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(17 Aprile 2010) Enzo Apicella
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Non più un uomo nè un euro per le missioni e le parate di guerra

Report della riunione nazionale del 20 maggio

(23 Maggio 2006)

La riunione nazionale di Roma del 20 maggio di associazioni, reti e comitati provenienti da diverse città, ha discusso e valutato i passaggi e le scadenze che attendono il movimento contro la guerra nel mese di giugno. Due in particolare: la votazione sul decreto per il rifinanziamento delle missioni militari italiane in Iraq e Afganistan e la parata militarista del 2 giugno. La discussione ha inteso sottolineare sia alcune valutazioni sia il contributo alla mobilitazione su queste scadenze.

1) In primo luogo va riaffermata con forza l’autonomia del movimento dalle scelte del governo, anche oggi che nella maggioranza di governo ci sono forze politiche con cui in questi anni sono stati condivisi percorsi della mobilitazione No War. Questo rimane un fattore di forza, qualità e chiarezza indispensabile.

2) In secondo luogo va dichiarato chiaramente che le missioni militari in Iraq e Afganistan sono state un fallimento costoso e sanguinoso sia per il nostro paese che per le popolazioni dei paesi occupati militarmente. Mascherare questo fallimento parlando di “exit strategy” invece che di ritiro immediato, vorrebbe occultare un dato di fatto: queste due guerre imposte dall’amministrazione Bush e condivise dai suoi alleati, si sono rivelate una sconfitta determinata soprattutto dalla resistenza e dalla ostilità delle popolazioni irachena e afgana.
Il governo Prodi nega questo scenario e rimane prigioniero di una logica che non contesta il “merito” delle spedizioni neocoloniali ma solo il “metodo”, facendo balenare l’idea che una diversa politica estera sarebbe in grado di gestire meglio gli stessi obiettivi in Iraq, Afganistan, Medio Oriente o Africa attraverso il “peace keeping” come opzione militare e la “governance” come opzione di depotenziamento della resistenza globale. Non possiamo infatti nasconderci che nel governo Prodi è predominante e decisionale un “nucleo duro” assai poco dissimile, nella visione e nei progetti strategici, dalle alleanze politico-militari e dagli interessi materiali che fino ad oggi hanno voluto e gestito la guerra permanente. Le forze che hanno contribuito attraverso l’Unione al nuovo governo, se non daranno segni concreti di autonomia sulle scelte dirimenti, rischiano di fornire alibi e copertura ai progetti di questo nucleo duro. Tutto ciò può solo rinviare e riproporre a breve nuove tragedie e nuove lacerazioni.

3) La prima verifica che attende il movimento e il nuovo governo è a fine giugno quando dovrà essere votato il rifinanziamento delle missioni militari in Iraq e Afganistan. Intorno a questa scadenza occorre annunciare sin da ora che il movimento No War non retrocederà dagli obiettivi avanzati fino ad oggi: ritiro immediato delle truppe dai teatri di guerra. In questo senso è condivisibile il recente appello lanciato da autorevoli personalità del mondo pacifista (Strada, Zanotelli, Dall’Olio, Ciotti) sottoscritto da centinaia di persone e associazioni. Il giorno della votazione in parlamento, i palazzi dove verrà discusso e deciso il rifinanziamento delle missioni militari saranno circondati e assediati dal movimento No War proveniente da tutta Italia che non accetterà niente di meno che una chiara revoca del finanziamento alla guerra e il ritiro immediato delle truppe da Iraq e Afganistan.
Questo è ciò che chiede chiaramente da anni la maggioranza della società e che nessuna maggioranza parlamentare può permettersi di negare. Il movimento No War interpreta ed esprime il sentimento diffuso di questa maggioranza sociale, la politica non può non tenerne conto.

4) La giornata del 2 giugno, nata come celebrazione della sovranità popolare che avevo reso possibile una Repubblica nata dalla Resistenza e che ripudia la guerra, è stata ritrasformata volutamente dall’ex presidente Ciampi, in una kermesse militarista e nazionalista che ha stravolto il senso della festa e ne ha reso i contenuti inquietanti (nella prima riedizione del 2000 furono fatti sfilare i reparti dei paesi NATO che avevano bombardato la Jugoslavia, nelle ultime due edizioni hanno sfilato i reparti impegnati nella guerra in Iraq e Afganistan). La parata militarista del 2 giugno vorrebbe veicolare a livello di massa la crescente militarizzazione della società, dell’economia e della politica, dando splendore a forze armate ormai professionali e pagate per fare la guerra. E’ una scenario che rigettiamo totalmente.
Lo abbiamo annunciato nei giorni scorsi e intendiamo ribadirlo: o si sospende la parata militarista del 2 giugno o questa verrà contestata a Roma e in ogni altra città dove ci saranno manifestazioni analoghe.

Discuteremo e ci confronteremo con tutte le anime del movimento contro la guerra per arrivare a scelte condivise e unitarie sulle mobilitazioni di giugno difendendo al tempo stesso unità e reciproco rispetto sulle scadenze e le modalità delle mobilitazioni stesse.

Roma 20 maggio

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