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GRETA THUNBERG E IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

(27 Agosto 2023)

Dal n. 128 di "Alternativa di Classe"

Greta Thunberg

Praticamente tutto cominciò il 20 Agosto 2018, esattamente solo 5 anni fa, quando una ragazzina di quindici anni, Greta Thunberg, si sedette su un marciapiede davanti al Parlamento di Stoccolma con una scritta: "Sciopero scolastico per il clima". Da quel giorno Greta non andò più a scuola fino alle elezioni legislative del 9 Settembre 2018 in Svezia, in segno di protesta contro il cambiamento climatico.
La decisione di scioperare era stata presa dopo che forti ondate di calore avevano colpito la Svezia, favorendo anche diversi incendi nei boschi. Quello che chiedeva al proprio governo era di ridurre le emissioni di anidride carbonica, come previsto dall'Accordo di Parigi del 2015. La sua caparbietà nel proseguire lo sciopero catalizzò l'attenzione di altri ragazzi, prima a livello nazionale, e poi mondiale, che dette la nascita al "Fridays For Future" (Venerdì per il Futuro, dato che, inizialmente, era indetto sciopero ogni venerdì), un grande movimento studentesco, in risposta all'attivismo di Greta.
Il movimento riempì le piazze di molte città, chiedendo ai propri governi azioni concrete contro i cambiamenti climatici, e reclamando il proprio diritto al futuro. Intanto Greta si mosse in tutte le direzioni: il 6 Ottobre partecipò alla manifestazione “Rise for Climate”, davanti al Parlamento Europeo a Bruxelles, il 4 Dicembre al Cop 24, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si tenne a Katowice in Polonia.
Lì disse: “...Non possiamo risolvere una crisi senza trattarla come tale. Noi dobbiamo lasciare i combustibili fossili sottoterra, e dobbiamo focalizzarci sull'uguaglianza, e, se le soluzioni sono impossibili da trovare in questo sistema, significa che dobbiamo cambiarlo...".
Il 25 Gennaio 2019 portò il tema del cambiamento climatico al Forum economico di Davos, il 21 Febbraio parlò davanti al Presidente della Commissione europea, e il 15 Marzo 2019 partecipò a Stoccolma allo sciopero mondiale per il futuro, al quale aderirono 700 città da 100 Paesi. Venne, così, ricevuta dal Papa e da Obama, e il 20 Settembre guidò le manifestazioni di migliaia di persone in circa 150 Paesi per lo sciopero globale in vista del summit ONU sul clima.
Infine, nel settembre 2019 più di sette milioni di persone scioperarono per il clima, e fu lo sciopero più grande della Storia per tale motivazione. Le sue azioni non vennero condivise da tutti e venne aspramente criticata da giornalisti e politici (in particolare da Trump e da Putin), perchè vista come quella che istigherebbe all'allarmismo climatico. Poi, nonostante la pandemia e la conseguente difficoltà a riunirsi e ritrovarsi, centinaia di migliaia di persone cercarono di riprendere il filo per nuove contestazioni.
Il cambiamento climatico non va confuso con il riscaldamento terrestre: sono due fenomeni interconessi, ma distinti; secondo la definizione delle Nazioni Unite, si tratta di cambiamenti a lungo termine dei modelli metereorologici e delle temperature. Il riscaldamento terrestre è un processo naturale, che si verifica da milioni di anni sulla Terra a causa delle variazioni del ciclo solare, ma, negli ultimi due secoli è stato enormemente accelerato da attività antropiche.
In sostanza, il cambiamento climatico è un'alterazione di lungo termine dei modelli metereologici medi che definiscono il clima a livello locale, regionale e globale. Il cambiamento climatico cominciò praticamente ad inizio del 1800, a causa di una industrializzazione basata sull'utilizzo dei combustibili fossili, producendo ingenti emissioni di gas serra nell'atmosfera.
Se è vero che il clima della Terra è cambiato varie volte nel corso dell'esistenza del pianeta (i ghiacciai, ad esempio, si sono ritirati varie volte, ma attraverso cicli di durata di migliaia di anni), quest'ultimo cambiamento è stato molto veloce, e, per portare un esempio, il diossido di carbonio nell'atmosfera dal 1950 ad oggi è passato da 300 a 400 parti per milione.
In realtà, del cambiamento climatico e delle sue ripercussioni sul pianeta si cominciò a palare già ad inizio dell'Ottocento, e fu proprio una donna, Eunice Newton Foote, a dimostrare sperimentalmente nel 1876 come agiscono sull'atmosfera terrestre i gas serra come la CO2 (anidride carbonica).
