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(1 Febbraio 2024)
Il convegno della Rete Nazionale Lavoro Sicuro svoltosi il 20 gennaio a Vignola1, in collaborazione con Si Cobas, ha avuto come cardine l’inscindibile correlazione tra sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro. Quando si dice che la prevenzione è sicurezza e la sicurezza è prevenzione, non si vuole fare solo un gioco di parole, ma ribadire la loro relazione indissolubile: non ci può essere scissione tra queste due polarità. Solo se combinate e perseguite unitariamente possono garantire la salute che deve sempre essere anteposta alla logica della produttività.
Mosso da questi presupposti, il convegno ha visto la partecipazione di circa 70 convenuti, in prevalenza lavoratori. Una presenza che ha ancorato alla concretezza i temi, allontanando ogni astrattismo e velleità intellettuale.
Siamo dalla parte di chi deve versare lacrime amare per la perdita di un figlio di 23 anni, morto perché nel cantiere edile non sono state rispettate neanche le minime misure di sicurezza.
La madre di Mattia Battistetti ha voluto consegnare al convegno uno scritto che ci esorta a batterci affinché il lavoro non sia una trincea di afflizione e morte. “...Dietro a ogni persona vittima di questi omicidi perché di omicidi veri e propri si tratta ci sono degli affetti, dei progetti, delle famiglie distrutte. A chi mi parla di morti bianche dico sempre che di bianco non c’è proprio nulla, solo il buio della disperazione...il nostro motto è che non dobbiamo mai mollare...”.
Questo messaggio, tra gli altri pervenuti, ha dato inizio al convegno dedicato, in particolar modo, al resoconto dell’inchiesta operaia che abbiamo svolto sul comparto carni di Modena e all’esperienza dei “gruppi operai omogenei” che si sono costituiti in due stabilimenti per portare alla luce i gravi rischi ai quali sono esposti i lavoratori e le lavoratrici in catena di produzione.
Cosa pensano i lavoratori e le lavoratrici della loro condizione presente? Una volta tanto non si è partiti da interpretazioni fornite da soggetti esterni sui diretti interessati. Nelle testimonianze dirette dei lavoratori è emersa una lineare messa a fuoco di cosa li opprima e una conseguente formulazione di obbiettivi da tradursi in piattaforma rivendicativa.
Il metodo dell’inchiesta applicato ai “gruppi operai omogenei” ha fatto emergere la consapevolezza della dimensione collettiva dei problemi, sottraendoli a un’alienazione che li fa gravare solo sulle spalle di singoli lavoratori e singole lavoratrici.
L’afflizione coinvolge tutta la persona, corpo e spirito, dentro gli stabilimenti e in modo pervasivo nella vita di tutti i giorni. Cresce la consapevolezza che le condizioni di lavoro siano subordinate esclusivamente alle logiche produttive. Ritmi e sovraccarichi inumani di lavoro, temperature gelide degli ambienti, sintomi e patologie che proliferano, dolori diffusi a tutto il corpo trovano nelle descrizioni minute, nel calvario di tutti i giorni, conferme generali.
Sulle linee di produzione vi è un assottigliarsi del numero dei lavoratori e delle lavoratrici a fronte di un’accelerazione del lavoro che aumenta sempre di più, di anno in anno. Ebbene questa situazione tecnico- produttiva si risolve in una vera e propria violenza.
Così il capo reparto al rientro dalla pausa: “Ma dove eri finito? ci hai messo troppo!”.
Drammatica la testimonianza di un lavoratore che recentemente, in uno degli stabilimenti del comparto, ha perso un occhio manovrando il coltello con il quale tagliava la carne perché costretto a dei ritmi insostenibili e a compensare la carenza di personale.
Così un suo compagno si fa portavoce di quanto è accaduto: “Quel giorno stavamo lavorando insieme, io e lui, la linea era molto veloce e piena di carne (da tagliare), normalmente lavorano due persone con lui, ma in quel momento lui lavorava da solo, di conseguenza si è ferito e colpito un occhio, ora è cieco. Adesso lui ha sempre male all’occhio e alla testa (per i tanti pensieri), non vede niente. (…) Se non tagliamo la carne seguendo il ritmo è sempre colpa nostra, arrivano i richiami, i capi ci dicono ‘fai, fai, fai’, tutti noi abbiamo paura, il capo dice sempre ‘fare, fare, fare veloce’ e questo non va bene!”
