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(14 Agosto 2012) Enzo Apicella

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Congresso CGIL: Alternativa alla tesi 9 - democrazia

La partecipazione quale asse strategico per riprogettare il paese e i valori della confederalità, dell’autonomia, dell’unità.

(1 Agosto 2005)

1. La società italiana ha bisogno di più partecipazione. Occorre, perciò, invertire il trend di questi ultimi anni contrassegnato da una progressiva e costante riduzione degli spazi di partecipazione, conseguenza, anche, dell’avanzare di quell’idea di democrazia plebiscitaria che ha connotato la politica del centro-destra. Una prova decisiva di questa tendenza è rappresentata dall’allontanamento, sempre più marcato, dalla vita politica e sociale di soggetti che ne erano stati protagonisti, come le donne. Il problema è di assoluta evidenza per il mondo del lavoro. La scelta perseguita nel corso di questi anni della precarizzazione e individualizzazione dei rapporti di lavoro, la scomposizione del ciclo lavorativo e l’offensiva nei riguardi della contrattazione collettiva, sono parte integrante e determinante di questo processo. Estendere, quindi, gli spazi di partecipazione per rendere più forte la democrazia, vuole dire anche abrogare e sostituire l’attuale legislazione sul lavoro.

1.1. Occorre riattualizzare tutti quei canali che hanno consentito anni addietro una grande e proficua stagione di partecipazione democratica, a livello istituzionale, politico e sociale. Bisogna intanto colmare il deficit di democrazia e rappresentanza determinato dall’assenza delle donne, ai vari livelli politici, sociali e istituzionali del paese. È necessario invertire una tendenza. L’elezione diretta dei sindaci, dei presidenti di Regioni e Province non determina in sé una caduta di partecipazione. In tutti i casi occorre battersi contro ogni insorgere di problemi di questa natura – ridando in particolare ruolo e funzione alle Assemblee elettive – e sviluppare iniziative che consentano a ogni cittadino e a ogni cittadina di concorrere da protagonista ai processi decisionali. Allo stesso modo occorre riaprire canali di partecipazione effettiva dell’utenza nei grandi sistemi pubblici – sanità, scuola e politiche sociali, innanzitutto – attraverso le loro associazioni di rappresentanza. Così come il terzo settore – per il quale si conferma la necessità, prevista anche nella recente intesa Cgil-Cisl-Uil e Forum del terzo settore, di garantire ai lavoratori che vi operano diritti e piena applicazione dei contratti di lavoro – innanzitutto nella sua componente di volontariato, deve effettivamente rappresentare esso stesso uno strumento della partecipazione democratica, in particolare alla progettazione della politica sociale. Ma non vi può essere partecipazione diffusa se non si realizzano condizioni che ne favoriscano lo sviluppo anche nei partiti. C’è bisogno che i nuovi partiti, nati negli ultimi quindici anni e che hanno cambiato radicalmente la fisionomia delle vecchie forme di rappresentanza, siano luoghi di rappresentanza dei cittadini e delle cittadine e di promozione di idee, culture e valori, a partire dalla riaffermazione di una nuova centralità del lavoro. Anche nel corso di questi anni si è accentuata la distanza tra la politica e le dinamiche che coinvolgono il lavoro, contribuendo a determinare la percezione di isolamento delle lavoratrici, dei lavoratori e degli strati sociali più deboli.

1.2. Più partecipazione deve significare anche più contrattazione e quindi più sindacato. C’è bisogno di consolidarla, estenderla e qualificarla. C’è bisogno, in sostanza, anche in questo caso, di invertire una tendenza di questi ultimi anni, in particolare relativamente agli orientamenti del governo centrale e di quelli regionali e del sistema delle autonomie che lo hanno imitato. Occorre, perciò, più contrattazione territoriale e sociale in grado non solo di meglio tutelare e difendere le condizioni di vita e di reddito delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, ma anche di incidere sugli assetti economici, sociali, ambientali e di potere di un territorio. È in questo modo che si completa il già citato quadro di partecipazione e di protagonismo nell’assetto dei grandi sistemi pubblici. Allo stesso modo c’è bisogno anche di relazioni sindacali strutturate – entro le quali ricondurre anche la Legge 146/90 e i suoi interventi correttivi allo stretto ambito dei servizi essenziali, superando la logica dell’iter di regolamentazione – e improntate a una effettiva volontà di considerare il sindacato un elemento essenziale e imprescindibile della dialettica impresa-lavoro.

