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IL CUPO RITORNO AGLI ANNI’ 50

(5 Dicembre 2014)

La visione della polizia che manganella gli operai davanti a Palazzo Madama mentre il Governo sta ricattando il Parlamento per far approvare una legge che toglie diritti e afferma la più bieca logica della sopraffazione di classe rimanda, per chi li ha vissuti, alla cupezza degli anni’50.
Gli anni ’50: quelli della polizia di Scelba davanti alle fabbriche o ai campi occupati dai contadini, quando il proletariato contava i suoi morti e lottava per affermare una diversa condizione di vita.
Chi ha attraversato quel periodo ad esempio in una città operaia ha ancora nelle orecchie il suono lacerante delle sirene, lo stridore delle gomme delle camionette che salivano sui marciapiedi dove i manifestanti cercavano di ritirarsi, il Natale trascorso sotto le ampie volte di una fredda fabbrica occupata oppure in piazza attorno a falò improvvisati, il commissario con la fascia tricolore che ordina la carica, la miseria nelle case dove ci si radunava per cercare di dare sostegno a chi proprio non riusciva più a cucire il pranzo con la cena ma anche la solidarietà dei commercianti che facevano credito e tiravano giù le saracinesche quando c’era lo sciopero.
L’Italia del boom nacque in quel modo, attraverso i sacrifici immensi delle lavoratrici e dei lavoratori passati attraverso una temperie straordinariamente pesante, nel periodo – è bene ricordarlo – immediatamente seguente alla guerra, all’invasione nazista, alle deportazioni, alle fucilazioni, alla Resistenza.
Nella fatica e nella rabbia era un mondo diverso, dove l’etica e la solidarietà operaia che si esprimevano nel Partito e nel Sindacato trovavano la loro ragione d’essere ben oltre la sopraffazione e l’odio di classe.
Oggi non è così: si sente lontana la solidarietà di classe perché nessuno, proprio nessuno, è capace di farla esprimere in forma collettiva, darle un senso, una prospettiva dello stare assieme per cambiare le cose.
L’impressione è quella di avamposti mandati allo sbaraglio, privi di retroterra e di orizzonte : un’impressione (anzi qualcosa di più) che deriva dal pervicace abbandono da parte di tutti i soggetti dell’idea di costruire un “vero” riferimento politico, organizzato, strutturato, in grado di offrire alle lotte aggregazione e senso.
Una responsabilità enorme per chi intende collocarsi in quella sinistra antagonista che dovrebbe svolgere l’opposizione al sistema.
Certo un tempo c’era il limite dell’ideologia: ma era davvero un limite, oppure un collante e un mezzo per chiedere di studiare, crescere, avvalersi della cultura per conoscere le stesse parole del padrone e poterlo controbattere?
Ecco: la sensazione che si vive in queste ore sulla pelle di chi ha vissuto quegli anni tremendi è sì quella del ritorno all’indietro, ma anche di un peggioramento secco della nostra capacità di capire la condizione nella quale ci troviamo.
Allora, almeno su questo punto fondamentale c’era chiarezza: si sapeva quale battaglia si stava conducendo. Era quella della lotta di classe.

Franco Astengo

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