Questi sono i fotogrammi di un film che si ripete tutti i santi giorni e nessun “happy end” è previsto nel copione aziendale che contempla cure e attenzioni solo per la merce che deve incontrare i favori del mercato, mentre nessun riguardo è previsto per la forza lavoro, anzi più si usa e abusa dei lavoratori e delle lavoratrici più cospicui saranno i profitti.
Per evitare di snocciolare il rosario delle privazioni e delle sofferenze che sarebbe infinito può servire il commento lapidario formulato da un lavoratore che ha preso parte al dibattito, articolatosi sui temi dell’inchiesta: “I ritmi di lavoro, i pesi da sollevare, il freddo, le sollecitazioni e le angherie fanno male alla mia vita, fanno male alla mia vita lavorativa. So che se continua così a cinquant’anni non sarò più in grado di lavorare!”.
Un significativo intervento portato al convegno è stato quello di Daniela Trollio del “Centro d’Iniziativa Proletaria Tagarelli” di Sesto San Giovanni (MI) e “Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio”, che ci ha ricordato le lotte operaie contro le stragi causate dall’amianto, esortando i lavoratori e le lavoratrici a continuare la propria lotta per la tutela della salute che solo la forza operaia potrà trainare: “La questione della salute è sempre sottovalutata, è vero che il salario ci permette di sopravvivere, ma la sicurezza ci serve per vivere...la sicurezza sul lavoro deve stare al primo posto in ogni rivendicazione e piattaforma sindacale”.
Tra gli intervenuti da remoto, Ezio Gallori, tra i primi a lanciare l’allarme per le troppe morti sul lavoro e a promuovere la costruzione della Rete Nazionale Lavoro Sicuro, che ha condiviso l’esortazione a continuare con il lavoro intrapreso.
Ci è giunto anche un messaggio da parte di Lanfranco Turci che concorse al varo della legge regionale n. 33 del 1979 in Emilia-Romagna centrata sulla tutela del lavoro. Nel suo scritto ha messo in luce come le conquiste portate dalla stagione di lotte operaie si siano allontanate e come, al vivace protagonismo dei lavoratori, sia subentrata una passività e una normativa speciosa che registra, protocolla ma non interviene a sanare ferite e lutti.
Il suo intervento ha sottolineato l’importanza del lavoro di Rete e Si Cobas nel riannodare il filo rosso di una stagione di lotte che si caratterizzò per la prepotente spinta operaia e pur in assenza di quadri normativi favorevoli seppe far avanzare la cultura e la pratica della sicurezza sino a proporre un modello di sanità diffusa e universale di cui oggi si conservano solo le premesse retoriche, puntualmente invalidate dalla pratica. Oggi, pur in presenza di una ricca messe di normative e illuministici simposi sulla prevenzione, ma in assenza di lotte e protagonismo operaio, la margherita dei diritti viene sfrondata ogni giorno e schiacciata dalle macine della produttività e del profitto.
Infine è stato letto un messaggio di Federico Gelli, rappresentante della CUB di Pisa. Dopo aver espresso apprezzamenti per l’indagine condotta sul campo e centrata sui “gruppi operai omogenei” ha sottolineato la necessità di un’azione militante perché “da troppi anni l’approccio alla sicurezza è fin troppo tecnico, fatto di tecnicismi costruiti ad arte per imbrigliare i rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza nella rete aziendali, in ruoli meramente subordinati ai datori, ai responsabili aziendali”.
Particolarmente centrata la riflessione su quanto avviene, in particolar modo nel pubblico impiego: “Numerosi lavoratori e delegati sospesi e licenziati per avere pubblicamente denunciato condizioni lavorative senza sicurezza e senza tutele reali”.
Il giorno prima del convegno si è tenuta un’assemblea sindacale in uno degli impianti del distretto carni di Vignola, che possiamo considerare premessa e parte integrante del convegno. I sindacati confederali dopo lunga assenza sono ricomparsi per contestare la validità dell’elezione degli RLS, adducendo speciosi motivi di protocollo, non tenendo conto che i lavoratori si erano espressi a larghissima maggioranza a favore di delegati a loro non graditi.