Insomma l'azione antropica è la causa principale della situazione climatica attuale, e le più importanti fonti di emissione di gas serra provengono dal settore energetico (25%), che brucia combustibili fossili come il carbone, il petrolio e il gas naturale. Altri settori sono l'industria alimentare (20,4%), che oltre alla produzione di metano, prodotto dagli animali, e di fertilizzanti azotati, distrugge il suolo per fare spazio a monocolture, favorendo la deforestazione, i trasporti (14%), l'industria manifatturiera (17,9%) ed altri piccoli settori.
Inotre, c'è da osservare che più aumenta la popolazione e più aumenta il consumo, tenendo conto che attualmente l'uomo continua ad utilizzare il 60% in più delle risorse che la natura riesce a generare. Tutto questo, ovviamente, provoca innumerevoli effetti negativi, anche irreversibili. La riduzione dei ghiacciai, con il relativo loro scioglimento, comporta una serie di gravi problemi per tutto il pianeta, perchè, oltre all'innalzamento dei livelli del mare, rilascia in atmosfera gas climalteranti, prima chiusi nei ghiacci perenni.
Il cambiamento climatico porta ad una maggiore intensità e frequenza di eventi meteorologici estremi, come uragani e tifoni devastanti, oltre a piogge concentrate in poco tempo, che provocano alluvioni e frane e, a seguire, periodi prolungati di siccità. L'Agenzia Europea dell'Ambiente (EEA) ha calcolato che tra il 1980 e il 2015 i danni dovuti al clima ammontano a 433 miliardi di euro solo nell'Unione Europea.
L'Italia, come gli altri Paesi del bacino mediterraneo, è soggetta ad aumenti di temperatura e di essere investita da periodi sempre più lunghi di siccità, prevalentemente nel sud. Un recente studio, uscito sulla rivista dell'Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti e da una ricerca fatta dalla Scuola Superiore di Pisa, dimostra che le anomalie climatiche hanno effetti negativi sull'economia e sulla società, non solo aumentando il divario tra Nazioni ricche e povere, ma anche la disuguaglianza tra le classi in uno stesso Paese.
Nei Paesi in cui la gran parte della popolazione lavora nel settore agricolo, è questa la più penalizzata, abbassando le entrate dei singoli, e, visto che la riduzione dei redditi avviene per la fascia più svantaggiata della popolazione, la forbice della diseguaglianza si allarga sempre di più. Infatti il cambiamento climatico è, e sarà, una delle principali cause che spinge sempre più persone ad emigrare, soprattutto da quegli Stati che partono dalle situazioni economiche più difficili.
Secondo le Nazioni Unite ogni anno ci sono oltre 23 milioni di migranti climatici, cioè persone obbligate a lasciare la loro terra per siccità o per inondazioni continue, che colpiscono specialmente le comunità più fragili e i Paesi più vulnerabili. Nonostante tutto ciò, ci sono persone che continuano a negare l'evidenza, affermando che non c'è emergenza climatica e che non esiste nessuna prova che l'anidride carbonica sia una delle principali cause del riscaldamento globale: i cosiddetti “negazionisti”.
Tutto ciò, nonostante che il 97-98% delle pubblicazioni scientifiche dimostrino che il cambiamento climatico è reale, ed è legato alle emissioni antropogeniche di gas serra. Gli interessi capitalistici sia degli Stati, sia delle industrie, porta a scegliere la soluzione che mantenga in piedi il proprio profitto senza tenere conto delle conseguenze che le loro scelte possono influire sulla vita delle persone.
Così, abbiamo il voto contrario (opponendosi all'obiettivo dell'Unione Europea di avere una quantità di emissioni al 2050 pari agli assorbimenti operati da boschi, foreste e suolo) di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca ed Estonia, praticamente i Paesi del Visegrad, che, guarda caso, generano l'80% della loro energia usando carbone. La lettera aperta, inviata da una manciata di scienziati che negano il cambiamento climatico, ha lo scopo di creare dubbi tra la popolazione, facendo sponda ai giornali di destra.
La campagna è guidata da un gruppo olandese (Climate Intelligence Foundation – CLINTEL), finanziato dall'immobiliarista Sandmann e da un ex-dipedente della Shell, un certo Berlchout. Tra i firmatari della lettera solo pochi hanno formazione in scienze del clima, e gli altri sono geologi, ingegneri ed intellettuali.
