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Elezioni d'Egitto

Elezioni d'Egitto

(14 Giugno 2012) Enzo Apicella

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Basi della rivolta in EGITTO

(23 Aprile 2011)

La storia insegna che le sommosse e le rivoluzioni sempre si fanno non per qualche cosa ma contro qualcuno, che opprime ed affama le classi più povere e sfruttate. Così è stato in Egitto, anche se si cerca di far passare la richiesta delle folle a Il Cairo e altrove per una svolta verso un sistema realmente democratico borghese, oscurando dietro una fumosa cortina ideologica la fame e la disperazione delle masse. Queste sono sfruttate certamente da un regime dispotico e corrotto, ma sostenuto da tutte le democratiche cancellerie mondiali perché il vecchio faraone si è sempre comportato egregiamente come gendarme interno, sia contro i partiti islamisti sia contro genuine lotte di classe del proletariato. Al tempo stesso si era reso garante della pacifica circolazione marittima nel canale di Suez, nonché del delicatissimo equilibrio armato nella Palestina a tutto favore di Israele. In questo le varie amministrazioni americane lo hanno protetto e rafforzato concedendo, tra le altre cose, la licenza per costruire in loco carri armati tipo Abrams di ultimo tipo, per raggiungere un totale di 1000 tanks.

Ma tutto ha un costo e un prezzo da pagare. Ed è sulla dinamica dei prezzi dei prodotti petroliferi e di quelli alimentari che si è rotto l’equilibrio interno egiziano, punta avanzata della stabilità della sponda sud del Mediterraneo.

Partiamo con ordine. Questo equilibrio era sostenuto su una distribuzione di derrate alimentari di base, a bassi prezzi calmierati, finanziata con i ricavi della vendita della produzione petrolifera nazionale. Gli scontri sono iniziati quando il governo, a causa della consistente riduzione della rendita petrolifera, ha minacciato prima di togliere, poi di molto ridurre i sussidi alimentari.

Dopo le prime proteste, che ottenevano la promessa ai dipendenti pubblici di aumento delle pensioni e dei salari del 15%, che hanno suscitato ovviamente analoghe richieste dal settore privato, i conoscitori della reale situazione finanziaria dell’Egitto si sono chiesti dove il regime avrebbe trovato quei fondi che la situazione non concede. La semplice promessa avrebbe dovuto calmare la piazza per tirare un po’ avanti. Per quanto tempo, dove il 60% della popolazione campa con qualche euro al giorno e deve destinare il 50% del suo reddito alla spesa alimentare, non lo hanno previsto con esattezza. Nel 2010 i prezzi sono cresciuti del 12,8% mentre i salari, diversi per categoria, nettamente di meno, per cui l’aumento del 15% servirebbe solo a recuperare parte della perdita del potere d’acquisto dell’anno passato.

Un accurato studio della British Petroleum rivela che la produzione di petrolio in Egitto ha registrato un costante e rapido incremento dal 1974 (anno della falsa “crisi” petrolifera dovuta ai paesi arabi) fino al 1995, poi con il classico andamento “a campana” ha subito una discesa costante ed oggi la sua produzione è uguale a quella del 1983. Ciò che impressiona è invece è l’andamento dei consumi interni di prodotti petroliferi che sale progressivamente fino a superare nel 2010 il valore della produzione nazionale. Lo stesso grafico mostra la curva dell’esportazione netta di petrolio che dopo il massimo del 1995 nel 2010 tocca lo zero. Ciò significa che l’Egitto in solo 45 anni è passato dal ruolo di paese esportatore ad importatore di petrolio.

Analoga situazione per il gas naturale. A seguito di ciò dal 2008 l’Egitto non ha più stipulato contratti per l’esportazione di gas, dovendo provvedere al consumo interno.

Inoltre la mancata esportazione della produzione petrolifera porta con sé una caduta delle entrate statali sia dirette sia indirette dovute alla tassazione sui consumi interni, ora ben ridotti.

La crisi economica mondiale si traduce nella restrizione dei traffici commerciali mondiali e nella minore domanda petrolifera, due concause che hanno notevolmente ridotto il traffico mercantile nel canale di Suez producendo, per mancati pedaggi, un’ulteriore ammanco nelle entrate statali.

Secondo un rapporto informativo della CIA, con gli ultimi dati disponibili del 2009, e solo per quell’anno, a fronte di entrate totali per lo Stato egiziano di 47 miliardi di dollari vi sono uscite per 64 miliardi. Il rapporto stima per il 2010 un debito dell’81% sul PIL.