1.3. Nei luoghi di lavoro la democrazia e la partecipazione rappresentano l’asse strategico per definire nuovi assetti di potere. Se l’imperativo oggi è la valorizzazione del lavoro, se rimane di prima grandezza l’obiettivo di accrescere il potere dei lavoratori nei luoghi della produzione e negli uffici, se libertà e uguaglianza passano anche dalla conquista del diritto alla formazione permanente e alla piena accessibilità dei lavoratori ai processi formativi acquisitivi di nuovi saperi, se la disarticolazione del mercato del lavoro ci consegna una battaglia per nuovi diritti e tutele, è vitale, innanzitutto, affermare il valore della democrazia e allargarne progressivamente gli spazi. Sullo stesso terreno della democrazia sindacale e cioè del rapporto tra le organizzazioni sindacali i lavoratori e le lavoratrici l’esperienza di questi anni ci consegna il problema irrisolto. Le forme e le modalità di approvazione delle piattaforme e degli accordi a livello confederale e di categoria sono state diverse, consegnandoci la fotografia di molteplici procedure democratiche a disposizione dei gruppi dirigenti e dei mutevoli rapporti tra le organizzazioni sindacali. Ciò è avvenuto anche a fronte dei momenti più alti di espressione della democrazia sindacale come è stato il referendum sulla riforma delle pensioni promosso da Cgil, Cisl, Uil nel 1995. Il problema non è più eludibile. La Cgil ritiene necessario esprimere una propria posizione su aspetti fondamentali quali il rapporto tra validità erga omnes dei contratti e sindacato come libera associazione, tra legislazione e democrazia sindacale come peraltro hanno fatto le altre organizzazione sindacali. Per la Cgil la validazione delle piattaforme e degli accordi attraverso il voto referendario di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori rappresenta una scelta strategica. Per questo la Cgil sostiene la necessità di una legislazione che affermi l’elezione dei rappresentanti sindacali aziendali su base proporzionale e la validazione di piattaforme e accordi come un diritto democratico delle lavoratrici e dei lavoratori. Per la Cgil questo costituisce a tutti i livelli un vincolo della propria pratica contrattuale. Le regole legislative oggi vigenti nel pubblico impiego costituiscono da questo punto di vista un importante riferimento, che va completato con lo strumento del referendum.

1.4. In questo contesto è necessario definire con le altre organizzazioni sindacali forme e modalità di un percorso democratico unitario. Ciò avrebbe un valore unitario evidente e rappresenterebbe un riferimento assolutamente significativo per l’iniziativa legislativa.

Un percorso democratico che definisca un quadro di regole certe ed esigibili che consentano la periodicità triennale delle elezioni delle Rsu su base proporzionale e la certificazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali.

Un percorso democratico su piattaforme e accordi che valorizzi il ruolo delle Rsu o di un’assemblea nazionale dei delegati eletti su base proporzionale contemporaneamente al voto sulla piattaforma, assegnando loro la responsabilità di seguire la trattativa nelle sue diverse fasi e di esprimere la valutazione sull’ipotesi conclusiva. Tale percorso deve esser comprensivo della validazione finale da parte di tutti i lavoratori e lavoratrici con il voto referendario.

2. Più partecipazione e più politica per il sindacato significa necessariamente anche più confederalità. La profondità della crisi e le grandi trasformazioni degli assetti produttivi nel mercato del lavoro, in generale nell’economia e nella società, rimandano, infatti, a un nuovo grande problema di riunificazione del mondo del lavoro. Si riproducono, cioè, condizioni che la Cgil ha già affrontato nel passato, ponendosi, anche allora, esattamente lo stesso obiettivo – l’unificazione del mondo del lavoro – che ci prefiggiamo oggi. Rappresentare e difendere gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, nelle condizioni attuali, significa perciò innanzitutto darsi strategie, obiettivi e pratiche rivendicative che ricompongano in un quadro di unità ciò che il neoliberismo intende frantumare. E ciò è possibile solo rendendo ancor più forte l’idea di confederalità che rappresenta la caratteristica principale della storia e della cultura del sindacalismo italiano.

