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(27 Agosto 2013) Enzo Apicella
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(Imperialismo e guerra)

L’Europa va alla guerra: dalla “green economy” al business della morte

(19 Marzo 2022)

militarism

L’aggressione russa all’Ucraina, qualunque sia il suo esito sul campo, ha dato l’impulso a un terremoto riarmista in Europa, con epicentro in Germania, che sconvolgerà l’assetto del continente e mondiale molto più di quanto possa fare l’avanzata dei carri armati russi su Kiev.

La Germania del socialdemocratico Scholz, mentre si toglie la foglia di fico del divieto di esportare armi in teatri di guerra (è già il quarto esportatore mondiale di armi), abbandona anche la linea adottata per 50 anni del Wandel durch Handel, il cambiamento mediante il commercio, per riprendere la strada militarista già tragicamente perseguita nel suo passato. Infatti, oltre ad inviare grandi quantità di armi al governo dell’Ucraina, e ad adottare le pesanti sanzioni finanziarie contro la Russia, il governo di Bonn ha annunciato che la Germania aumenterà la propria presenza militare all’Est: truppe in Lituania, ricognizioni aeree in Romania, costituzione di unità NATO in Slovacchia, rafforzamento del pattugliamento navale nel Baltico, Mare del Nord, Mediterraneo, difesa dello spazio aereo dei membri orientali della NATO con missili antiaerei. Infine, tra gli scroscianti applausi tanto dei deputati della maggioranza quanto dei deputati democristiani al Bundestag, Scholz ha annunciato che il governo si dota di un fondo speciale di 100 miliardi per il riarmo, portando la spesa militare oltre il 2% del PIL. Ciò significa un balzo enorme, di almeno il 50% in più, degli investimenti in armamenti. Serviranno tra l’altro per “costruire la nuova generazione di aerei da combattimento e carri armati qui in Europa insieme ai partner europei, e in particolare la Francia”, oltre agli eurodroni e a un nuovo aereo con capacità nucleare che succederà al Tornado.

Riarmo europeo a guida tedesca? Dalla “green economy” al business della morte. In Borsa le azioni di Fincantieri e Leonardo, i campioni del complesso militare industriale italiano, sono immediatamente balzate in alto del 20% e del 15%; e l’italiana Oto Melara del gruppo Leonardo si è prontamente candidata a partecipare alla costruzione del carro armato europeo insieme a tedeschi e francesi. A sua volta il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha colto la palla al balzo per affermare: “dobbiamo cambiare gli investimenti del Pnrr nell’energia, nella difesa e nella ricerca”: meno burro, più cannoni, è questa la nuova formulazione del Pnrr proposta dalla Confindustria al Governo.

Scholz l’ha definita una svolta epocale, e lo è.

La Germania, per quanto abbia un PIL di poco superiore alla Russia, ha una produzione manifatturiera pari a 3 volte e una produzione di macchinari e veicoli a motore pari a molte volte quella russa. L’imperialismo tedesco ha quindi un potenziale di riarmo di parecchio superiore a quello russo (il cui apparato industriale è già da sempre concentrato sul complesso militare), e il suo risveglio è un risultato non voluto dell’offensiva militare russa che potrebbe trasformare l’azzardo di Putin in un fatale errore di calcolo. Gli stessi Stati Uniti, che da decenni chiedevano l’aumento della spesa militare tedesca al 2% del PIL quale contributo alle spese NATO, restano spiazzati di fronte a un aumento che va oltre il 2% con l’obiettivo di sviluppare un’industria bellica indipendente dagli USA, potenzialmente europea. E non è un caso se, pressoché in contemporanea, il presidente degli industriali tedeschi, Siegfried Russwurm, ha respinto seccamente la richiesta statunitense di slegare l’economia della Germania da quella della Cina: “Non siamo stati e non saremo destinatari degli ordini del governo americano. (…) I crimini di Putin non sono la fine del commercio globale e della divisione globale del lavoro. Lo scambio, non la spartizione, rimane il nostro principio”. Almeno finché il capitale germanico non sarà attrezzato a sufficienza per partecipare in pieno alla spartizione… allora potranno cambiare facilmente anche i principii.

