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Verona: una via dedicata a un picchiatore fascista

(3 Agosto 2007)

"FINALMENTE" UNA VIA PER NICOLA PASETTO, IL CONSIGLIO COMUNALE DI VERONA DOPO TANTI TENTATIVI CI RIESCE; DEDICA UNA VIA A UN PICCHIATORE FASCISTA.

A Verona si è sempre avvertito il bisogno di ricordare fatti legati all'estrema destra, e sempre si è assistito alle iniziative dei gruppi che intendevano dare una versione della storia diversa da come realmente è andata. A Verona il revisionismo è sempre stato di casa: di conseguenza, la voglia di glorificare personaggi e fatti che hanno segnato la città come laboratorio della destra, è progressivamente diventata pratica fascista e razzista non solo dei gruppi, ma anche dalle varie amministrazioni comunali del recente passato. Ed ecco adesso, come ovvia conseguenza, uno dei primi atti inaugurali dell'amministrazione Tosi, la intitolazione di una via a Nicola Pasetto, picchiatore fascista morto 10 anni fa.

Finalmente ci son riusciti: erano anni che ci provavano e che pregustavano il momento in cui avrebbero potuto incidere quel nome su una lapide. Adesso, dopo le varie ordinanze repressive delle libertà individuali più elementari, e subito dopo il regalo al proprietario dell'albergo LUX, altro affare decennale veronese, hanno finalmente deciso di onorare la memoria di Nicola Pasetto,«...Nicola Pasetto ha lasciato una traccia indelebile della propria attività politica e sociale a favore della propria città. ... Se la memoria storica di una città e di un'amministrazione è fatta anche di uomini, e di figure simboliche, Nicola Pasetto merita sicuramente di essere ricordato fra queste, e può rappresentare, per le giovani generazioni, un chiaro esempio di lealtà onestà e coraggio, di passione civile e amore sincero per la propria città e per la propria gente....» Ma Pasetto era un noto picchiatore fascista.

Pochi giorni fa era stata compiuta la provocatoria mossa di inserire Miglioranzi, Fiamma Tricolore, all'interno dell'Istituto Storico per la Resistenza a Verona. Le dimissioni che ne sono seguite sono il frutto, si spera, delle molte proteste che si sono levate, anche a livello nazionale. Inutile definire questo nuovo episodio come inaccettabile, in una città che aveva bisogno di tutto, meno che di annoverare, nella propria toponomastica, la VIA NICOLA PASETTO: le persone che negli anni scorsi sono state vittime delle aggressioni di Pasetto e camerati non possono avere dimenticato. L'offesa è innanzi tutto rivolta a loro. E' probabile che questa amministrazione si prepari a rinverdire 'miti' ed 'eroi' di matrice fascista, operando anche pericolosi tentativi di sovversivismo culturale. Ci prepariamo fin d'ora a resistere, ogni giorno come fosse il 25 aprile, in attesa di quello vero e proprio, che celebreremo con una manifestazione nazionale, convocando a Verona le persone che nutrono sinceri sentimenti democratici.

Se leggiamo la motivazione con cui il Consiglio Comunale di Verona ha giustificato la via, viene da credere che facciano sul serio se pensano che dopo 10 anni di distanza dalla morte una persona venga ancora ricordato, i fascisti come lui sicuramente lo rimpiangono meno le persone che le hanno prese da Pasetto e soci, poi sul fatto della memoria storica questa amministrazione dovrebbe avere un po' di decenza e ricordarsi che il ventennio fascista è finito, ma sicuramente ogni periodo a bisogno di dei sui miti e fantasmi e mi sa che da qui a 5 anni ne vedremo ancora tante di porcate come questa, il prossimo 25 aprile è una data su cui bisognerà vigilare compreso l'Istituto Storico per la Resistenza.

