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Crisi del Manifesto, crisi della sinistra, crisi della politica

(7 Agosto 2006)

Non sarà facile, per le poche righe che seguiranno, trovare ospitalità sulle colonne del giornale cui sono destinate: l'approccio generale all'ennesima crisi del “Manifesto” appare davvero troppo “buonista”, ed in rari interventi si vede toccare il nocciolo politico.

Eppure ci provo lo stesso: come mi è capitato spesso nel corso dei decenni trascorsi.

Ecco: la crisi del Manifesto è certo frutto delle difficoltà economiche, editoriali, di collettivo (tanti, troppi, se ne sono andati), ma è soprattutto il portato di una crisi verticale dell'agire politico che il giornale, a mio modestissimo giudizio, non è stato in grado di intercettare.

Vedete: alcuni compagni scrivono che il Manifesto non fa più sognare la rivoluzione, non è più espressione di una utopia, vi si leggono cose che si possono leggere dappertutto, perfino sul Washington Post.

Non è così, non è propriamente così: il Manifesto è andato in difficoltà quando non ha saputo più esprimere una linea politica propria, in grado di interagire, connettersi, confrontarsi con le diverse linee politiche espresse dai soggetti della sinistra italiana ed internazionale.

Il Manifesto si è adeguato: prima di tutto a certe logiche di mercato (non nella promozione del prodotto, ma nella qualità dei suoi contenuti) e, successivamente, alla crociata dell'antiberlusconismo che nascondeva, invece e tragicamente, la svolta “governista” e di adeguamento ai meccanismi della riduzione nel rapporto tra politica e società che sta travolgendo quella che si autodefinisce “sinistra radicale”, in primis Rifondazione Comunista.

Il Manifesto si è sostanzialmente adeguato, non tanto perché si è schierato al fianco di questa svolta “governista” dal punto di vista politico – editoriale (spiace dirlo, spiace davvero: ma certe cose affermate in questi giorni da antichi compagni di lotta come Russo Spena o Menapace, andavano analizzate e contrastate a fondo), ma perché non ha più offerto un confronto teorico vero, una lettura alternativa della società (anche in questo caso appare forte l'appiattimento su di una logica perversa del movimentismo), non ha saputo tenere i confini di una radicalità alternativa attorno ai contenuti concreti e di una concezione dell'agire politico, non appiattito sulla “governabilità”, la “personalizzazione”, la trasformazione della soggettività politica nel senso del “pigliatutti e pigliatutto”.

Questa rinuncia a fare teoria, questo adeguamento all'esistente, all'ovvio, al banale del governo, ha pesato moltissimo sul panorama politico della sinistra italiana. La chiusura della “Rivista” ha rappresentato un momento davvero emblematico nell'espressione di questa difficoltà.

Mi si dirà, ma dal Governo si possono condizionare molte cose, e si possono fare alcuni esempi, come quello relativo all'immigrazione o alla ricerca scientifica (non certo alle liberalizzazioni, o alla politica economica o a quella estera): il punto, però, non è condizionare, ma esprimere un compiuto punto di vista alternativo.

Senza contare, inoltre, la vera e propria tragedia rappresentata dalla presenza della “Sinistra Radicale” negli assessorati periferici, nelle varie giunte locali: un meccanismo di vero e proprio corrompimento nell'agire politico.

In nome del “tutti uniti contro la destra” il Manifesto ha perso molto della sua funzione critica, della sua originaria funzione critica, quella che consentì al gruppo politico originario di disporre delle armi teoriche e politiche per rappresentare l'unico punto di dissenso alle espressioni politiche del comunismo in Occidente, senza cadere nel movimentismo e senza scivolare a destra, in un radicalismo senza principi.

Esiste, ed è vasta e composita, un'area di “Sinistra non governativa”, l'autunno ci regalerà sussulti e fibrillazioni: potrà il Manifesto tornare ad essere riferimento di quell'area, lavorare per una sua soggettiva riaggregazione, fare in modo che le sue pagine politiche possano essere non solo lette ma usate, senza costringerci a rifugiarci in quelle culturali?

So di essere stato duro, eccessivamente duro: ma sono cose che sento e vedo, anche attorno ad una domanda che sale da molte parti d'Italia.

Domando: ci sarà spazio, sulle colonne del Manifesto, per spiegare le ragioni, presentare progetti, traguardare il futuro per una Sinistra non racchiusa nella governabilità, negli stucchi dorati, nella spartizione delle poltrone.? Spazio per una sinistra che ha voglia, necessità, esigenza di opposizione, tenendo assieme comunisti di varie eresie, socialdemocratici di sinistra, radicali conseguenti.

Colgo l'occasione per invitare il direttore Gabriele Polo a Savona, dove abbiamo formato un gruppo di “ A Sinistra” che si sta misurando, sia sul piano locale, sia sul terreno generale, con queste difficili problematiche.

Sarà una serata dove la solidarietà tangibile al Manifesto non si identificherà con il “buonismo” imperante, ma con una dibattito serio su “Spazi e luoghi a sinistra del centrosinistra”.

Avremmo pensato ad una data simbolica quella dell'11 Settembre: speriamo che il nostro invito sarà accolto.

Quindi: appuntamento a quella data e grazie.

Savona, li 6 Agosto 2006

Franco Astengo

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