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(19 Settembre 2005)
Una analisi maggiormente compiuta e definita intorno all'esito delle elezioni tedesche, svoltesi domenica 18 Settembre, potrà essere sviluppata soltanto nei prossimi giorni, quando – soprattutto – saranno più chiari gli esiti politici che i partiti saranno stati capaci di elaborare, sulla base dell'andamento del voto.
Purtuttavia, a questo punto e con i primi dati ancora freschi di stampa sul tavolo, è già possibile avanzare alcuni spunti di riflessione immediata.
Il primo fra questi, minimi, elementi di ragionamento riguarda l'ormai acclarata crisi di attendibilità dei sondaggi d'opinione, ormai formulati sul modello del “marketing” televisivo, in modo da cogliere soltanto la superficie immediata degli umori della parte più “integrata” dell'opinione pubblica, ma incapaci di penetrare nel profondo dell' intreccio concreto che si è stabilito tra condizione materiale di vita e scelta politica, in larghi settori dell'elettorato medio.
Il ceto politico, ormai dappertutto sempre più isolato nelle sue roccaforti di privilegio, non riesce più a riequilibrare la propria capacità di intendere gli orientamenti sociali e politici di base, non volendo affrontare il tema (completamente trascurato, nel corso degli ultimi anni, a favore della personalizzazione della politica) del radicamento sociale dei soggetti politici.
Una lezione che viene dalla Germania, ma che può servire anche in Italia, dove la trasformazione del partito di integrazione di massa ha assunto, addirittura, forme particolari di quel partito “pigliatutto” teorizzato da Kirchheimer: dal partito – azienda, al partito – personale (presente, beninteso anche in quella che suole definirsi “sinistra radicale”).
Il secondo spunto di riflessione che ci deriva dall'analisi del risultato tedesco riguarda la crisi del bipolarismo.
Un bipolarismo “storico”, quello tedesco, fortemente consolidatosi nel corso della storia della RFT, che ha perduto nel giro di 3 anni l'8% dei voti.
Nel 2002, infatti, CDU-CSU (non dimentichiamo la presenza del partito bavarese, che risulterà certamente un punto di non semplificazione nelle trattative che si apriranno in vista di una nuova “Grosse – Koalition”) e SPD avevano sommato il 77% dei consensi: in questa occasione i due maggiori partiti si sono fermati al 69%.
Un risultato favorito, ovviamente, dal sistema elettorale che consente largo spazio alla quota di ripartizione proporzionale dei seggi, ma che deriva da un fattore di vero e proprio “impatto sociale”, che mi permetto di ritenere del tutto fondamentale.
La crescita delle discriminazioni economiche e sociali favorite dal neo – liberismo, hanno portato consistenti settori dell'elettorato tedesco a rifugiarsi verso i soggetti che meglio hanno saputo rappresentare le rispettive certezze.
Nel “caso tedesco” i privilegiati, sempre più privilegiati, hanno scelto l'FDP; gli svantaggiati, sempre più svantaggiati, hanno scelto la Die Linke – PDS.
La lezione è valida anche per il “caso italiano” perché riguarda l'impossibilità (o, almeno, l'enorme difficoltà ad essere praticato) di esercitare, in un quadro esaustivamente neo-liberista e di forte crisi dello “Stato – Nazione”, quel “bipolarismo temperato”, che parrebbe stare a cuore di molti “neoriformisti” di stampo “liberal”.
Dal punto di vista politico diventa, così, sempre più difficile vincere le elezioni “al centro”, e sempre più necessario mobilitare, prioritariamente,la “propria parte”.
Inoltre, nella crisi del bipolarismo tedesco, si possono trovare tracce di motivazioni analoghe a quelle che portarono, qualche mese fa, forti porzioni di elettorato di sinistra a decretare la vittoria del “NO” nelle consultazioni referendarie sul trattato di Costituzione Europea svoltesi in Francia e in Olanda (si noti, sotto questo aspetto e sul piano più propriamente politico, la crescita di una radicalizzazione della sinistra, di provenienza socialdemocratica: un fenomeno, fin qui, del tutto inedito in Europa).
Infine, spero mi saranno concesse alcune prime osservazioni, nel merito del successo ottenuto dalla lista “Die Linke – PDS”.
Un successo che deve essere valorizzato per almeno due motivi:
a) per la prima volta un dissenso forte sull'assalto distruttivo subito dallo stato sociale ed al neo-liberismo si è sviluppato, in Germania, all'Est come all'Ovest;
b) la nuova formazione politica della “Die Linke – PDS” ha dimostrato di saper resistere a quello che sarebbe stato un logico, e prevedibile, ritorno dell'SPD nel corso delle ultime settimane di campagna elettorale, svoltesi all'insegna del richiamo del cosiddetto “voto utile”. La “Die Linke – PDS” ha così dimostrato di aver saputo occupare uno spazio politico vero e non virtuale, e di possedere anche un radicato insediamento territoriale (la provenienza sindacale di molti quadri del partito, all'Ovest, apre anche uno spiraglio di riflessione proprio sulla realtà del Sindacato, in Germania come in Europa).
I politici italiani appartenenti alla cosiddetta “sinistra radicale”, tutti impegnati nel frattempo a costruire le proprie alchimie personalistiche ed elettorali, farebbero però bene a cercare di non impadronirsi di un successo che non appartiene loro, perché tra la situazione politica tedesca e quella italiana esistono, in generale e nello specifico della realtà rappresentata dalla sinistra, alcune diversità di fondo sulle quali sarebbe bene riflettere:
1) Ho già citato le diverse realtà rappresentate dal sistema elettorale (che non rappresenta mai, è chiaro, un mero fattore tecnico: bensì un determinante fattore politico). Il sistema elettorale rimane un punto dirimente nella costruzione di una strategia politica alternativa: abbandonarsi nelle braccia del maggioritario uninominale, come si sta facendo nel nostro Paese anche da parte di una sinistra radicale ed antagonista che partecipa perfino al rito personalistico delle Primarie, rappresenta un errore nel quale si continua a perseverare (riflettiamo anche sul fatto che, tra i sostenitori della presenza di una lista “unica” o “arcobaleno” di questa sinistra radicale italiana, vi sono personaggi che qualche anno fa si collocavano tra i sostenitori del sistema elettorale uninominale “secco”, di stampo anglosassone);
2) Il successo della lista “Die Linke – SPD” rappresenta il successo di una sinistra davvero “non governativa”, frutto, in buona parte, di una rottura dell'SPD avvenuta proprio sul terreno della scelta neo-liberista, dell'attacco allo stato sociale, della precarizzazione delle condizioni di lavoro.
In Italia, invece, quei partiti che reclamano la definizione di “sinistra radicale” si collocano già, in partenza, all'interno di un progetto di governo, quello dell'Unione, che, dal punto di vista dei contenuti, potrebbe essere equiparato a quello che potrà essere espresso, nel concreto, dalla prossima “Grosse – Koalition” tedesca.
Dal voto tedesco emerge, insomma, l'esigenza del permanere di una opposizione di sinistra, fondata sulle idee portanti dell'autonomia dalla superpotenza in materia di politica estera, di intervento pubblico in economia, di concezione universalistica dello stato sociale, di eguaglianza e solidarietà.
Un punto di fondo che, ripeto, andrebbe riflettuto con attenzione, al di fuori dalle superficialità propagandistiche: forse emerge, infatti, l'esigenza di ricercare una fase di transizione diversa da quella concepita, semplicisticamente, attraverso il semplice meccanismo dell'alternanza al governo dei meccanismi del sistema dato.
Savona, li 19 Settembre 2005
Franco Astengo
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