CIRCOLO PINK VERONA

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a proposito di vie dedicate a picchiatori fascisti

A Trieste l'amministrazione comunale di centro destra ha già alcuni anni or sono dedicato una via ad Almerigo Grilz, reporter di guerra morto in circostanze misteriose mentre faceva da addetto stampa alla Renamo in Mozambico.
Su questo caso abbiamo scritto un articolo un paio di mesi fa, lo alleghiamo segnalando che si trova nel sito www.nuovaalabarda.org assieme ad altri articoli sul neofascismo.
Saluti resistenti
Claudia Cernigoi
Trieste

LA VERA STORIA DI ALMERIGO GRILZ.
Come ogni anno, anche quest’anno ci siamo dovuti sorbire le consuete lamentele da parte di ex militanti del Fronte della Gioventù, oggi rappresentanti di AN, per il “mancato riconoscimento” del “sacrificio” del giornalista Almerigo Grilz, morto in Mozambico nel 1987 nel corso di un conflitto a fuoco tra esercito governativo e guerriglieri della Renamo, con i quali Grilz si trovava.
Non volendo ritornare sul discorso che anche il passato conta, e che non basta essere morti prematuramente per morte violenta per cancellare tutto il resto, né ribadire che Grilz aveva raggiunto la notorietà a Trieste ben prima di diventare giornalista perché era uno dei nomi più frequenti nella cronaca delle aggressioni contro militanti della sinistra negli anni Settanta, intendiamo invece chiarire un’altra cosa.
Come abbiamo già avuto modo di dire e di scrivere, le situazioni di Marco Lucchetta, Saša Ota, Dario D’Angelo e Miran Hrovatin da una parte e Grilz dall’altra sono del tutto diverse. I primi tre sono morti mentre stavano svolgendo un servizio pubblico per conto della televisione pubblica italiana, e, cosa non indifferente, hanno dato la loro vita per salvare quella di un bambino dallo scoppio di una bomba. Hrovatin invece è stato ucciso in circostanze mai chiarite in un agguato teso a lui ed alla sua collega Ilaria Alpi mentre si trovavano a svolgere un’inchiesta giornalistica anch’essi per conto della televisione pubblica.
Almerigo Grilz non si trovava in Mozambico a svolgere un servizio pubblico. Grilz, che fu assieme a Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Riccardo Pellicetti, tutti ex militanti di estrema destra, tra i fondatori dell’agenzia di stampa Albatross, specializzata in reportages da zone di guerra, si era unito alle truppe guerrigliere della Renamo per far conoscere la loro “guerra dimenticata”, cioè praticamente fungeva da loro ufficio stampa. Nelle foto che lo ritraggono, infatti, non lo si vede vestito in modo tale da farlo apparire come un giornalista, un cronista imparziale: lo vediamo vestito da guerrigliero, come quelli con cui si trovava.
E, del resto, cos’era la Renamo?
Torniamo indietro di qualche anno: nel 1974 la “rivoluzione dei garofani” portoghese mise fine a decenni di dittatura e l’anno dopo concesse l’indipendenza alle colonie portoghesi in Africa, tra le quali il Mozambico, che si diede un ordinamento di tipo socialista, ma essendo stato saccheggiato per decenni dai suoi colonizzatori era un paese poverissimo. Già dal 1976 il Sudafrica dell’apartheid, preoccupato per la vicinanza di un paese governato da forze progressiste, finanziò, assieme alla Rhodesia razzista, la guerriglia della Renamo (Resistenza Nazionale del Mozambico), che combatté una guerra “sporca” (la maggior parte delle azioni era rivolta contro la popolazione civile, stupri e massacri, incendio di scuole e di ospedali) contro il governo legittimo del Mozambico. Scrive Kurt Vonnegut, che era un giornalista e scrittore liberal, ma non certo un “comunista”: “il nostro Dipartimento di Stato (degli USA, n.d.r.) stima che il Renamo (sarebbe corretto dire la Renamo, ma nel testo viene usato il maschile, n.d.r.) abbia ucciso più di 100.000 mozambicani soltanto dal 1987 (l’articolo è del 1990, n.d.r.) compresi almeno 8.000 bambini sotto i cinque anni, la maggior parte dei quali era stata portata nella