Ne è risultata inevitabile la manovra del governo di ridurre i sussidi sull’alimentazione. Ed inevitabile la rivolta popolare contro tale manovra, e contro la dilagante corruzione di tutto l’apparato di regime. La forbice del reddito fra classi ricche e povere, di per sé propria del capitalismo, si amplia in periodi di crisi. Spiegabile quindi la rivendicazione immediata di far fuori tutta la vecchia classe privilegiata, non essendo ancora colà mature le condizioni che possano portare alla prospettiva di presa del potere da parte delle avanguardie comuniste.

Altro fattore rivoluzionario è la rapida e costante crescita della popolazione che dai 20 milioni del 1950 passa ai 79 del 2010, quadruplicata in soli 60 anni con un tasso di fertilità medio di tre figli per ogni donna. La CIA sottovaluta, in questa situazione, la disoccupazione al tasso del 9,7% quando varie altre fonti stimano un ben più credibile 40%.

Per questo accresciuto numero di uomini occorre più cibo e più spazio per vivere, più infrastrutture per l’organizzazione produttiva e sociale, ma soprattutto più terra da coltivare in un paese confinato dal deserto sulle rive del Nilo; cosa che gli antichi faraoni avevano ben inteso organizzando di conseguenza tutta la struttura produttiva. Il capitalismo va invece esattamente nella direzione opposta: più terra per la rendita fondiaria urbana, industriale e turistica, ben più redditizia per i proprietari terrieri del riso, del grano, dei datteri o delle cipolle. Tanto che il ministro preposto ha dovuto dichiarare che l’Egitto oggi importa il 40% del suo fabbisogno alimentare, di cui il 60% del totale è grano!

Quest’anno il problema si è acuito a livello mondiale, come le rivolte in Asia, Sudamerica, Africa e del sub continente indiano hanno mostrato. Per due maggiori fattori: per primo c’è stata una forte caduta della produzione mondiale per cause climatiche, soprattutto per il maltempo in Russia; secondo la speculazione sulla borsa delle derrate agricole, che ne ha approfittato facendo impennare i prezzi al consumo. In più l’offerta alimentare si è contratta per la produzione di biocarburanti, sempre più richiesti come alternativa a quelli di origine petrolifera, che ha distolto terreno agricolo dalla produzione di alimenti. Ampi studi della FAO dimostrano che la produzione mondiale di grano ha avuto una leggera e discontinua crescita fino al massimo del 2008, dopo di che si abbassa sensibilmente.

Per i prezzi degli alimentari, «l’indice della FAO ha raggiunto il massimo da quando l’indice ha incominciato a essere calcolato nel 1990. L’incremento è tale da aver superato quello dell’estate dei record, del 2008, quando il barile di petrolio era arrivato a 147 dollari» (Corriere della Sera, 16 febbraio).

Nonostante l’aumento della popolazione mondiale, altrove la FAO ha sostenuto che questa sarebbe tutta ben sfamabile con l’attuale capacità produttiva; ma, continuiamo noi, solo una volta eliminato il feticcio merce.

L’esercito-partito-Stato

Lo Stato egiziano ha il controllo del canale di Suez. Un suo eventuale blocco provocherebbe un aumento dei prezzi delle merci per i maggiori noli su rotte più lunghe, soprattutto per e da l’Europa e gli Usa. Questo avrebbe effetti diversi quando si trattasse di importazione di petrolio, ovvero di prodotti finiti dall’Oriente, ovvero di esportazioni nell’altro senso. Non per nulla è stata allertata di fronte al canale una forza navale. La nave d’attacco anfibio Kearsarge, dotata di attrezzature per sbarchi di uomini e mezzi pesanti e con un ponte di decollo per elicotteri, è stata lì inviata il 6 febbraio ufficialmente per eventuali operazioni di evacuazione rapida di cittadini americani; anche la portaerei Enterprise, la più lunga nave da guerra al mondo, di stanza nel Mediterraneo si è portata, col seguito di navi scorta, davanti alle coste egiziane, sicuramente non per una crociera di piacere.

La grande borghesia egiziana, ben rappresentata e difesa dal suo esercito, è riuscita nell’immediato a gestire l’emergenza, facendo uscire di scena Mubarak, volente o nolente, ed evitando ogni intervento militare straniero, del resto del tutto problematico.