2.1. Un’idea alta di confederalità si invera dentro una progettualità che ne definisca con precisione l’identità e la proposta politica. La scelta di caratterizzarci come sindacato di programma come definita nel XII Congresso mantiene inalterata la sua attualità; anzi, dalla crisi del paese essa trae ancor più forza. E, allo stesso modo, il significato strategico della centralità dei diritti decisa dall’ultimo Congresso, rappresenta l’orizzonte valoriale entro il quale praticare oggi politiche per l’unificazione del mondo del lavoro.

2.2. Tale progettualità rappresenta, altresì, condizione per l’autonomia del sindacato. Le ragioni dell’autonomia affondano le proprie radici nella storia della Cgil e non solo; così come la sua difesa, nelle varie fasi storiche, ha poggiato su diverse motivazioni; è stata garantita dall’impegno personale delle compagne e dei compagni che ne hanno portato la responsabilità, ma oggi, accanto a tutto ciò, prevale certamente l’aspetto della progettualità intesa come idea generale di società e proposta politica concreta per realizzarla. In questo senso va assunta come vincolo essenziale. E questo, soprattutto, in presenza dell’evolversi del sistema politico italiano. Il formarsi di schieramenti politico-programmatici fra loro alternativi rende, infatti, ancor più indispensabile la definizione di un progetto sindacale col quale interloquire – pena l’essere esposti, in particolare agli occhi di chi rappresentiamo, a rischi oggettivi di subalternità – per verificarne la vicinanza o la distanza dai programmi dei diversi schieramenti politici. Nessuna indifferenza, di conseguenza, ma autonomia piena. Progettualità e democrazia sono alla base della scelta dell’autonomia come indipendenza politica e culturale. Questo comporta in primo luogo il riconoscimento di un punto di vista del lavoro diverso da quello dell’impresa e del mercato. Parimenti nel rapporto con il potere politico il sindacato può avere governi avversari, ove l’esecutivo – come ha fatto il governo di centro-destra – vari una legislazione che riduca i diritti del lavoro e pratichi la rottura dell’unità sindacale, ma non può avere governi amici a cui delegare le proprie funzioni.

Naturalmente la definizione di un tale progetto non riguarda solo la Cgil. Anzi, in questo senso, la ricerca unitaria di convergenze su obiettivi programmatici rappresenta un punto essenziale per difendere con più efficacia l’identità del sindacalismo italiano di soggetto sociale, di natura confederale, pienamente autonomo.

2.3. La stessa unità sindacale non può prescindere dalla costruzione di un progetto comune. Lo stesso insopprimibile pluralismo esistente fra le Confederazioni – e che poggia su ragioni eminentemente sindacali, relative, tra l’altro, a come storicamente ciascuna ha inteso l’esercizio della funzione sindacale – se non si misura con questa ricerca comune, anziché rappresentare – come effettivamente è – una ricchezza, rischia di costituire un ostacolo insormontabile. Per questo avanziamo a Cisl e Uil la proposta di lavorare assieme alla definizione di una Carta programmatica dei valori del sindacato confederale. Valori che, nel caso dell’assoluto rispetto del pluralismo e della gelosa difesa dell’autonomia, sono comuni da tempo, anche se declinati in modo diverso all’interno di ogni organizzazione. La Carta programmatica pare a noi un modo serio – che non rimuove problemi, difficoltà, rotture di questi anni, per la cui soluzione o ricomposizione non vi è alternativa se non nella ricerca convinta di una necessaria, limpida e democratica pratica di mediazione – per non rassegnarsi a un’idea di divisione.

(Gianni Rinaldini)
Segretario generale Fiom-Cgil
Tessera Cgil n. 1759819

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