Stucchevole il tentativo di parlare di aumenti salariali che sarebbero il vero obbiettivo da contendere ai padroni. Da che pulpito! Il loro intervento d’operetta, in sintonia con le direttive aziendali, si è
risolto in un boomerang.
I lavoratori hanno chiesto conto di dove fossero costoro quando le lotte di lavoratori e lavoratrici del Si Cobas, pezzo dopo pezzo, hanno ricostruito condizioni di lavoro più dignitose nell’impianto nonché ribadito che le votazioni si sarebbero potute ripetere pure all’infinito, ma non sarebbe certo cambiato l’esito.
Questa unità d’intenti tra padronato e tirapiedi la dice lunga su quanto sia importante promuovere l’elezione di RLS che esprimano una forza operaia, eletti direttamente dai lavoratori e dalle lavoratrici, ovviamente, e non nominati attraverso intese più o meno oblique tra sigle sindacali compiacenti e direzioni aziendali.
Ciò che ci attende nei prossimi mesi è la richiesta di confronto o di conflitto su di una piattaforma con le seguenti rivendicazioni:
a) pause adeguate;
b) rivendicare una riduzione dei ritmi di produzione;
c) trasformazione tecnica delle linee di produzione che nei fatti non permettono un sufficiente distanziamento tra lavoratori;
d) rivalutazione di tutto il ciclo di movimentazione manuale dei carichi che non permette ai lavoratori di rispettare le indicazioni pur esplicitate dai corsi di formazione;
e) rivendicare nuove assunzioni per evitare che in pochi si debba fare sforzo aggiuntivo per compensare le carenze sulla linea di produzione;
f) imporre il confronto sulle problematiche inerenti l’esposizione prolungata a temperature non sopportabili dal nostro organismo, con esposizione a correnti di aria fredda che fanno vivere l’idea di recarsi al lavoro come un incubo;
g) rivendicare un cambiamento di rotta sul problema dell’abbigliamento per evitare congelamento delle articolazioni;
h) combattere lo stress da lavoro causato da tensioni via via in aumento con i sovraordinati che pretendono prestazioni sempre crescenti; ripensare il ruolo sindacale anche dal punto di vista della elaborazione dei PDR aziendali;
i) pretendere il rispetto della corretta movimentazione dei carichi in merito al sollevamento da terra, perché i tempi di lavorazione impediscono di fare i movimenti in modo corretto; spesso i movimenti di traino e spinta si svolgono con un personale insufficiente che viene sottoposto a sforzi al di sopra delle possibilità: questo si verifica per la continua ricerca di avere una quantità di persone assunte sempre rasente il minimo e quando si è di fronte ad una assenza per malattia si scarica questo fatto come una colpa del lavoratore assente che viene tacciato di assenteismo e sul lavoratore o sulla lavoratrice presente che viene nei fatti obbligata a svolgere una mansione al doppio dello sforzo. Se poi il committente si rende conto che con meno persone si può svolgere lo stesso lavoro, si verifica una pressione al fine di ridurre il numero fisso di addetti alla produzione; Questo è da combattere imponendo il dialogo anche con la committenza.
j) Pretendere la presenza di un numero di persone sufficiente a dare le pause fisiologiche, a cambiare postazione per evitare di svolgere movimento troppo ripetitivi;
k) imporre una evoluzione delle dotazioni tecnologiche atte a favorire la diminuzione dello sforzo umano;
l) ribaltare la concezione secondo la quale “la colpa” per gli incidenti è a carico di chi lavora: la colpa è di chi organizza il lavoro, non di chi subisce le conseguenze degli incidenti. Tenere ben fermo il concetto. Questo significa che devono diminuire progressivamente e velocemente le patologie correlate al lavoro, la sensazione di disperazione nel pensare di recarsi in azienda. Non siamo noi lavoratori a doverci adeguare alla produzione, ma è la produzione che deve adeguarsi alle nostre possibilità. I rumori eccessivi devono essere eliminati, non dobbiamo essere costretti a “sopportare”. Non ci deve essere neppure il rischio di scivolare o di inciampare: solo così si smetterà di farlo.
