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(6 Maggio 2008)
Leggo sulle istruzioni del sito dedicate ai commenti che "non saranno pubblicati commenti con contenuti fascisti, razzisti, sionisti, anticomunisti e comunque offensivi nei confronti della lotta di classe e delle lotte di liberazione dei popoli oppressi". Mi sembra un eccellente punto di partenza per commentare i fatti di Verona.
La povertà umana e culturale di cui i 5 criminali protagonisti dell'ignobile aggressione sono portatori si commenta da sé e non mi pare lasci adito ad alcun dubbio.
Nonostante ciò, non vorrei fermarmi a dichiarazioni di routine su quello che è successo. Chino il capo di fronte ai familiari della vittima e a quelli dei persecutori - vittime anche loro, ahimé - e rispetto con profonda umiltà il loro incommensurabile dolore.
Ma vorrei tentare di capire perché é successo quello che é successo e perché, secondo me, succederà ancora.
L'Italia è un Paese che da troppi anni, ormai, non riesce a fare i conti con il proprio passato. A misurare e misurarsi con il ventennio fascista, con la guerra e con la Resistenza. A calibrare il ruolo storico di vincitori e sconfitti. Tutto quello che si riesce a fare è riproporre, stancamente, strumentalizzazioni di parte, a "buttare in politica" sempre e comunque i fatti di cronaca violenta per cercare di condannare i nemici e far assolvere gli amici.
Di qua tutto il bene, di là tutto il male.
Intanto, i giovani italiani (intendendosi con quest'espressione tutti coloro che vivono in Italia, anche i migranti) vivono o in un inutile benessere familista, in cui si sviluppa la noia e da cui prende corpo la "banalità del male" (H. Arendt) oppure in una situazione di precariato esistenziale, dove invece alberga un'illegalità sempre più spesso non meno violenta contro le persone e che alimenta pulsioni securitarie e razziste.
Mi volete dire cosa c'entrano destra e sinistra in tutto questo? E Israele? E il calcio?
La verità, a mio avviso, è semplicemente che l'Italia si fonda su un tessuto sociale neocontadino, dove tanti si sono arricchiti troppo in fretta senza saper gestire la propria ricchezza e in cui l'ultimo, il diverso, il povero diventa un elemento sociale disarmonico da cancellare, poi il fine giustifica i mezzi. Ma questa verità, seppur parziale e incompleta (mi rendo conto) non dimostra altro, da parte di tutti, che una pervicace miopia partigiana, dove qualcuno diventa il soggetto da difendere a tutti i costi e qualcun altro il nemico da eliminare, nell'eterno riproporsi di una guerra civile culturare in cui emergono sempre più forze centrifughe e lacerazioni profonde.
Non credo che ciò implichi i concetti di lotta di classe e le vetuste categorie politiche a questa connessa. E credo che questa barbarie potrà finire solo quando la nostra società - se mai avverrà - potrà definirsi autenticamente "civile": con una famiglia in cui vi siano ruoli genitoriali e filiali ben definiti ed adeguati alle esigenze della modernità, con una scuola pubblica che sia luogo di aggregazione e formazione delle coscienze, con un lavoro dignitoso per tutti ma soprattutto per quelli che se lo meritano, con un sistema di protezione sociale davvero protettivo, con la repressione penale e culturale della violenza a prescindere dal suo colore, in ogni luogo e forma di manifestazione, con un'informazione autenticamente libera e plurale.
Solo così si potranno mettere a nudo (in un primo momento) e poi eliminare o quantomeno ridurre le recrudescenze vioente come quella veronese, solo quando per tutti ci saranno diritti e doveri civili e sociali che vengono insegnati sin dall'infanzia.
Non credo che occorra essere comunisti per capire e desiderare tutto questo.
Ma pubblicate il mio commento, se ci riuscite. Non sono comunista e non lo sono mai stato. Ma mi piacerebbe il dialogo, l'apertura, il dibattito. Forse così la politica può dare l'esempio per una radicale trasformazione della società, che declini il capitalismo a vantaggio di tutti e dove ognuno sia impegnato a produrre qualcosa di utile, non solo economicamente, per tutti.
Forse così eviteremo, in futuro, di dover affrontare di nuovo drammi come quello di Verona, o come le morti bianche, o come la violenza negli stadi, sulle donne, sui più deboli.
Francesco Calabria
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