L’intera Unione Europea ha subito respirato l’aria nuova proveniente dalla Germania e per la prima volta ha deciso di finanziare come UE (col Fondo per la Pace!) la fornitura di armi all’Ucraina. Da parte sua il governo italiano, che in sordina ha aumentato del 20% le spese militari in tre anni, ha rotto gli indugi annunciando l’invio di armi al governo ucraino, azionando il sistema di droni comandato da Sigonella, confermando l’invio di altri soldati in Lettonia e Romania all’interno del dispositivo NATO e dando vita ad una campagna di propaganda russofobica isterica fino al delirio. L’Italia, in questa maniera, è già entrata in guerra – sebbene al tipico modo “italiano”, si fa ma senza dire apertamente quello che si sta facendo. La Spagna resta sola tra i maggiori paesi UE a non inviare armi, in compagnia nella NATO della Turchia, che cerca di bilanciarsi tra Russia e Ucraina, anche bloccando il passaggio di navi militari attraverso gli Stretti.

Inutile aggiungere, perché si tratta di un dato strutturale, che nel momento stesso in cui l’UE assume decisioni “alla unanimità” e impegni “comuni”, ognuno degli stati membri lo fa pensando di perseguire i propri interessi nazionali in concorrenza con gli altri, benché – contemporaneamente – prima l’avvento della pandemia e ora il conflitto bellico in Ucraina, abbiano spinto l’UE a decisioni impreviste e a lungo osteggiate dai più, anche per la netta percezione che gli Usa sono in guerra anche contro l’Europa (una guerra al momento economica e diplomatica), e non solo contro la Russia e… contro l’Ucraina gettata allo sbaraglio con la promessa di farne un membro della NATO e dell’Unione europea.

Le sanzioni varate da USA, Gran Bretagna, UE: estromissione del 70% delle banche dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT, blocco dei fondi della Banca Centrale russa, blocco delle forniture di prodotti tecnologici con potenziale impiego militare, oltre al blocco dei beni all’estero di una serie di oligarchi e vertici del regime russo, incluso il miliardario Putin, sono altrettanti atti di guerra economica che colpiscono duramente l’economia russa, parte integrante e integrata nel sistema capitalistico e finanziario internazionale. Per frenare il crollo del rublo la Banca Centrale ha dovuto rispondere con il raddoppio del tasso di riferimento al 20%, ciò che rischia di provocare una recessione nei settori diversi da quello militare. Aumento del costo della vita in seguito all’aumento dei prezzi dei beni di consumo importati, aumento della disoccupazione a seguito della chiusura di fabbriche non belliche e di gran parte delle multinazionali: le conseguenze delle sanzioni cadono pesantemente sui lavoratori russi senza impedire la produzione per la guerra, che avrà la priorità.

Denunciamo il riarmo tedesco, italiano ed europeo, tanto che esso avvenga nel quadro NATO quanto che si attui nella prospettiva di un esercito europeo: tutte armi al servizio della politica imperialista di spartizione del mercato mondiale, sfruttamento di proletari e oppressione di popoli. Queste armi moltiplicheranno la violenza, le distruzioni e i morti nei prossimi conflitti imperialisti, e serviranno ad abbattere, come in tutte le guerre del capitale, il valore di una grande massa di forza-lavoro, a militarizzare il conflitto di classe e le società, ad avvelenare le menti e i cuori dei proletari con overdosi di putrido nazionalismo. Oltre che nel quadro della NATO le truppe dei paesi europei, Italia ben inclusa, sono presenti in altri continenti, soprattutto nelle ex colonie africane e medio-orientali, dove cercano di mantenere l’influenza degli Stati e dei capitali europei (spesso in concorrenza tra loro) contro le spinte all’indipendenza nazionale reale e contro la penetrazione degli imperialismi concorrenti (da quello americano a quello cinese).