savana, dove erano morti di fame. Il nostro Governo può aver spalleggiato in segreto il Renamo nel passato, perché il Mozambico era dichiaratamente marxista e anche il Sudafrica faceva lo stesso apertamente e senza alcuna vergogna”. Vonnegut cita poi un commento di un volontario dell’organizzazione di aiuti CARE, che disse della Renamo che se avessero preso il potere non avrebbero saputo che fare perché “tutto quello che sapevano dei trasporti era come sparare a qualsiasi cosa osasse muoversi. Tutto quello che sapevano degli ospedali e delle scuole era come bruciarli o farli saltare”.
E continua Vonnegut: “il Mozambico (…) era giovane come nazione. E una delle prime cose che voleva fare era imparare a leggere e scrivere e un poco di matematica. Il Renamo continua a fare del suo meglio per impedire che ci riesca – con armi dell’ultimo tipo e attrezzature per le comunicazioni che arrivano ancora Dio sa da dove” (brani tratti da “Destini peggiori della morte”, ed. Bompiani).
Per citare un’altra fonte “neutra”, leggiamo nella “cronologia” del Calendario atlante De Agostini del 1989 la seguente notizia, datata 14/7/87 (due mesi dopo la morte di Grilz), che parla del “massacro di Homoine (424 morti)” compiuto dalla Renamo, come uno degli esempi “dell’orrore in cui è degenerata la guerriglia della Renamo”, che dal 1982 ha ridotto “l’80% del territorio nazionale terra di nessuno, il 35% delle vie di comunicazione distrutto, le città isolate, quasi due milioni di profughi interni e 800.000 rifugiati all’estero” con la conseguenza che “il Paese è completamente destabilizzato e 4 milioni di persone sono alla fame”.
Questa la “guerra dimenticata” che Grilz era andato a “documentare”: ma negli articoli di Grilz non troverete nulla di tutto questo, né delle parole di Vonnegut, che recatosi nel 1990 in Mozambico aveva visto le vittime delle violenze della Renamo, che aveva la pratica di mutilare i contadini per spargere il terrore e i bambini denutriti.
Eppure nello stesso periodo in cui il giornalista Grilz era andato a fare il press-agent di una organizzazione terroristica, c’erano altri triestini che si occupavano invece di dare una mano a quel giovane paese che cercava di uscire dallo stato di sottosviluppo cui era stato costretto dal Portogallo fascista e coloniale: nell’ambito di un progetto di cooperazione, molti medici (pediatri, ostetrici…) ed infermieri dell’ospedale infantile Burlo Garofalo si recarono per diversi anni a Maputo per aiutare i giovani medici mozambicani a specializzarsi e diventare autonomi nella gestione della sanità. Neanche di queste cose troverete traccia negli articoli di Grilz, cui interessava soltanto parlare della Renamo, e parlarne in termini positivi, nonostante la loro attività inequivocabilmente criminale.
Ciò che vogliamo dire con questo è che Grilz non merita riconoscimenti pubblici non tanto perché nel suo passato di militante di destra ci sono più ombre di violenza che azioni positive, quanto perché non fu un cronista indipendente che diede la vita per la libertà di informazione, ma rimase sempre un militante anticomunista, motivo per il quale scelse di seguire le sorti della guerriglia della Renamo, e fu come fiancheggiatore di essa che perse la vita.
Queste le cose che andrebbero dette, al di là della retorica delle commemorazioni del “camerata” e del “martire” che ogni anno vengono riprese dai suoi ex sodali, oggi divenuti personalità importanti nella vita politica italiana. E, del resto, a Grilz è già stata intitolata una via a Trieste: l’accanimento di pretendere dall’Associazione della stampa una targa come quella dedicata agli altri giornalisti caduti in servizio sembra solo una ripicca di rivalsa nei confronti di un’opinione pubblica che comunque non dimentica chi fu effettivamente Almerigo Grilz e cosa abbia rappresentato per Trieste.

(4 Agosto 2007)

Claudia Cernigoi

nuovaalabarda@yahoo.it

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