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(10 Gennaio 2011) Enzo Apicella

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GIA' 15 ANNI FA ERA CRISI DI SISTEMA

(27 Settembre 2023)

Dal n. 129 di "Alternativa di Classe"

alterclasse

Quindici anni fa, nel 2008, partì una recessione globale, che fece ritornare in mente la Grande Depressione del 1929 e che entrò prepotentemente nelle nostre vite. Gli effetti di quel terremoto sono visibili ancora oggi e le cause ancora oggi non sono del tutto eliminate. Anzi.
La crisi, che aveva già dato segnali di allarme, partiti nel 2007 con un brusco declino degli investimenti negli USA, nel 2008 esplose con il crac della banca di affari Lehman Brothers. Il 12 Settembre 2008, esattamente quindici anni fa, i vertici delle più importanti banche commerciali e di investimento degli Stati Uniti, riunitesi per valutare la situazione della Lehman Brothers e trovare un modo per salvarla, viste le perdite accumulate nel 2008 sui titoli garantiti da mutui a basso rating e il suo debito monstre di 613 miliardi di dollari, non trovarono l'accordo.
Nel primo semestre del 2008 la Lehman Brothers registrò perdite per 2,8 miliardi, e fu obbligata a liquidare sei miliardi di attività, le azioni persero il 73% del loro valore nominale, mentre il mercato del credito continuava a franare. Insomma, il buco era troppo grande per essere coperto, e nessuno acquistò la Lehman Brothers, che dovette così portare i libri contabili in tribunale, mentre fu predisposto un piano per salvare le altre banche.
Motivo scatenante della crisi furono il mercato immobiliare statunitense e la bolla finanziaria che si era sviluppata in questo settore. Ciò fu possibile grazie anche alla deregolamentazione di Wall Street, avvenuta negli anni duemila sotto la presidenza Bush, che aveva permesso alle banche di fare cose più rischiose e di indebitarsi molto di più di quanto potessero fare prima, abbandonando una prassi per cui i prestiti avvenivano tramite un processo lineare.
Prima le rette pagate dai mutuatari venivano incassate direttamente dai creditori, che quindi concedevano prestiti in maniera decisamente più scrupolosa e richiedevano le dovute garanzie. Invece, negli anni pre-crisi i tassi magri e i magri ritorni economici incentivarono le banche ad essere sempre più spericolate. Da qui, dopo che la FED (Federal Reserve System) ebbe cominciato ad alzare i tassi, la bolla immobiliare scoppiò.
Il processo iniziò per il crollo dei mutui sub-prime: mutui concessi a persone che avevano scarse capacità finanziarie, ma che potevano accedere ad un prestito, ritenendo che il prezzo della casa aumentasse e che così avrebbe permesso loro di pagare il debito stesso. Sembrava un periodo florido, in cui ogni americano potesse possedere una casa con mutui a tassi vantaggiosi, ma, se si andava a leggere bene il contratto, i tassi sarebbero saliti in modo esponenziale dopo i primi anni, andando a vantaggio, oltre che delle banche, degli agenti immobiliari e delle società di costruzioni.
Il meccanismo funzionò, infatti, finchè il mercato immobiliare era in crescita, e permetteva a chi era in difficoltà di vendere l'immobile, che valeva di più del prestito richiesto. Ma il giocattolo cominciò a rompersi, quando, già a partire dal 2006-2007, si era registrato un brusco declino degli investimenti residenziali negli Stati Uniti dell'1,2%, e si ebbe un ulteriore flessione dell'1% nel primo semestre del 2008.
Logicamente, diminuendo il valore delle case, migliaia di persone non poterono più ripagare il loro debito. Molte persone, non potendo più pagare, videro la loro casa pignorata. Il valore delle case cominciò velocemente a scendere, e con esso il valore degli strumenti collegati ad esso, che subirono un crollo, dovuto alle continue vendite dei risparmiatori in cerca di salvezza. Il problema era che i mutui erano "impacchettati" in obbligazioni e derivati, presenti nei portafogli delle principali banche e istituzioni finanziarie mondiali, facendo diventare la crisi globale.