m) Inail deve essere ribaltata nelle sue funzioni: ora sembra che la attività sia funzionale a subordinare i lavoratori alle esigenze di produzione perché l’attività di prevenzione è assente. Si deve svolgere un lavoro di costruzione della prevenzione primaria degli incidenti, perché è questo il modo in cui gli esborsi possono diminuire.
n) Dobbiamo combattere il timore nei confronti del medico competente, figura di nomina aziendale: lo possiamo fare solo chiedendo che diventi un soggetto terzo di nomina ASL. Al momento ci sono notizie frequenti di medici competenti che promuovono attivamente il licenziamento di chi non è più idoneo a causa della usura fisica da lavoro.
o) Il nostro obiettivo è di capire se gli incidenti o i quasi incidenti vengono segnalati all’Inail e se non lo sono fare sia che le segnalazioni diventino una pratica abituale. Si deve contrastare la pratica per cui di frequente i lavoratori vengono medicati in modo improprio dentro l’azienda con urla dei responsabili che colpevolizzano chi si fa male. Se poi si è in prova o con contratti a termine si è quasi certi di essere lasciati a casa, oltre a subire danni fisici talvolta non reversibili.
p) Dobbiamo smettere di farci curare a spese nostre per le patologie che derivano da problemi lavorativi, perché sempre più spesso dobbiamo sottoporci ad esami proposti dal nostro medico curante personale che risultano a carico nostro, mettendo in crisi la nostra condizione reddituale;
q) i responsabili di produzione aziendali sembrano preavvisati quando avvengono i controlli sanitari, perchè le linee puntualmente funzionano a velocità ridotta ed i lavoratori hanno la sensazione che le aziende vengano preavvisate in modo che chi controlla non possa rilevare gli stress reali ai quali si viene sottoposte e sottoposti.
r) Questo comporta il fatto che la formazione, l’informazione e la sorveglianza sanitaria siano inadeguate rispetto al contesto nel quale ci troviamo ad operare. Occorre una trasformazione complessiva della cultura sociale del lavoro di prevenzione che nei fatti risulta completamente assente.
DOCUMENTI DA ACQUISIRE
1) Relazione annuale del medico competente (dovrebbe essere presentata e discussa con datore di lavoro, rspp,rrlls) degli ultimi tre anni.
2) Numero di lavoratori dichiarati inidonei o con limitazione della idoneità (ovviamente dati anonimi come per il punto precedente).
3) Certificati inviati dal medico competente all’Inail e alla Ausl (sempre dati anonimi).
4) Quadro complessivo dei certificati (in quanto alcuni possono essere stati inviati all’Inail dal medico di base o dal medico del patronato).
5) Protocollo delle visite mediche (periodicità e tipo di esami effettuati).
6) Riscontri delle visite annuali del medico competente nei locali di lavoro.
7) L'rls deve essere informato dall'organo di vigilanza in caso di prescrizioni (vengono omessi solo i dati sensibili del verbale di prescrizione).
8) Eventuali riscontri di indagini della magistratura.
9) Lavoratori assunti con la legge 68/1999 ( posti “vuoti” ? eventuali esoneri aziendali).
10) Fotocopia registro infortuni degli ultimi tre anni.
11) Eventuale presenza di registro “near accident” (infortuni mancati).
12) Copia DVR.
13) Valutazione del rumore se non inclusa nel DVR.
14) Valutazione del distress anche in relazione alle differenze di genere, di età e di paese di provenienza.
15) Dati turn over negli ultimi tre anni.
16) Quadro delle sanzioni disciplinari degli ultimi tre anni (“motivazioni” ed entità).
17) Quadro delle “perdite” dei premi di risultato mensile legato alla presenza (dati differenziati per sesso).
18) Presenza o assenza di apparati di cardioprotezione (defibrillatore).
19) Quadro (se significativo ) del pendolarismo
20) Quadro dei percorsi di formazione per lavoratori, preposti, rspp, datore di lavoro, primo soccorso, squadra antincendio ecc.
rete nazionale lavoro sicuro
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