In Ucraina si scontrano gli eserciti di due governi reazionari, sebbene di forza ineguale, entrambi comitati d’affari del grande capitale privato e statale, entrambi garanti dello sfruttamento di milioni di proletari nei rispettivi paesi, con bassi salari e soggetti alla repressione padronale e statale. La guerra è stata aperta dalla Russia, ma il governo Zelensky, che ha scelto lo schieramento UE e NATO, è totalmente corresponsabile di essa per avere aperto il territorio ucraino alle provocazioni statunitensi, fino allo svolgimento di esercitazioni militari NATO sul proprio territorio, alla costruzione di laboratori per armi biologiche e alla dichiarata intenzione di entrare nella NATO. E se questo non bastasse, sta fomentando in ogni modo, con la richiesta della “no fly zone”, di bombardieri NATO e con appelli incendiari, la trasformazione della guerra in corso in guerra mondiale – ciò che costituirebbe la più catastrofica delle soluzioni per la sua nazione e, soprattutto, per le lavoratrici e i lavoratori dell’Ucraina.

Noi siamo al fianco del popolo ucraino che subisce distruzione e morte, solidali con i profughi costretti ad abbandonare le loro case, e comprendiamo che una larga parte di questa popolazione senta l’invasione bellica russa come un terribile colpo al proprio senso di appartenenza nazionale, alla propria dignità e alla propria sopravvivenza. Siamo per l’immediata fine delle operazioni militari russe e il ritiro della Russia dal territorio ucraino, contro il tentativo dichiarato di Putin di ridurre l’Ucraina a una provincia della Russia, ribaltando l’impostazione comunista di Lenin. Siamo per il diritto all’autodeterminazione dei popoli sulla base della lotta contro ogni oppressione nazionale, contro ogni sopraffazione e negazione dei diritti di tutte le nazioni, un principio che deve valere, evidentemente, anche per le minoranze di lingua russa in Ucraina. Ma la realizzazione effettiva di tutto ciò, una sistemazione pienamente rispettosa dei diritti democratici e nazionali non potrà certo essere il risultato della contrapposizione nazionalista aizzata dalle frazioni filo-occidentali, oggi capeggiate da Zelensky, o da quelle filo-russe, né tanto meno essere il portato della guerra in corso tra schieramenti imperialisti – tra i quali gli Stati Uniti e la NATO sono da decenni e restano il principale fattore di guerra in Europa e in tutto il mondo.

La prospettiva storica e politica alla quale ci ispiriamo è quella magnificamente espressa nell’agosto 1920 nel Manifesto della federazione comunista balcanico-danubiana alle classi lavoratrici dei paesi balcanico-danubiani, in cui all’indomani della prima guerra mondiale si diceva:

«Paesi dell’area balcanica e danubiana!

«Molti hanno sperato che la guerra mondiale unisse popoli divisi ed oppressi. In nome della riunificazione nazionale anche le popolazioni balcaniche vi sono state coinvolte. Oggi, però, tutti possono vedere che la guerra non ha risolto questi problemi ed, anzi, i popoli ne sono usciti ancora più divisi, ancora più oppressi. […]

«La guerra imperialista ha dunque prodotto una nuova schiavitù, una nuova frantumazione, ha posto le basi per nuove inimicizie, per contrasti e guerre ancora più orrendi.

«I partiti comunisti dell’area balcanica sono, come già prima della guerra, nemici di ogni oppressione nazionale, di ogni sottomissione di un popolo o di una minoranza di esso da parte di un altro popolo. Noi siamo per la piena libertà ed uguaglianza dei popoli balcanici e per il diritto di ciascuno di essi all’autodeterminazione. Al contempo, però, diciamo che, visti i conflitti nazionali esistenti, l’unificazione di questi popoli è possibile solo nel quadro di una repubblica sovietica federativa balcanico-danubiana, la sola in grado di assicurare ai popoli eguali diritti ed eguali possibilità di sviluppo. Il primo passo verso questa riunificazione è stato compiuto dai partiti comunisti con la costituzione della Federazione comunista balcanico-danubiana. Non c’è dubbio che il proletariato delle città e delle campagne, coeso nelle organizzazioni della Federazione comunista per la comune battaglia rivoluzionaria, marcerà senza indugi dopo la conquista del potere e la creazione dei soviet verso la costituzione della Repubblica socialista sovietica balcanico-danubiana, nella quale tutti i popoli e i territori saranno liberi e uguali.»