Iniziava l'effetto domino, e i governi a questo punto, rendendosi conto della situazione che la crisi stava creando, si decisero di mettere in atto misure straordinarie per cercare di salvare il salvabile. Il Fondo Monetario Internazionale dovette intervenire a sostegno di quei Paesi sull'orlo del default, come Islanda e Ucraina.
Le conseguenze economiche e sociali a livello non solo USA, ma anche globale, furono catasrofiche. Gli Stati Uniti nel 2007 avevano riscontrato una crescita del PIL del 2%, seguito nel 2008 da un crollo del 2,8% e da una stagnazione nel 2009 (-1%). Il tasso di disoccupazione passò dal 4,6% del 2007 al 9,3% del 2009, e la popolazione sotto la linea di povertà crebbe costantemente negli anni, partendo dal 12% nel 2004 e arrivando al 15,1% nel 2010.
Secondo una stima del Ministero del Tesoro americano del 2012, erano stati bruciati nei quattro anni precedendi 8,8 milioni di posti di lavoro, e il patrimonio delle famiglie era sceso di 19200 miliardi di dollari, dovuti in particolare alla svalutazione degli immobili; nel 2010 vennero stimate 46,2 milioni di persone in povertà, e il governo USA fu costretto ad investire più di 23000 miliardi di dollari in programmi di aiuti e salvataggi.
In Italia le conseguenze della crisi furono anche peggiori, perchè i fattori esterni agirono da innesco ad una crisi strutturale, che stava indebolendo l'economia italiana già a partire dai primi anni del 2000. Nel 2008 il PIL era diminuito dell'1,2% e nel 2009 del 5,1%, come premessa alla crisi del debito pubblico, che nel novembre del 2011 portò lo spread a 547 punti.
La produzione industriale calò del 25% dal 2008 al 2016 e la percentuale dei lavoratori in cerca di un posto salì al 78,1%, raggiungendo la cifra record di 7,9 milioni di persone. Il tasso di disoccupazione passò dal 6,2% nel 2007 al 12,4% del 2013 per scendere poi all'11,4% solo nel 2017. In sostanza, a partire dalla crisi, l'Italia alternò periodi di stagnazione a propri periodi di recessione, restando indietro rispetto ad altri Paesi europei.
La abnorme crescita dello spread mise in enorme difficoltà il sistema bancario italiano, che deteneva nel portafoglio una enorme quantità di buoni del tesoro, e la stretta creditizia che ne seguì determinò ulteriori difficoltà di accesso al credito per famiglie ed imprese.
Chi, come Francis Fukuyama, aveva visto nel crollo del blocco sovietico dei primi anni '90 la scintilla necessaria alla diffusione mondiale del capitalismo "democratico", la solvenza di tutti i guai del mondo, dando così liberta e felicità a tutti popoli, si è dovuto svegliare e guardare con realismo cos'è il capitalismo e quali sciagure fa ricadere sulle spalle del proletariato mondiale.
Le banche e la finanza hanno la funzione di intermediari nei pagamenti, trasformando il capitale liquido inattivo in capitale attivo, cioè produttore di profitto, raccogliendo le rendite in denaro e mettendole a disposizione dei capitalisti, e certamente non dei ceti meno abbienti.
La crisi del 2008 non portò solamente danni economici agli Stati Uniti e al mondo, ma inaugurò una nuova stagione "della democrazia occidentale" sempre più fondata sul rimarcare la divisione tra quelle classi sociali "sopravissute" alla crisi e quelle, invece, danneggiate dalla globalizzazione che aveva portato al crollo del 2008.
Chi pagò, oltre ai lavoratori, per questa crisi? Le grandi banche, responsabili di manovre speculative e di prodotti finanziari ad alto rischio, subirono sanzioni per 321 miliardi di dollari, di cui il 63% furono pagati da istituti finanziari americani; 35 banchieri furono finiti in carcere in seguito a comportamenti illeciti, ma con pene non superiori ai due anni e mezzo, I grandi manager e i dirigenti dei colossi di Wall Street la fecero franca, come c'era da scometterci.
