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(8 Novembre 2023)
Uno spettro si aggira tra i palazzi dei governi in occidente.
Dopo 75 anni di tentativi andati a vuoto di eliminare la resistenza palestinese, essa è più viva che mai.
Gli abitanti di Gaza non sono supereroi, i loro bambini, a cui è negato ogni diritto, provano lo stesso terrore che avrebbero i nostri. Le loro madri lottano da anni per sopravvivere in una condizione che noi, qui, non sapremmo sopportare neanche per mezza giornata. Forse sono loro le vere eroine in questo massacro. Oggi gli abitanti di Gaza sono una massa di proletari ridotti allo stremo. Si, possiamo legittimamente chiamare proletari coloro che hanno perso la casa, che hanno subito il furto delle terre, che non possono muoversi, che vivono disussidi da anni, che lavorano per due lire, che sono sistematicamente trattati come animali. A questo punto, non stiamo a chiederci se producono o meno plusvalore, sappiamo che il capitale li odia e li combatte come fa con tutti gli sfruttati e oppressi che si ribellano.
Ci chiediamo piuttosto come fanno a sopravvivere e a resistere. Ciò è possibile per una sola ragione: la loro personale e collettiva memoria storica, che può risalire di generazione in generazione, e parla sempre di resistenza e lotta. In ogni famiglia, in Palestina e nella diaspora, c’è un bisnonno che ha lottato contro l’occupazione inglese, una nonna che ha lasciato la sua casa portandosi la chiave al collo, una madre che partecipava alle battaglie dei fedayn, un padre che nella prima intifada prendeva a sassate i carri armati, una sorella che riempiva la casa di bambini obbedendo ad un cieco istinto di sopravvivenza… tutto questo è carne e sangue di chi oggi è costretto a fuggire e a lasciare la propria terra. E li rende sempre più assetati di pace e di giustizia. Scivolano via i piccoli sotterfugi, i tentativi di cavarsela in qualche modo, le miserie umane della vita di tutti i giorni, la fiducia nei propri rappresentanti. Ognuno si riappropria del senso della propria vita, della propria fede. Una fede che non acceca e non assolve. Già recentemente, in Egitto e in Iran, il richiamo alla fede comune non è stato sufficiente a mascherare le vere intenzioni dei Fratelli Mussulmani o degli Ayatollah al potere o a frenare le rivolte. Né lo sarà in futuro.
Le donne in Palestina sanno bene di avere a che fare con una mentalità patriarcale che non potrà essere adeguatamente affrontata se permarrà lo stato di occupazione, come hanno sperimentato nella lotta contro il colonialismo e il razzismo le donne dei paesi del sud del mondo. Esse oggi ci ricordano che la condizione della stragrande maggioranza delle donne è simile alla loro, anche se meno cruenta, e obbligano i movimenti femministi “bianchi” a ristabilire le proprie priorità. Saranno questi a dover dimostrare di essere all’altezza dei compiti di un movimento che si dice femminista e che dovrebbe essere globale, ma che nella sua storia è già stato giustamente criticato per la sua estraneità al destino delle donne del sud del mondo, delle donne nere, delle immigrate.
Il tentativo di farla finita una volta per tutte con Gaza e l’idea stessa di Palestina, seguito con malcelata impazienza dai governi occidentali sta provocando un effetto imprevedibile. Vorrebbero svuotare Gaza e invece si riempiono le piazze di mezzo mondo. L’appiattimento occidentale sullo stato di Israele, sul suo stile di vita e sui valori che rappresenta non funziona più come un tempo. Sempre più ci si rifiuta di essere complici di uno sterminio di massa. Dobbiamo ringraziare Israele per il suo parlar chiaro. Ma quale civiltà, quale democrazia, quale diritto internazionale, quali crimini di guerra? È il capitalismo, bellezza! È il colonialismo, è il razzismo! Ma quale convenzione di Ginevra: è il terrorismo di stato! Ma quali due popoli due stati? Basta col belato ipocrita dell’unica soluzione possibile, mentre si lascia libero sfogo alle gang dei coloni di tenere sotto lo schiaffo i villaggi palestinesi della Cisgiordania.
Queste verità richiamate nelle nostre piazze dagli esuli palestinesi, anche e soprattutto i più giovani, scuotono le coscienze e chiamano in causa masse imponenti, dalle Americhe all’Australia, dal medio Oriente all’Europa, dal Sudafrica all’Indonesia.
Ci si chiede cos’hanno in comune le piazze indonesiane con i pezzenti di Gaza? Il fanatismo religioso o non piuttosto il bisogno di riscatto? E gli eredi della Brexit che hanno riempito le città britanniche? Non è forse la vergogna del passato coloniale e il rifiuto di pagare il prezzo delle politiche di guerra del loro governo? E le masse di Parigi che si fanno beffe dei divieti di Macron, e scendono in piazza, non compiono forse un piccolo passo verso i dannati della terra che popolano le banlieues, per superare l’abisso che li vuole divisi? E le folle di Berlino, non smascherano forse il ricatto dell’antisemitismo, che serpeggia lì e ovunque per tacitare lo sdegno contro i neo-nazisti al potere in Israele?
Sappiamo che questo non basta per fermare la mano criminale del sistema. Che ci vuole costanza nella denuncia, organizzazione e strategia.
Che il prezzo da pagare è altissimo, come lo è stato, nella nostra storia, quello di ogni ribellione, a cominciare dalla gloriosa Comune di Parigi, che costò ai rivoltosi 30.000 morti, alla quale i rivoluzionari di tutto il mondo fanno ancora oggi riferimento.
Per non parlare delle guerre di liberazione: Algeria, Vietnam…
Sappiamo che a breve si farà di tutto per stendere il silenzio stampa su ciò che accade veramente in quella minuscola parte del mondo. Che saremo ammorbati dalle beghe degli ultimi squallidi arrivati al governo. Ma l’attacco contro di noi continuerà. E noi dovremo continuare, consapevoli che anche noi abbiamo una “patria” da difendere, che si trova in nessun luogo e ovunque: quella in cui le donne e gli uomini oppressi e sfruttati potranno costruire il comune futuro.
Di essa la Palestina che resiste è oggi il simbolo.
Comitato 23 settembre
1955