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Marchio Marchionne

Marchio Marchionne

(26 Ottobre 2010) Enzo Apicella
Esternazione di Marchionne contro la scarsa produttività degli operai italiani

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Fiat prepara le valigie?

(3 Gennaio 2014)

L'acquisto di Chrysler. Preoccupazione per gli stabilimenti italiani del Lingotto dopo l’acquisizione del 100% dell'azienda Usa. I sindacati: «Marchionne ci dica se investirà». Ma alla Borsa l’operazione piace: i titoli volano

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E così Ser­gio Mar­chionne, il mana­ger «dei due mondi», è riu­scito a incas­sare un altro risul­tato: ha riu­nito i due mondi in uno, adesso la Chry­sler è tutta di Fiat e pra­ti­ca­mente le due società (man­cano ovvia­mente tempi e pas­saggi tec­nici) si avviano a diven­tare una unica maxi-azienda, un colosso mon­diale tale da poter soprav­vi­vere alla com­pe­ti­zione con gli altri giganti dell’auto. D’altronde già nel 2010, all’atto della pre­sen­ta­zione dell’ambiziosissimo «Piano Fab­brica Ita­lia», poi spaz­zato via dalla crisi inter­na­zio­nale, Mar­chionne lo aveva detto: Fiat potrà soprav­vi­vere solo in una grande alleanza trans-nazionale, che la fac­cia entrare nel ristretto gruppo di imprese (da con­tare sul dito di una mano) che soprav­vi­ve­ranno. Gra­zie all’abbattimento dei costi, gra­zie a eco­no­mie di scala su milioni di vet­ture pro­dotte, gra­zie alla fles­si­bi­lità e insieme alla potenza finan­zia­ria che solo un big può per­met­tersi. Il resto è nulla.

Innan­zi­tutto la Borsa: per­ché prima ancora che allo stesso ammi­ni­stra­tore dele­gato del gruppo e alla fami­glia Agnelli/Elkann – che hanno par­lato di avve­ni­mento «sto­rico» – ieri l’acquisto è pia­ciuto soprat­tutto agli inve­sti­tori di Piaz­zaf­fari. Il titolo Fiat già in aper­tura di con­trat­ta­zione è schiz­zato in alto, per entrare con una quo­ta­zione del +12,6%; la chiu­sura è stata ai livelli del +16,4% e uno scam­bio di ben il 6,4% del capitale.

Evi­den­te­mente i mer­cati cre­dono nell’operazione: e non solo nel nuovo sog­getto che nasce, ma anche nell’«acquisitore» a monte, ovvero la Exor, la holding-cassaforte degli Agnelli, che si avvi­cina tra l’altro sem­pre di più a spo­stare il suo bari­cen­tro finan­zia­rio e di mer­cato dalla piazza di Milano a Wall Street. Gli ana­li­sti infatti pre­fi­gu­rano un futuro sem­pre più «a stelle e stri­sce» non solo per Chrysler-Fiat (capi­tolo che apre nodi forse dolo­rosi, almeno per l’Italia, di cui par­le­remo), ma anche per Exor: che ieri è stata il secondo miglior titolo, dopo Fiat, segnando rialzi oltre il 5%.

Ma, ancora più impor­tante, il giu­di­zio degli ambienti finan­ziari ame­ri­cani, visto che il titolo di Chrysler-Fiat andrà quasi cer­ta­mente già entro la fine di quest’anno a isti­tuire la pro­pria piazza prin­ci­pale a Wall Street, lasciando Piaz­zaf­fari come mer­cato secondario.Secondo il Wall Street Jour­nal, il prezzo dei 3,6 miliardi pagato da Fiat per acqui­sire il 41,5% delle azioni Chry­sler ancora in mano a Veba (tutte le altre erano già a Torino), è «molto con­ve­niente per Fiat, migliore delle attese». Gli ana­li­sti ave­vano par­lato infatti di un valore ben più alto, tra i 4,2 miliardi e i 5 miliardi di dol­lari, e tra l’altro il metodo di paga­mento scelto (di cui 1,75 miliardi cash e 1,9 miliardi sotto forma di divi­dendo straor­di­na­rio da parte di Chry­sler a Veba) per­met­tono a Fiat di acqui­stare senza aumenti di capi­tale, così come un aumento non è ser­vito a Exor.

Ope­ra­zione finan­zia­ria riu­sci­tis­sima, quindi, ma adesso si apre una pra­te­ria di pos­si­bi­lità per le scelte indu­striali: e i sin­da­cati ita­liani, che ieri hanno ripe­tuto in coro il man­tra «adesso Fiat inve­sta in Ita­lia», die­tro que­sta frase piut­to­sto scon­tata celano a stento forti pre­oc­cu­pa­zioni. Innan­zi­tutto la sede: per­ché se è ormai pra­ti­ca­mente certo che il gruppo italo ame­ri­cano si spo­sterà (finan­zia­ria­mente) alla borsa di New York, pare altret­tanto atten­di­bile (anche se ancora non se ne parla uffi­cial­mente) che gli uffici cen­trali, dalla sede legale, al «cer­vello» della mul­ti­na­zio­nale, faranno anche loro le vali­gie: spo­stan­dosi da Torino a Detroit. Altri ancora par­lano di sede legale in Olanda (come è già avve­nuto con Cnh Fiat-Industrial), per­ché molto van­tag­giosa sul piano fiscale, e sede ope­ra­tiva negli Usa. Ma insomma, la glo­riosa e sto­rica città del Lin­gotto, che ospitò fin dal lon­tano 1899 la crea­tura di Gio­vanni Agnelli, pare ormai fuori gioco.

E poi, a cascata, tema che riguarda più da vicino gli ope­rai, gli sta­bi­li­menti pro­dut­tivi. Fiat con­ti­nuerà a inve­stire in Ita­lia, o via via si disim­pe­gnerà sem­pre di più? Il coro sin­da­cale è una­nime: ora il nostro Paese, che ha tanto pagato per arri­vare fino a que­sta «vit­to­ria» d’oltreoceano, deve incas­sare le cam­biali: Raf­faele Bonanni, della Cisl, riven­dica la linea seguita negli ultimi anni (insieme alla Uil) di soste­gno a Mar­chionne, dicendo che l’acquisto di Chry­sler «è anche merito dei sin­da­cati ita­liani». Luigi Ange­letti chiede inve­sti­menti. E Susanna Camusso, della Cgil, insi­ste: «Fiat dica cosa intende fare nel nostro Paese: auspi­chiamo che la dire­zione stra­te­gica e la pro­get­ta­zione restino ita­liane, man­te­nendo una pre­senza qua­li­fi­cata in Ita­lia». La Fiom, con Michele De Palma, chiede «la con­vo­ca­zione di un tavolo, con cui il governo chieda garan­zie per tutti gli sta­bi­li­menti ita­liani», a par­tire da Mira­fiori e Cas­sino, quelli giu­di­cati più in bilico.

Il futuro indu­striale Fiat, almeno negli sce­nari cir­co­lanti ieri, dovrebbe basarsi sul rilan­cio dell’Alfa Romeo e sul seg­mento lusso, così come è avve­nuto finora per la 500 negli Usa e il rispol­vero di Mase­rati. Sareb­bero pro­prio Cas­sino e Mira­fiori a usu­fruire dei nuovi modelli Alfa (si parla di una nuova Giu­lietta, di un’ammiraglia di un suv) e Mase­rati (con un fuo­ri­strada). Pomi­gliano pare per ora «con­dan­nata» alla sola Panda, Melfi alla Punto, e ai mini suv Fiat e Jeep.

Antonio Sciotto, il manifesto

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