Per quanto questa grandiosa prospettiva di liberazione degli sfruttati sia stata impedita dalla controffensiva della reazione capitalistica mondiale, insieme democratica e nazi-fascista, essa resta l’unica prospettiva di liberazione e di pace possibile anche per la “questione ucraina”, che rinnova a nord-est molti dei caratteri tipici dell’intrico di popoli dell’area balcanica-danubiana. Quale libertà e quale pace, infatti, potrebbe mai esserci per un’Ucraina sulla quale accampano diritti, oltre la Russia, gli Stati Uniti, i pescecani uniti e disuniti dell’Unione europea, la Gran Bretagna, la Turchia, Israele, la Polonia, la Cina e quant’altri? Quale libertà e quale pace per le sfruttate e gli sfruttati di questa tormentatissima nazione cacciati a milioni dalle proprie terre di nascita dalla potenza soffocante del capitalismo globale?

Sorelle e fratelli di classe ucraini, i carri armati di Putin stanno solo completando l’opera distruttrice iniziata decenni fa dal FMI e dalle potenze occidentali, e assecondata da tutti i gruppi affaristici filo-occidentali e filo-russi che hanno profittato vilmente del vostro impoverimento e della vostra diaspora. Non potranno certo salvarvi dall’invasione russa quelli che, da Washington a Roma, vi hanno denudato e scagliato all’avventura perché facciate la guerra per loro, così come non potremo salvarci noi dalle catastrofi in arrivo anche nella parte occidentale del continente europeo senza attivarci in prima persona, e insieme contrapporci ai “nostri” sfruttatori, ai “nostri” governi, ai “nostri” generali. Ricordate il funesto epilogo delle guerre in Jugoslavia e contro la Jugoslavia. Chi ne ha beneficiato? Le guerre del capitale sono oro per i capitalisti, lutti e miseria per noi.

Prima la provocatoria espansione della NATO ad Est, ora i cannoni e i missili scatenati dalla Russia in Ucraina hanno dato la stura al riarmo tedesco ed europeo, che prepara la partecipazione attiva dei paesi europei a nuovi conflitti su larga scala. L’imperialismo italiano è parte attiva di questo processo riarmistico. Praticamente tutti i partiti del Parlamento, con limitatissime eccezioni, appoggiano sanzioni, forniture d’armi, invio di altri militari ai confini Nato, riarmo – con lo scatto delle spese militari al 2% del pil (un aumento del 50% circa, da 26 a 38 miliardi di euro!) deciso in poche ore dal governo e dal parlamento, suo tappetino. L’unica forza che può fermare questa guerra e la corsa verso nuove guerre sono i proletari, è la loro unione e lotta internazionale contro i rispettivi capitalisti e i loro governi imperialisti. Il riarmo è contro di noi e contro i nostri fratelli, oltre ad essere pagato con tagli alla spesa sociale per la sanità e l’istruzione. Per questo siamo fortemente solidali con coloro che in Russia manifestano contro la guerra con un sentimento di disfattismo di classe, sfidando la dura repressione e la censura del governo, con gli operai russi in sciopero contro l’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, e con quei piccoli gruppi operai del Donbass, dell’Ucraina e della Russia che si stanno sforzando, nel mezzo di questa tragedia, di mantenere viva tra loro la solidarietà di classe.

NO alla guerra in Ucraina! NO al riarmo italiano ed europeo!

Solidarietà con il popolo ucraino contro l’invasione russa, ritiro delle truppe russe senza condizioni!

NO alla NATO e alla sua espansione ad Est! Scioglimento di questa associazione a delinquere!


NO all’invio di armi e di soldati verso l’Est Europa, ritiro di tutte le truppe italiane all’estero!

Prepariamo un grande sciopero generale contro la guerra e il militarismo!

Proletari di tutti i paesi, uniamoci!


18 marzo

Tendenza internazionalista rivoluzionaria

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