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La campagna elettorale, iniziata ben prima della chiusura delle camere, è ormai giunta al suo picco. Essa si traduce da mesi in un incessante balletto delle dichiarazioni tra i candidati dei due poli. Un balletto che è tanto più incandescente quanto meno affronta problemi reali, risultando avulso dalla realtà quotidiana di milioni di persone. Ciò che più colpisce è che si tratta d’un evento mediatico di primissimo piano, tale da coprire tutto il resto. Tanto che, ad esempio, le esternazioni d'un Mastella fanno molto più notizia delle morti bianche nei cantieri di tutt’Italia. La sensazione è che agli elettori venga chiesto di valutare anzitutto le prestazioni televisive dei leaders, in un meccanismo che non contempla discussioni reali. E' vero: ogni tanto i partiti illustrano i loro programmi. Ma quando ciò avviene non emergono certo identità politico-culturali tra loro realmente distinte, esprimendosi solo diversi modi di attuare la stessa visione di fondo degli assetti sociali.

Una visione improntata al trionfo del libero mercato, all’assoluta libertà d'azione delle imprese ed alla precarietà del lavoro e della vita. Si pensi alla legge 30, che ha segmentato il mercato del lavoro in una miriade di contratti, creando situazioni di precarietà insostenibile. Essa, certo, è il principale vanto di Berlusconi, ma ha avuto la strada spianata dal pacchetto Treu, a suo tempo voluto dal centrosinistra. Non a caso, la leadership dell'opposizione non propugna l'abrogazione della legge 30, essendo invece intenzionata ad integrarla con i cosiddetti ammortizzatori sociali. E distanze reali non si registrano nemmeno nella politica estera. Sicuramente quell’atteggiamento ridicolmente ossequioso nei confronti di Bush che ha distinto il centrodestra, sarà mitigato da Prodi. Ma in una direzione che è sempre quella del mantenimento - anche con l’uso delle armi - del dominio occidentale sul mondo, magari con un maggiore ruolo per l'UE e con un consolidamento della posizione dell'Italia. Il che, tradotto, vuol dire rafforzamento della presenza italiana nei vari scenari bellici, nonché creazione di un esercito europeo raccordato alla Nato, come recita proprio quel programma dell'Unione che è stato sottoscritto anche da due partiti "comunisti".

Insomma, tra centrodestra e centrosinistra, al di là del fumo negli occhi delle liti di questi giorni, vi sono solo sfumature diverse. Si tratta di due forze intercambiabili, come vuole quella logica dell'alternanza che, contrabbandata come compimento della democrazia, in realtà coincide con la divisione della classe politica in due poli che rispondono agli stessi input, provenienti dai settori economicamente dominanti nella società. Le altre istanze sociali, che un tempo erano almeno considerate, seppur per essere ricondotte nell'alveo della mediazione parlamentare, ora non sono più contemplate. Nei confronti di quanto emerge dal basso c'è solo una costante diffamazione, che prescinde totalmente dalla fondatezza delle sue ragioni. Si pensi alla lotta contro l'Alta velocità in Val di Susa: si tratta d'un fenomeno di protagonismo popolare, nonché di una riflessione collettiva sugli effetti nefasti d'un modello di sviluppo. Ma sui grandi quotidiani essa viene ridotta ad espressione di egoismo locale. E non va certo meglio con le lotte dei lavoratori dei trasporti. La battaglia per il proprio posto di lavoro che si svolge all'Alitalia viene addirittura indicata come causa prima della crisi in cui versa la compagnia di bandiera. E gli scioperi nelle ferrovie sul problema della sicurezza, volti ad impedire nuove tragedie, sono descritti sui media come bieco corporativismo. Ciò si lega, evidentemente, ad un salto epocale. Prima la democrazia rappresentativa sapeva incanalare, certo svuotandole di senso, alcune domande provenienti dai settori popolari, rispondendo con la repressione a quelle istanze che riteneva troppo radicali. Oggi le respinge tutte, senza distinzioni, considerandole un inutile intoppo rispetto agli obiettivi della crescita e della competitività. In Italia, tale processo è iniziato con l'affermazione del maggioritario, lo strumento principe della logica dell'alternanza, ma continua la sua marcia imperterrito, non certo frenato dalla parziale, e per giunta temporanea, reintroduzione del sistema proporzionale. Ora, ciò che questa tendenza porta con sé è la definizione di un nuovo soggetto, variante degenerata del cittadino: l'elettore/fruitore mediatico, la cui volontà non è più ricondotta ad un ambito nella quale viene mediata e depotenziata, semplicemente perché se ne prescinde. Il ruolo d’ogni elettore è solo quello di mettere una scheda nell'urna, così da legittimare un meccanismo che, ancor più che in passato, non tiene conto di lui.

Quindi, se non si vuol essere ridotti ad una condizione di passività, se si vuol riprendere in mano il proprio destino, occorre sottrarsi a questo meccanismo. Anzitutto, evitando di scervellarsi su chi sia il meno peggio nella competizione in atto, perché c'è solo da perdere la propria integrità mentale. Poi, evitando di rimpiangere un passato -quello del pieno svolgimento della democrazia rappresentativa- tutt’altro che ideale. Occorre guardare avanti e capire che si ha una possibilità in mano: quella di delegittimare questa farsa. Non solo non partecipando al voto, ma cominciando a lottare, ogni volta che sia necessario, per affermare i propri bisogni. Proprio per questa via, proprio ponendosi in alterità al sistema, lo si potrà costringere ad ascoltare quelle voci che esso, nel suo normale funzionamento, non può che ignorare.

Roma, 29 marzo 2006

Corrispondenze Metropolitane – collettivo di controinformazione e d’inchiesta - Roma

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