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L’ASSENZA DI AUTONOMIA E DI SOGGETTIVITA’ POLITICA CAUSA DEL VUOTO DELLA SINISTRA ITALIANA

(25 Gennaio 2014)

In principio due notizie tratte dalla lettura dei giornali di oggi: il Congresso di SeL che il Manifesto definisce “in salita” e la richiesta del segretario della FIOM di sospendere (addirittura) il congresso CGIL per consentire lo svolgimento di un referendum nel merito dell’accordo sulla rappresentanza.
Due notizie d’attualità dalle quali partire per sviluppare, però, un discorso di fondo relativo al vuoto nel quale si trova la sinistra italiana, ormai collocata completamente al di fuori dell’arena dello scontro politico e marginalizzata nello scontro sociale.
Per restare ai temi di partenza è possibile comunque affermare che SeL non pare voler fare i conti con quello che è stato il suo vizio d’origine che si può riassumere nella definizione “personalismo/governista” e con il fallimento di ben due linee politiche nel giro di pochi mesi: prima quella della partecipazione alle primarie in un’idea di sorta di “OPA” sul Pd che come abbiamo visto in seguito, data la natura di quel partito, non poteva che venire da destra; in seguito quella dell’ipotesi del “governo di cambiamento” intesa quale ultima spiaggia esaustiva di qualsiasi altra ipotesi assunta senza attrezzare il partito (appellare così SeL però è una concessione grossa) all’idea della necessità dell’opposizione.
Il caso del segretario della FIOM è per certi versi ancora più clamoroso a testimonianza dell’assoluta insipienza di certi settori di questa presunta sinistra, sia essa politica, sia essa sindacale: dopo aver marginalizzato qualsiasi possibilità di opposizione alla linea filo-governativa della Confederazione (opposizione comunque portata avanti da un manipolo di irriducibili coraggiosi, pare con risultati comunque non secondari) ci si è accorti, nella pratica, che quella posizione non era sostenibile nei fatti: intervenuto l’accordo sulla rappresentanza adesso si pensa al referendum. Dato e non concesso che questo passaggio possa essere compiuto: come potrà essere possibile, in seguito, tornare alla “pax congressuale”?
Si tratta dei due casi d’attualità che s’inseriscono in quadro del tutto drammatico: il livello di scontro sociale nel Paese è ormai ai minimi storici e le punte di insorgenza che ancora si rilevano assolutamente isolate, sia sul versante più specificatamente “di classe”, sia su quello territoriale.
I soggetti politici residui appaiono ormai del tutto privi di capacità di rappresentanza , di organizzazione del dibattito, di sviluppo di una qualche capacità di proposta: l’esempio della discussione in corso al riguardo della lista da preparare in vista delle elezioni europee appare del tutto emblematico.
Inutile ripassare i passaggi che hanno caratterizzato questa discussione: il nuovo assalto girotondino a una qualche possibilità di presenza elettorale come era già avvenuto in precedenti occasioni su scala diversa, il ritardo nell’analisi, l’incapacità di vedere quella che è oggi la discriminante vera sulla quale fare eventualmente una campagna elettorale fuori dalle strettoie dell’economicismo, della subalternità ai movimenti, del collegamento con le aree “perdenti” dello scacchiere europeo e cioè il tema della democrazia appare del tutto obliato o sottovalutato all’interno di espressioni involute e di ricerche su terreni che, tutto sommato, rispetto all’evolversi della gestione capitalistica della crisi appaiono ormai secondari.
Se sul piano interno la sinistra non appare più in grado di evocare concretamente la contraddizione della “lotta di classe”, su quello esterno analoga situazione si riscontra per il concetto di “internazionalismo” : tutto questo mentre, come ben dimostra anche la stessa vicenda ucraina, l’Europa è intesa sempre più come orientata “a destra”. Una definizione questa “a destra” usata per semplificare ma facilmente intellegibile: ormai la discriminante vera, a livello europeo, è tra l’autoritarismo (del quale fanno parte anche le dominanti “larghe intese”) e alcuni sprazzi di democrazia. L’Europa non si occupa del fascismo in Ungheria, permette che si accostino a essa – appunto – i revanscisti ucraini, lascia passare senza commenti una proposta di legge elettorale come quella italiana che pure può essere facilmente definita come “liberticida”.
Per tornare alla situazione della sinistra italiana proprio in relazione al quadro europeo , al di là della candidatura Tsipras intesa come già quella Ingroia salvifica di un’assenza di capacità di rappresentanza e di soggettività politica sicuramente non risolvibile a quel livello, emerge una carenza d’analisi (una carenza evidenziata dal “taglio” complessivo usato dal “Manifesto” i cui redattori evidentemente leggono male il loro stesso inserto “Le Monde diplomatique”) sui temi della globalizzazione (che si è arrestata, rispetto ai termini che erano stati individuati qualche anno fa, ad esempio, a Porto Alegre) e della cessione di sovranità dello “Stato – Nazione” che si sta verificando molto più lentamente e in forme diverse rispetto a quanto si era preconizzato in passato.
La sinistra italiana si trova così nel vuoto rispetto a due punti fondamentali sotto l’aspetto della teoria politica: quella di una propria autonoma capacità di espressione e quella di una soggettività politica definita (il prodromo, insomma, di una necessaria identità).
Questo tipo di situazione è il frutto, come si è già scritto tante volte e da lungo tempo, di una distruzione scientifica dei concetti di fondo che possono reggere una presenza di sinistra alternativa al riguardo del distinguere sempre la priorità e la qualità delle contraddizioni, saper valutare nella fase l’esigenza di collocarsi adeguatamente rispetto ai meccanismi – per opera insuperabili – di un’idea di transizione dalla democrazia liberale, della capacità di intrecciare opposizione politica e opposizione sociale, del mantenere una forma organizzativa, quella del partito politico, misurata seriamente sulla dimensione di massa con una funzione fondamentale di integrazione sociale.
Occorre essere chiari fino in fondo: al momento dello scioglimento del PCI avvenuta al grido liberatorio dello “sblocco del sistema politico” e della governabilità, nessuno è stato in grado di vedere davvero ciò che si stava perdendo e ciò che, invece, andava inesorabilmente buttato via: la fretta elettoralistica e l’assemblaggio privo di principi sulla base ei quali fu costruita Rifondazione Comunista è risultato esiziale ai fini della presenza della sinistra d’alternativa in Italia, al di là dell’effimero di qualche risultato elettorale e della robusta collocazione istituzionale, al centro come in periferia, di un ceto che ha saputo essere “politicista” (come ben si vede tornando al congresso di SeL e come si è visto ancor meglio nella recente assise del PRC) ma non certo “dirigente”.
Il punto oggi è come riuscire a riprendere un discorso al livello che si è cercato di individuare anche in questo intervento riuscendo anche a instaurare un dialogo e un meccanismo di coinvolgimento verso quelle centinaia di migliaia di militanti che, nel frattempo, pur senza aderire alle soluzioni pressapochistico/populiste oggi molto in voga (e il riferimento non è semplicisticamente al solo M5S), hanno attuato una gigantesca “scissione silenziosa”.
Una ripresa che, fuor dall’inutile dialettica ottimismo/pessimismo (e relativi riferimenti gramsciani) potrà avvenire soltanto se ci sarà un’ammissione di partenza che potrebbe rappresentare anche un’indicazione di percorso: siamo privi di autonomia e di soggettività politica.

Franco Astengo

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