La crisi economica ebbe ripercussioni su tutti i fronti, decretando fallimenti di piccole-medie, ma anche grandi, imprese, alti tassi di disoccupazione, e mise in difficoltà tutto il sistema bancario mondiale. I più noti imperi finanziari, messi in ginocchio dalle perdite legate ai mutui subprime e alla successiva crisi di liquidità, oltre a Lehman Brothers, sono Merril Lynch, inglobata da Bank of America, e Fannie & Freddie.
Nel resto del mondo, la Philips, dopo aver registrato la prima perdita trimestrale dal 2003, annunciò il taglio di 6mila posti di lavoro. In Gran Bretagna l'alto tasso di disoccupazione costrinse a casa più di 2 milioni di lavoratori. Come conseguenza della DISOCCUPAZIONE, più di 81mila famiglie in Italia non poterono pagare le rate del mutuo, e il 72% degli italiani cambiarono le abitudini di spesa, comprando soltanto prodotti a BASSO COSTO.
La lezione del 2008 è stata presto dimenticata perchè il mercato dei titoli dei derivati, che furono una delle regioni della catastrofe, è cresciuto a livelli pre-crisi, e sulla scena internazionale si sono inserite anche le banche cinesi, aumentando i colossi finanziari a dismisura, ma restando tutti con i piedi di argilla.
Il capitalismo, persa la sua spinta progressiva, ha cominciato ad arrancare: basti pensare che le economie capitalistiche più avanzate hanno dovuto fare i conti con quattro periodi di grande depressione: la Grande Depressione del 1929, la fine del "Golden Age" (un momento di maggior crescita dell'economia) negli anni '70, culminato nella crisi petrolifera del 1973, la crisi finanziaria del 2008, come abbiamo visto, e, da ultima, l'emergenza sanitaria COVID-19, che ha portato tutti i Paesi del G20, pur se in tempi diversi, alla recessione nel corso del 2020.
Negli intervalli, sempre più brevi, di queste grandi crisi, sempre più pesanti, ne sono seguite altre di minore entità, che hanno sempre costretto il capitalismo a nuove soluzioni per dare una risposta al calo del saggio di profitto, che il capitale non può permettersi per la sua stessa sopravvivenza. Ovviamente chi paga il fio di tutto questo è il proletariato nel suo complesso, in termini di salari, di repressione, di sfruttamento, peggiorando le condizioni materiali e sociali dei ceti meno abbienti, spesso mandati ad essere carne da macello per difendere l'interesse del prorio Paese, che in effetti è l'interesse del capitale.
Le crisi vengono infatti presentate come incidenti di percorso, dopo i quali “si ritornerà di nuovo a rilanciare l'economia”. Si è parlato e si parla di "finanza cattiva" e di "finanza buona", ma la finanza è semplicemente capitalistica, e serve a mettere in circolazione soldi quando non ce ne sono, cioè quando calano i profitti irrompe la finanza. Essendo globale il capitalismo, le sue crisi non possono essere che globali.
Fare più deficit è oggi la strada principale che le classi borghesi dominanti pensano di imboccare per fronteggiare la crisi economica in corso. Nella consapevolezza che il peso maggiore del debito ricade comunque sulle spalle dei proletari. Il pragmatismo, prevalente negli apparati politici borghesi, fa ritenere l'attuale situazione economica una condizione transitoria, trascorsa la quale, sarà possibile un rafforzato mix di autoritarismo sociale e politico e un rilancio in grande stile del nazionalismo, per avviare una nuova stagione di sacrifici e di macelleria sociale più intensa.
Qualunque strada imboccherà la crisi economica attuale, l'alternativa fra un inasprimento enorme della miseria e dello sfruttamento, con una crescita dei conflitti inter-imperialistici sullo scacchiere mondiale, e la organizzazione politica dei proletari per lottare contro le classi borghesi dominanti, si porrà in modo sempre più stringente.

Alternativa di Classe

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