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FIAT-CHRYSLER: empirismo nelle analisi negli Stati Uniti

(5 Gennaio 2014)

Con il 2014 inizia l'avventura "che si leggerà sui libri di storia" di Agnelli e Marchionne a capo del 100% del gruppo FIAT-CHRYSLER, con l'acquisizione del restante 41,5% in mano al fondo sanitario VEBA detenuto dal sindacato metalmeccanico americano UAW (United Automobile Workers) per complessivi 4,65 miliardi di dollari.
Un abile operazione di stampo finanziario attesa da tempo e pianificata nei minimi dettagli dall'Albert Speer nostrano, dato che a VEBA andranno dei 3,65 miliardi di dollari pattuiti direttamente solo 1,75 miliardi, mentre gli altri 1,9 miliardi arriveranno da un dividendo straordinario di CHRYSLER ai soci, la cui parte FIAT girerà al fondo oltre ad un supplemento di 700 milioni in quattro rate.
In tutto, FIAT prende il controllo della fondamentale azienda americana salvata dal default dalla presidenza di Barack Obama spendendo un decimo di quanto sborsato dalla tedesca DAIMLER-BENZ nel 1998, quando rilevò CHRYSLER all'epoca ancora autonoma per 36 miliardi di dollari.
Delle reazioni di stampa, politica e sindacati italiani sappiamo bene; più empirici ed analitici i due principali quotidiani americani, il NEW YORK TIMES ed il WALL STREET JOURNAL, considerato il più globalmente autorevole in campo economico e finanziario. Lo stesso sembra fare il FINANCIAL TIMES inglese, filo-atlantista da sempre e redatto nel Paese-capitale della finanza mondiale.

