliesse dal tuo Marx e dal tuo Sant’Agostino.
Amavi il Latino; ricordo il modo che trovasti per comunicare con un vecchio prete croato. Dopo aver tentato –invano-con l’inglese e un po’ di tedesco, gli scrivesti una lettera in puro latino ciceroniano, con citazioni da Tertulliano…
Per questo scelgo il tuo Marziale per salutarti, Vittorio.
Sit tibi terra levis.
Addio, Caro Compagno. O, se avete ragione voi credenti,
Arrivederci.

Leonardo Donghi

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