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Dove volano i salami

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(2 Maggio 2010) Enzo Apicella
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Salviamo la vita di Avni Er

(14 Ottobre 2007)

Il 1° aprile del 2004 i ROS dei Carabinieri arrestano 5 persone - 3 italiani e 2 turchi - che ritengono militanti di una cellula che l’organizzazione della sinistra turca DHKPC avrebbe installato a Perugia. “Da notare che prima della riforma in senso restrittivo dell’art. 270 bis del Codice Penale - afferma l’avvocato Flavio Rossi Albertini - non sarebbe stato giustificabile l’arresto di persone accusate di aver commesso dei reati associati al terrorismo non nel nostro territorio bensì in un paese terzo. La riforma del Codice e il rafforzamento a partire dal Governo Berlusconi della cooperazione giudiziaria con la Turchia hanno portato nel 2004 a questa operazione, presentata all’epoca come la prova concreta della disponibilità italiana nei confronti delle richieste insistenti del governo di Ankara di colpire le voci dell’opposizione di sinistra turca che operano in molti paese europei”.

Le accuse hanno trovato una sponda nella Procura della Repubblica e poi nella Corte d’Assise di Perugia che hanno ritenuto di dover procedere contro quella che è stata considerata una cellula di collegamento tra l’ala militare dell’organizzazione operante in Turchia e i vertici che, secondo la Magistratura, agivano invece in Olanda. Durante l’iter processuale gli imputati Avni Er e Zeynep Kiliç vengono ritenuti colpevoli di appartenenza ad un’organizzazione terroristica e quindi condannati il primo a sette anni di carcere e la seconda a cinque.

Nei loro confronti vengono applicate condizioni durissime di carcerazione. Nel luglio del 2006 Avni Er, nonostante sia processato a Perugia, dal Carcere romano di Rebibbia viene trasferito in quello di Nuoro, rendendo così estremamente difficile ai suoi avvocati realizzare i colloqui e garantirne la difesa.

Ricorda Rossi Albertini che “l’attività di Avni in Italia è sempre stata quella di divulgazione e di controinformazione rispetto alla dura repressione e persecuzione che la sinistra turca è costretta a subire: torture inflitte sistematicamente ai prigionieri politici, partiti e associazioni messe al bando, giornali chiusi e i loro redattori arrestati. Per non parlare del massacro di decine di prigionieri e di loro familiari realizzato dalle forze di sicurezza turche nel dicembre del 2000”.

Se la condanna di due cittadini turchi sulla base di prove indiziarie non fosse già cosa grave, il governo italiano potrebbe rendersi ora complice di un nuovo atto di ingiustizia, mettendo a rischio l’incolumità e la vita stessa di Avni Er. Ankara ha infatti inoltrato formale richiesta di estradizione alle autorità italiane ed entro poche settimane il suo omologo italiano Clemente Mastella dovrà rispondere. In nome dei reciproci e crescenti interessi economici tra i due paesi e della cosiddetta “lotta al terrorismo” Avni potrebbe essere consegnato alle istituzioni carcerarie di uno Stato che è in cima alle classifiche mondiali sulle violazioni dei diritti umani. Violazioni denunciate e documentate non solo da associazioni indipendenti come Human Rights Watch e Amnesty International, ma anche da organismi ufficiali come la Commissione ONU per i diritti umani e il Comitato Europeo per la prevenzione della Tortura. Considerando che Avni Er viene ritenuto da Ankara un “nemico dello Stato” si può immaginare a quale trattamento verrà sottoposto.

Gli avvocati chiedono alla Corte d’Appello di Sassari di rispettare la clausola che prevede il rifiuto dell’estradizione quando sussiste il concreto rischio che il prigioniero possa essere sottoposto a tortura o comunque a trattamenti inumani e degradanti. Anche nel caso di un ok da parte della Magistratura, l’ultima parola spetta comunque al Ministro Mastella, che purtroppo si è detto già disponibile nei confronti della richiesta del regime turco.

L’appello da parte di associazioni, giornalisti e organizzazioni politiche - alcuni parlamentari hanno già presentato delle interrogazioni in merito - è che la giustizia prevalga sul mero calcolo politico e sulla realpolitik.

(Articolo pubblicato sul settimanale “La rinascita della sinistra”)

Marco Santopadre

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