In Egitto l’esercito ha un ruolo molto importante nella vita politica, economica e sociale del paese. L’onore della casta militare risale ai tempi del generale Nasser che, con l’appoggio del generale Nagib, con un colpo di Stato rovesciò re Faruk. Due anni più tardi Nasser sostituì anche Nagib, rimanendo l’unico alla guida del paese. L’esercito, in particolare le forze terrestri, assunse il controllo dell’Egitto cooptando al suo interno le cariche di governo più importanti. Anche il suo fido consigliere e successore Sadat proveniva dall’esercito. A questo, assassinato da un gruppo di fondamentalisti come vendetta per il trattamento loro riservato, successe il primo consigliere, il generale dell’aeronautica Mubarak. Tutto era predisposto, prima della sua destituzione, per una successione verso il figlio Jamal, in una tradizione quasi dinastica. Formalmente questi potentati militari furono sempre confermati con esiti plebiscitari in libere elezioni democratiche.

Lo stato maggiore dell’esercito non è solo una casta di potere ma un sistema economico e politico. Ogni informazione statistica o industriale è considerata segreto militare, compresi molti dati economici, per cui sono disponibili solo delle stime. L’esercito controlla direttamente il 45% dell’economia non solo producendo autonomamente buona parte di tutto il suo fabbisogno ma anche beni di consumo per il resto della popolazione: cemento, tessuti, elettrodomestici di vario genere, derrate agro-alimentari tra cui olio, acqua minerale, ottenute su terreni di sua proprietà, pane dai forni dell’esercito. Il settore turistico nazionale generalmente è assegnato agli alti ufficiali in pensione come gratifica aggiuntiva. Il ministero preposto impiega 40 mila persone, per lo più civili, e realizza ricavi per circa 255 milioni di euro. Di fatto Stato e borghesia vengono in gran parte a coincidere.

Si stima che l’esercito sia composto da 400 mila effettivi ed altrettanti riservisti. Da circa 40 anni viene sostenuto economicamente dagli Usa con 1,3 miliardi di dollari l’anno, tanto costa la fedeltà militare egiziana! Ma un conto sono gli alti ufficiali, altro sono i soldati ed graduati subalterni cui poco arriva di tanta manna.

La strategia adottata dall’esercito nei recenti scontri sociali è stata nel segno della continuità nella gestione del potere, con tutto l’appoggio delle diplomazie straniere. Ha lasciato che la protesta si dirigesse verso la figura del vecchio presidente, consentendo lo sfogo della piazza, che ha di fatto accettato di tenersi entro limiti non violenti: la consegna data ai militari era di non sparare sulla folla se non attaccati. I quartieri chiave del Cairo erano presidiati dalle forze della Unità 777, le forze speciali.

Sacrificato Mubarak, con l’aria dei salvatori della patria i militari si sono presentati per gestire “la transizione” verso un nuovo presunto “sistema democratico”, dove comunque avrebbero avuto i loro uomini chiave per continuare nelle loro consorterie economiche, prima di tutto il turismo.

Alle borghesie d’Occidente ed Usa va bene così: la crisi economica necessita della massima stabilità, soprattutto in quell’aerea. Senza Mubarak è continuato il solito gioco: “cambiare tutto per non cambiare niente”.

È però continuata la lotta dei lavoratori, che protestano per migliori condizioni di lavoro e salari decenti. La casta militare ha dovuto allora gettare la maschera della libertà e presentare il suo vero volto di nemico di classe, sia come capitalisti danneggiati dagli scioperi nelle aziende tessili, sia come gruppo di potere che mantiene la sottomissione politica del proletariato. Ha annunciato quindi di aver modificato le regole d’ingaggio alle forze armate contro ogni forma di instabilità, scioperi compresi.

Come risposta alla ripresa degli scioperi dei lavoratori della Compagnia Filati e Tessuti d’Egitto, la più grande fabbrica tessile del paese con 24 mila dipendenti, il Consiglio Militare così ha dichiarato: «C’è chi organizza proteste che ostacolano la produzione e creano condizioni economiche critiche che possono portare ad un peggioramento dell’economia del paese (...) La continuazione della instabilità e le sue conseguenze provocheranno danni alla sicurezza nazionale. Il Consiglio Superiore delle Forze Armate non permetterà la continuazione di tali atti illegali che costituiscono un pericolo per la nazione e vi si opporrà prendendo misure legali per proteggere la sicurezza della nazione». In altre parole è la copertura legale perché l’esercito possa sparare sugli scioperanti.

Articolo tratto da ''Il Partito Comunista'' N.ro 346

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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