Il NY TIMES punta la sua analisi sull'assenza di leadership di settore e progetti definiti sugli emergenti mercati asiatici: scrive David Jolly "Marchionne può cominciare a competere con i leader di settore TOYOTA, GENERAL MOTORS e VOLKSWAGEN. In cima alle liste delle cose da fare: tamponare l'emorragia sul mercato domestico di FIAT e tappare la clamorosa falla sui mercati asiatici". Jolly non è convinto sulla riuscita dell' obiettivo di Marchionne di vendere 6 milioni di veicoli all'anno, nonostante la creazione "del settimo più grande gruppo automobilistico del mondo con 114 miliardi di dollari nell'anno passato" e sottolinea come gli analisti abbiano ribadito "l'evanescente presenza sui mercati dell'Est e la crescente minaccia di TOYOTA E HYUNDAI in Brasile, dove FIAT detiene già "un sano 23% del mercato".
Alla pressochè totale assenza in Asia, Jolly aggiunge il pesante calo delle vendite in Europa: nonostante "il gruppo stia facendo bene negli Stati Uniti con vendite in aumento del 9,3% nel 2013, le sue vendite europee tra cui il proprio marchio, LANCIA, CHRYSLER, ALFA ROMEO e JEEP sono calate del 7,8% nel periodo gennaio-novembre 2013 rispetto al medesimo del 2012. Ciò è di gran lunga peggiore del calo del 2,7% del mercato globale europeo di settore". L'analista inglese facente parte dell'importante holding finanziaria NOMURA, Harald Hendrikse, ha sì ammesso quasi maliziosamente che "Marchionne ha tirato fuori l'ennesimo coniglio dal cappello" ma anche affermato come "il marchio sia estremamente sottocapitalizzato e mal posizionato sullo scenario europeo" aggiungendo che "FIAT fa troppo affidamento sull'Italia, dove controlla un terzo del mercato; escluso il Paese, la quota continentale è appena del 2%".
Forti dubbi dunque persistono anche sulla (ri)conquista dell'Europa, "fermo restando il debito da 10 miliardi di CHRYSLER che potrebbe ostacolare gli investimenti", dubbi che saranno nuovamente soppesati solo dopo la presentazione del nuovo piano industriale prevista per aprile 2014. Non contribuisce a rasserenare le attese neanche Stephanie Brinley, analista del gruppo IHS AUTOMOTIVE, quando afferma che "ciò che era vero nel 2009 resta reale tutt'oggi: sia FIAT che CHRYSLER erano quattro anni fa indipendenti e deboli; combinare due società deboli non può automaticamente produrre un gruppo forte, anche volendo pesare migliore efficienza, utilizzo degli impianti e potere d'acquisto".
Anche l'inglese FINANCIAL TIMES non festeggia coi botti, ma si sofferma ad analizzare scenari presenti e soprattutto futuri della vicenda diretta dall' "implacabile affarista di intermediazione" Marchionne, come scrive Rachel Sanderson, lasciando per lo più la parola ai soliti analisti finanziari, veri attori dietro le quinte di simili scenari. Rispetto a quanto analizzato dal NY TIMES, il FT aggiunge che "i cospicui investimenti previsti per gli stabilimenti italiani (di cui però ancora non si vede traccia, vedasi cassa integrazione e nuovi licenziamenti a Pomigliano e Mirafiori, ndr) dipendono dall'accesso a CHRYSLER di 12 miliardi di dollari di liquidità netta". E nel gioco potrebbe entrare presto la quotazione del neogruppo sui listini di New York: "La valutazione in Borsa permetterebbe a Marchionne di avere più facile accesso ai mercati più ricchi rispetto a quanto possa fare in Italia con Piazza Affari" scrive Sanderson.
Significativo anche l'intervento di Philip Watkins, analista del settore per CITI, il quale sottolinea come "a completamento delle transazioni l'indebitamento finanziario netto di FIAT-CHRYSLER salirà a circa 10 miliardi di dollari, registrando la casa automobilistica più indebitata d'Europa. A parte il gruppo PSA (PEUGEOT-CITROEN, ndr) infatti gli altri marchi sono in posizione di liquidità netta" concludendo severamente "anche con condizioni di credito benigne, continuiamo ad essere preoccupati circa la sostenibilità di questo pesante fardello di debito".
L'analista Max Warburton del gruppo BERNSTEIN pensa che "ci saranno ulteriori ostacoli da affrontare, con ritardi e difficoltà a lavorare sino alla completa fusione tra i due bilanci e la condivisione dei finanziamenti".
Gabriel Kahn del WALL STREET JOURNAL si soffermava già a maggio 2013 sui futuri scenari finanziari e la quotazione del gruppo a Wall Street: una "manovra in grado di generare una complessa reazione a catena che potrebbe significare più di 20 miliardi di dollari in offerte: un capitale grande quasi quanto l'offerta pubblica iniziale da 23 miliardi di dollari di GENERAL MOTORS nel 2010". L'acquisizione, analizza Kahn, "coinvolgerebbe (le solite note,ndr) GOLDMAN SACHS, BANK OF AMERICA e DEUTSCHE BANK" e sarebbe riuscita a sbloccare l'accesso alle casse di CHRYSLER per 11,9 miliardi di dollari ed i finanziamenti da banche e finanza verso l'azienda statunitense, detenendo all'epoca solo il 58,5% del pacchetto azionario.
Gli analisti affermavano come "l'utilizzo del capitale netto a disposizione di FIAT (all'epoca di 14,4 miliardi di dollari) l'avrebbe esposta a rischi di abbassamento della fiducia da parte degli istituti di credito, con il conseguente aumento degli oneri finanziari". Salvo poi intravedere dietro le quinte, attraverso i pezzi grossi della finanza, una "lunga strada di profitti".
Ne era già convinto Steven Rattner, finanzieri di spicco a Wall Street già alla guida del salvataggio del settore automobilistico di Obama nel 2009 e mediatore con CHRYSLER per Marchionne stesso. "Un infaticabile negoziatore" lo aveva definito.

La conclusione burocratica dell'affare è prevista intorno al 20 gennaio prossimo.

Mattia Laconca - Pavia

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