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Licenziati per eccesso d'infortuni Dall'Ilva, campione dell'insicurezza

(10 Agosto 2006)

Martedì mattina tre operai dell'Ilva di Taranto si sono accorti che il loro badge d'ingresso era stato disattivato. Il perché l'hanno appreso dopo: padron Riva li ha licenziati per eccesso d'infortuni. Succede nello stabilimento siderurgico dove ogni sei mesi un lavoratore ci lascia la pelle, dove nell'arco di un anno si verificano 3.500 infortuni, uno ogni tre dipendenti.

Succede quando le massime autorità dello Stato e l'Osservatore romano ripetono quotidianamente che la misura è colma. Succede proprio nel cinquantesimo anniversario della tragedia di Marcinelle. «Fossimo a Carnevale, si potrebbe pensare a uno scherzo», commenta il segretario regionale della Uil Aldo Pugliese. Ma siamo a Ferragosto e l'Ilva approfitta della disattenzione vacanziera per mettere a segno un colpo preparato da tempo.

Qualche mese fa Pietro De Biasi, responsabile delle relazioni industriali, aveva convocato una conferenza stampa apposta per sostenere che «più del 30% degli infortuni che si verificano all'Ilva di Taranto sono anomali». Anomali nel senso di fasulli, aveva fatto intendere, inventati per mascherare l'assenteismo. Un passo in più rispetto alla linea tradizionale del gruppo Riva, secondo cui la «colpa» degli infortuni è sempre ed esclusivamente della disattenzione e dell'imperizia dei lavoratori.

C'è una palese contraddizione tra non rispettare le norme di sicurezza e inventarsi un infortunio per starsene a casa a poltrire. I tre licenziati, secondo l'azienda, avrebbero fatto entrambe le cose. Sono operai che hanno superato la cinquantina, che lavorano all'Ilva da un pezzo. Perchè l'azienda non ha contestato volta a volta le presunte irregolarità?, domanda il sindacato, ricordando che ogni infortunio viene certificato dal capoturno, dal medico e dall'Inail. Oggi Fim, Fiom e Uilm ricorrono alla magistratura contro i licenziamenti, lunedì prossimo 24 ore di sciopero.

«Il minimo a fronte di questa infamità», dice Massimo Battista, dell'esecutivo della Fiom, «altrimenti cosa ci sta a fare il sindacato?». Battista non ha dubbi sull'adesione allo sciopero: «Tutti hanno capito che l'Ilva ne colpisce tre per ammaestrarne 13 mila. Questa è una caserma, vige lo stato di polizia, 1200 contestazioni disciplinari in un anno, ti negano l'acqua minerale nei reparti a caldo. I lavoratori non ne possono più, reagiranno». E' Taranto, purtroppo, che non si muove, «la città accetta tutto dall'Ilva». Inquina, fa ammalare la gente, «ma è l'unica cosa che fa girare un po' di soldi».

A proposito di soldi, il sindacalista della Fiom ci racconta l'ultima lussuosa offerta dell'Ilva: «Un buono da 100 euro a testa da spendere in un negozio di articoli sportivi, se nell'ultimo semestre dell'anno diminuirano gli infortunia». Nemmeno questo è uno scherzo, è la proposta ufficiale avanzata dall'azienda nell'ultimo incontro con il sindacale. Un'azienda che nel 2005 ha fatto profitti per un miliardo di euro, mentre in un paio d'anni l'indice di produttività dell'impianto di Taranto è aumentato del 35%.

Lo Slai Cobas incita i lavoratori a ribellarsi contro un padrone delle ferriere che «tratta gli operai come schiavi, pretende sempre carne fresca disponibile e sottomessa». Il capogruppo del Pdci alla Camera, Pino Sgobio, ha presentato un'interrogazione urgente al ministro del lavoro: «E' inconcepibile che l'Ilva se tre operai a causa di un infortunio non possono recarsi al lavoro ricorra al licenziamento coatto.

E' un comportamento antisindacale, un'inquietante scenario da fabbrica di fine Ottocento». Lo scorso aprile all'Ilva due «incidenti» in una sola settimana causarono un morto e tre ustionati gravi. I lavoratori risposero con 32 ore di sciopero, il più lungo nella storia dell'acciaieria. Martedì, mentre l'Ilva ne licenziava tre per eccesso d'infortuni, un operaio rischiava di rimetterci una mano e un altro per poco non finiva in camera iperbarica.

Manuela Cartosio IL Manifesto 10 Agosto 2006

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