Le compagnie di petrolio sono state, e sono, le più attive per negare il cambiamento del clima, investendo un miliardo di dollari per screditare l'emergenza climatica, e dai loro archivi sono spuntati fuori documenti di decenni e decenni di disinformazione legata agli effetti delle emissioni, distorcendo e delegittimando le scoperte scientifiche sul clima, per manipolare l'opinione pubblica e fermare eventuali politiche ambientaliste.
Il negazionismo è arrivato anche in Italia, prendendo diverso spazio con talk-show, tavole rotonde ed interviste sui giornali. I più patetici sembrano A. Giambruno, compagno della Meloni, e Vittorio Feltri, che è senz'altro il provocatore più abile della stampa italiana, Essi cercano di spiegarci che i cambiamenti climatici c'erano anche nel passato, e quindi non dipenderebbero dall'uomo.
Dicono che l'aumento della temperatura non sarebbe un male, che manca il consenso scientifico, che non ci sono dati a dimostrare che l'ultimo decennio è stato il più caldo, ed infine che sia le piante, che gli animali, si adatteranno in fretta, alla faccia del dato di fatto che molte specie stiano sparendo.
Purtroppo i negazionisti riescono a creare dubbi tra la popolazione, se il Rapporto Censis sulla comunicazione in Italia dice che il 34,7% degli italiani è convinto che c'è troppo allarmismo sul cambiamento climatico, il 25.5% che l'alluvione in Romagna è la risposta a chi parla della progressiva desertificazione, e il 16,2% sono negazionisti assoluti. Se è vero che gli scenari apocalittici nel breve periodo potrebbero essere fuori luogo, sono ancora più pericolose posizioni di disinteresse, di fatalismo e di negazionismo.
Questa fotografia sintetica del nostro pianeta rende comunque urgente un intervento, se non per arrestare, almeno per frenare questo tracollo ambientale. Ma a chiedere ai veri responsabili del disastro ambientale di intervenire è abbastanza ingenuo e utopistico. Il sistema di questa situazione è stato voluto ed imposto dai detentori dei mezzi di produzione, cioè i capitalisti. Il capitalismo produce per il profitto, che può estrarre immediatamente dallo sfruttamento della forza-lavoro, indipendentemente dalle conseguenze che potrebbe avere per l'uomo e la natura.
Certamente non è la classe lavoratrice la corresponsabile di questo disastro, ma sarà la classe che pagherà di più in termini di sicurezza, di reddito e di salute, perchè il capitale, come pretesto, cercherà anche di usare il cambiamento climatico per inasprire la repressione e lo sfruttamento della classe lavoratrice. Il capitale, per sua natura non può e non vuole mettersi sulla strada di fermare il cambiamento climatico, non intervenendo neppure sui danni che esso provoca (dissesti geologici, come frane, allagamenti, siccità.. .).
Il Governo Meloni dirotta ben 15,9 miliardi del PNRR dall'impiego nel piano per il dissesto idrogeologico a misure ritenute più urgenti, tra cui il piano RepowerEu per accelerare la transizione “green” e l'autonomia energetica del Paese. Tutta la strategia della classe dominante è sul "mix energetico", la transizione e lo storage CCS (cattura delle emissioni di CO2 provenienti dai processi industriali), che servono poco ad affrontare il cambiamento climatico, ma molto a diversificare gli introiti delle multinazionali del settore energetico, che continuerrano a fare profitti sia con le fonti fossili sia con le fonti rinnovabili.
Se effettivamente si vuole porre un freno agli eventi calamitosi, si deve assumere una chiara e coerente prospettiva anticapitalistica, e la classe lavoratrice deve diventare proprietaria dei mezzi di produzione, perchè, se le risorse privatizzate sono merci che si vendono sui mercati, invece di essere gestite per l'interesse della collettività, non ci sarà nessuna via d'uscita. Solo una società socialista, dove una pianificazione delle risorse economiche e naturali sono a beneficio della comunità, ci può fare uscire dal tunnel in cui il capitale ci ha portato.
Ultima nota per Greta, a cui va riconosciuto, al di là del fatto se sia o meno divenuta uno strumento di lobbies legate ai profitti delle produzioni “green”, il merito storico di avere portato al centro del dibattito il cambiamento climatico, ma chiedere al capitalismo stesso di intervenire per farlo cessare, è un ottimismo illusorio, perchè il capitalismo per sua natura è necessariamente incompatibile con il rispetto della natura e dell'uomo, e i politici posti al servizio dello status quo sociale non possono e non vogliono intervenire in modo radicale, perché subalterni alla natura del capitale e alle sue dinamiche.

Alternativa di Classe

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