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(28 Febbraio 2012) Enzo Apicella

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Difesa dalla Tav; non rivolta contro la Tav

(13 Dicembre 2005)

In questo momento in cui la vicenda della costruzione della linea ferroviaria TAV in Val di Susa appare entrare in una fase diversa, che sarà probabilmente contrassegnata dal tentativo di uscire dalla spirale repressiva e di aprire un meccanismo di “dilatazione dei tempi”, al fine di esplorare la possibilità di segmentare e neutralizzare il movimento che si è formato, vale la pena di sviluppare alcune riflessioni di carattere generale.

E' davvero mutato, per intanto, il riferimento teorico complessivo al riguardo delle questioni dello “sviluppo” (intendendo questo termine nell'accezione ottocento-novecentesca).

Alla fine dell'800, infatti, il traforo del Sempione fu celebrato dal ballo Excelsior, proprio per il suo significato di abbattimento delle barriere; oggi che la velocità del processo di scambio delle merci e delle informazioni (un po' impropriamente definita come “globalizzazione”) rende secondario questo abbattimento delle barriere simboleggiato attraverso il “bucare le montagne”, la reazione è ben diversa.

Siamo, forse, alla fine del mito dell'espansione illimitata, dell'era delle scoperte geografiche.

Emergono, nell'immaginario collettivo, nella stessa percezione di massa, valori diversi, nemmeno veicolati dai grandi strumenti della comunicazione: valori non solo post – materialisti (come era nella vulgata comune, a partire dagli anni'80) ma di conservazione di determinate condizioni di vita, nelle quali va compreso, a pieno titolo, l'utilizzo del territorio.

In quella che ho cercato di definire “difesa dalla TAV” (proprio perché mirata a conservare determinate condizioni ed equilibri socio-territoriali) e non “rivolta contro la TAV” ( sarebbe stato un segnale di ribellismo non identificabile), non si sono sentiti accenti di “piccola patria”, non c'è stato, fin qui, il rifiuto del contatto esterno, si è soltanto riaffermata una presenza sociale “non mediabile”, in quanto rappresentata come tale di fronte ad un obiettivo preciso.

La scelta di oggi è quella di una politica che cercherà di aggirare questa “presenza sociale” attraverso la tecnica del logoramento, sostituendo quella del blitz poliziesco (anche le ruspe facevano parte del blitz poliziesco, non soltanto i manganellatori).

Ma la politica, questo mi interessava mettere in luce, ha già dimostrato tutta la sua insufficienza non recuperabile sul piano del rapporto sociale.

Prima di tutto è mancata proprio l'analisi sociale.

Accadrà, è facile prevederlo, anche in altre situazioni (ad esempio rispetto al terzo valico, nell'entroterra tra la Liguria ed il Piemonte): l'establishment economico – politico che punta su questo tipo di realizzazioni, sottovaluta, perché non è in grado di capire, le risposte parziali, la formazione dei comitati, quello che appare una parzialissima insorgenza della società magari condotta in forme esclusivamente protestarie.

Poi, arriva l'esplosione, a dimostrazione della realtà profonda che queste risposte parziali esprimono, e si comincia a blaterare di inquinamento, di anarco – insurrezionalisti, e via dicendo stupidaggini.

Da parte della politica manca, ormai, soprattutto questo: la capacità di esplorare le pieghe della società, per capire e non soltanto per mediare sulle tecniche di governo.

Sono ormai del tutto assenti i soggetti della mediazione classica, ormai superati dalle lobbies e dai comitati, più o meno d'affari, adagiati nella ricerca del consenso a buon mercato, capaci soltanto di leggere i sondaggi e non interessati a comprendere lo sviluppo sociale ed il suo divenire.

Meno che mai, questi soggetti, interessati a ricostruire una idea della teoria politica.

Le istituzioni locali sembrano diventate, ormai, l'anello debole di questa situazione, soffrendo della nuova dislocazione dei poteri tra sovranazionale ed extra – istituzionale (Chi ha deciso la TAV? Lobbies economiche e livelli di governo non democratici, collocati lontano, in una Europa nemmeno immaginata, come hanno dimostrato i voti referendari di Francia e Olanda).

Da un episodio, tutto sommato periferico, come la difesa dal progetto della TAV attuato dalle popolazioni della Val di Susa emerge un messaggio generale di crisi di egemonia, che corrisponde alla difficoltà di delineare una prospettiva collocata oltre l'idea delle “magnifiche sorti e progressive”.

Siamo privi di punti di riferimento: in questa situazione ogni accenno al prevalere di un presunto “interesse generale”, come hanno tentato di fare alcuni commentatori con l'orologio della storia parecchio all'indietro, cade nel ridicolo ma in campo pare non rimanere altro che una possibilità di autorganizzazione sociale, tutta misurata in chiave difensiva.

Insomma: emerge, più che mai, l'imperativo della ricostruzione della politica.

Savona, li 12 Dicembre 2005

Franco Astengo

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