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Egitto, fallimenti e liquidatori

(3 Luglio 2013)

Elbara

Anche analisti non teneri con la Fratellanza egiziana - com’è giusto essere davanti a una dirigenza autoreferenziale, poco flessibile e scarsamente rodata - non possono esimersi dal definire golpe, magari soft ma comunque autoritario quello che si prospetta al Cairo nelle prossime ore. Si dice per evitare il massacro dei due Egitti-contro, più che laico e islamico due pezzi del Paese che rifiutano di parlarsi prim’ancora di lottare per la supremazia. L’anno di governance della Confraternita è stato un periodo di occupazione di potere che ha visto i propri uomini piazzati e investiti in affari privati più che risolutori almeno di qualcuno dei gravissimi problemi che affliggono 90 milioni di cittadini, una buona fetta anche di propri elettori. Un potere occupato comunque col consenso dell’urna. Ma l’opposizione Tamarod, che ha spinto sino al parossismo la disobbedienza civile verso l’odiato “fratello presidente”, non appare in grado di vagliare e dirigere alcun Esecutivo né massima carica dello Stato, non tanto con l’ennesimo giovane tribuno assurto a notorietà (l’ultimo per la cronaca è Mohmoud Badr, virgulto d’un avvocato attivista), ma neppure col navigato camaleonte Mohammad ElBaradei.

Questi, diventato portavoce unico della protesta anti Mursi, non assumerà alcun incarico ufficiale, come aveva già fatto nella prima fase della Rivoluzione del 25 gennaio. Lui preferisce suggerire, sa che il potere logora e quello dei tempi di rivolta logora ancora di più. Leggere ciò che scrive e appare oggi sul quotidiano La Repubblica conferma quale mix di ambiguità e gioco di potere animi la sua persona. ElBaradei, il tecnocrate vissuto all’ombra della collaborazione filo imperialista di Mubarak, sfodera alcuni argomenti reali di cui però ben conosce i risvolti. Parlare della crisi economica interna è un’ovvietà, come ribadire che nessuno in un quadro di enorme instabilità investe nel Paese lacerato. Da mesi egli stesso contribuisce a mantenere e rinfocolare questo clima rifiutando gli inviti a entrare nel governo o collaborare con esso. E’ suo diritto farlo. Ma visto che afferma che la “Shari’a non dà da mangiare” (oltre a sostenere il falso perché in Egitto non c’è alcuna estremistica Shari’a) potrebbe per amore del popolo contribuire coi propri buoni rapporti occidentali a sbloccare i tanto auspicati fondi provenienti da varie fonti. Cinque miliardi di dollari del Fmi, il doppio dalle banche qatarine e cifre inferiori ma sempre significative da Unione Europea e Turchia.

Questa manna viene promessa e centellinata da donatori assolutamente interessati a garantire propri tornaconti e probabilmente un governo non islamico subirebbe lo stesso trattamento, come accadeva a Mubarak che riceveva di più solo se maggiormente concedeva in politica estera e interna, operazioni di Rendition comprese. Dopo aver compattato un’enorme opposizione di piazza gli esponenti del Fronte di Salvezza Nazionale (con ElBaradei ci sono Moussa e Sabbahi) sanno che l’unico collante è l’anti Fratellanza, ma il gruppo è composito e diviso. La propria componente liberal-progressista è contestata dai giovani della rivolta storica del 2011 che di per sé non sono in grado di assumere né vogliono alcun potere. Nell’opposizione da “22 milioni di firme” ci sono i molti giovani - attuali Tamarod - refrattari a leadership ed etichette, compaiono tantissimi nostalgici del regime passato, i feloul, anche armati come i poliziotti in borghese e kalashnikov che li scortano nelle strade. Con costoro, coi salafiti di Al Nour passati anch’essi a contestare Mursi, coi dissidenti della Fratellanza ElBaradei pensa ora “a formare una grande coalizione, per mettere da parte differenze ideologiche e lavorare insieme concentrandosi sulle esigenze fondamentali del popolo”.

Qualcosa che dal suo scranno ha chiesto anche Mursi nel discorso dell’orgoglio e al tempo della salvezza della nazione. Ma forse è tardi. Con una trentina di morti, e quelli che potrebbero arrivare, i due schieramenti non s’accorgono di mettere in liquidazione il Paese civile e religioso e consegnarlo nuovamente alle divise.

3 luglio 2013

Enrico Campofreda

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