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Sasà Bentivegna, Partigiano

Sasà Bentivegna, Partigiano

(3 Aprile 2012) Enzo Apicella
E' morto ieri a Roma Rosario Bentivegna, che nel 1944 prese parte all’azione di via Rasella contro il Battaglione delle SS Bozen.

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(Ora e sempre Resistenza)

Intervento del Laboratorio Marxista alla manifestazione di Sant'Anna di Stazzema

(17 Marzo 2005)

Innanzitutto un saluto a tutte le compagne e i compagni presenti.

Siamo qui a Sant'Anna per commemorare simbolicamente tutte le vittime dell'imperialismo, sia esso nazi-fascista come nel 1944, sia esso nord-americano come oggi.

Ma l'elemento di congiunzione ideale che accomuna la lotta di ieri in Italia con la lotta dell'oggi in Iraq non è soltanto quello del comune essere vittime dell’imperialismo, bensì – soprattutto – quello della lotta per l’affermazione del diritto alla resistenza e alla liberazione; ovvero, quello dell’esercizio concreto del diritto all’auto-determinazione.

Questa giornata si colloca nel contesto di una capillare offensiva politica e culturale che ambisce a riscrivere ciò che della storia di questo paese ancora non è stato riscritto definitivamente, di modo che il controllo ideologico del passato sia la condizione per il controllo ideologico del presente e la sua giustificazione storica.

Si dice spesso che sono i vincitori a scrivere – o meglio si dovrebbe dire “a riscrivere” - la storia. E i temporanei "vincitori" di oggi, eredi dei massacratori di ieri che furono responsabili diretti e indiretti di genocidi e torture - come ben sa la nostra terra, colpita con migliaia di morti nell'estate del '44 e non solo -, cercano di riscrivere la storia a proprio uso e consumo, con la complicità di una "sinistra" che ormai da molto tempo ha perso qualsiasi legittimità a rappresentarsi come portatrice di valori di verità e di giustizia.

Questa offensiva reazionaria si manifesta anche attraverso l'uso di una comunicazione sistematicamente "adulterata" in cui ogni cosa viene rovesciata nel suo contrario: i resistenti diventano "terroristi" e gli occupanti diventano "liberatori".

Scatenare aggressioni militari viene chiamato "portare la pace"; imporre governi fantoccio attraverso elezioni pilotate e sotto ricatto armato viene chiamato "un annuncio di democrazia".

Le guerre sono “umanitarie”, le bombe “intelligenti”.

I principali detentori e produttori di mezzi di distruzione di massa, vogliono distruggere “in nome della pace e della sicurezza” gli inesistenti mezzi di distruzione di massa di altri.

La “spirale guerra-terrorimo” di Bertinotti è identica a quella di Bush. Solo che per Bertinotti l’inizio della spirale è la guerra mentre per Bush è il “terrorismo”.

La resistenza non esiste mai. E neppure il legittimo diritto dei popoli a combattere contro un’invasione studiata a tavolino da anni.

Niente di nuovo, in fondo.

Anche i partigiani venivano chiamati banditi e gli Stati Uniti - che hanno fatto di noi una sorta di colonia - vengono ancora oggi acclamati come liberatori da buona parte degli italiani.

Se avessero vinto i nazi-fascisti i partigiani sarebbero stati oggetti di esecrazione e di disprezzo. In parte lo sono stati lo stesso, specialmente coloro che non si sono rassegnati a consegnare le armi alla nuova “democrazia a sovranità limitata” sorta dopo il 25 aprile del 1945.

Oggi, quasi nessuno in Italia pensa di vivere in un paese occupato. Eppure così è. L’Italia è un paese a tutti gli effetti occupato: militarmente, culturalmente e politicamente. Per sincerarsene basterebbe pretendere concretamente di chiudere la basi americane e della Nato e attendere la “risposta”.

Ma l’offensiva dei nuovi e vecchi arnesi del fascismo nostrano, da sempre manovalanza del potere, non è solo culturale.

Da mesi si ripetono devastazioni di luoghi antifascisti e veri e propri agguati a compagni e immigrati. Il tutto, come sempre, mentre il potere politico-giudiziario chiude benevolmente un occhio, quando invece è sempre così solerte nel condannare e reprimere ogni più piccola forma di nostra contestazione e nel proteggere ogni malefatta delle forze repressive, come Genova nel 2001 ha ben dimostrato.

Noi che conosciamo l'orrore delle stragi nazi-fasciste e che abbiamo pagato un prezzo altissimo per non aver voluto chinare la testa, non possiamo che esprimere con la massima forza la nostra solidarietà attiva alla lotta del popolo iracheno e alla sua Resistenza.

Non si tratta solo di un sostegno ideale. Si tratta del riconoscimento del diritto dei popoli alla propria concreta auto-determinazione e della comprensione che oggi, in Iraq, si gioca una partita importante non solo per gli iracheni, ma anche per i destini di tanta parte del mondo arabo e, per riflesso, del resto del mondo.

Gli iracheni che lottano dimostrano che si può resistere anche al nemico più pericoloso, agguerrito e sanguinario che oggi ci si possa trovare di fronte.

Un nemico che si è formato sterminando i popoli nativi americani, che ha deportato, ucciso e schiavizzato decine di milioni di africani, che ha utilizzato bombe nucleari e chimiche per devastare paesi, che ha appoggiato e addestrato i più feroci dittatori e torturatori dell'America Latina (e non solo), che ha cercato e cerca con qualunque mezzo di abbattere ogni forza che si erga contro i suoi interessi strategici.

Un nemico che pretende di essere considerato portatore della “missione” di civilizzare e democratizzare tutto ciò che non rientra nella sua nozione di “civiltà” e di “democrazia”.

Il popolo iracheno e la sua Resistenza ci chiedono innanzitutto un appoggio politico chiaro e senza ambiguità.

Di fronte ad una coalizione di guerra che tortura e uccide migliaia di persone – una coalizione di cui l’Italia fa parte a pieno titolo, seppure nel marginale ruolo che le compete -, disquisire sulle forme di lotta adottate da alcuni settori della Resistenza è solo un modo opportunistico per creare la "falsa coscienza" necessaria per il proprio disimpegno e per la propria passività, da risvegliare "una tantum" in modo celebrativo, quasi per "santificare le feste" o peggio ancora, per strumentalizzare eventi in funzione elettorale.

A differenza dell’ex-direttore del Manifesto, Barenghi, che evidentemente non conosce o finge di non conoscere gli effetti dei missili e dei proiettili americani sui corpi degli iracheni, tra una resistenza in cui qualche settore minoritario taglia qualche testa e un invasore che ha già assassinato oltre 100.000 persone e ne ha torturate altre migliaia, noi non abbiamo dubbi sulla parte da cui stare.

E sentiamo come un dovere morale, oltre che politico, di costruire, nell’Italia belligerante, un vero fronte interno e una nostra Resistenza.

Come ebbe a dire qualcuno che ci è molto caro, “una forza materiale può essere abbattuta solo da un’altra forza materiale”.

Ecco, il mio auspicio e il nostro impegno è quello che si riesca a costruire questa “forza materiale” necessaria per combattere efficacemente contro l’imperialismo a fianco dei popoli che resistono, contro i macellai di ieri e di oggi, con i partigiani di ieri e di oggi.

Vi ringrazio

Sant’Anna, 13 marzo 2005

Laboratorio Marxista
http://www.lmweb.tk

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