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il pane e le rose

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La campagna antisindacale di Alitalia

(6 Aprile 2008)

Da Prodi a Padoa Schioppa, dai più importanti quotidiani al tg1 che ha appaltato i propri editoriali al “Sole 24 Ore”, da Casini a Ichino, sono tutti scatenati contro l’irrigidimento sindacale che ha fatto fuggire Air France e provocato quindi la crisi finale di Alitalia.

In qualsiasi altro paese questa sarebbe una classica campagna della destra. Da noi la guidano prima di tutto i poteri economici e culturali aggregati attorno al centrosinistra.

Ma veniamo alla sostanza. Dopo il totale fallimento bipartitico della gestione di Alitalia, si è deciso di vendere al meglio (al peggio) alla principale compagnia estera concorrente. Come sa chi conosce l’abc dei mercati e dei loro effetti sulle condizioni di lavoro, è chiaro che una vendita organizzata in questo modo consegna all’acquirente tutto il potere e lascia al venduto solo il compito di chiedere pietà.

Oltre a ciò il ministro del Tesoro ha incentivato in tutti i modi le rigidità di Air France. Minacciando la chiusura dell’azienda, nel caso in cui non si fossero accettate le condizioni dei francesi.

Da quel che abbiamo capito Air France non ha neppure iniziato un negoziato, ma ha semplicemente riaffermato la propria impostazione chiedendo al sindacato e al governo di smussarne gli angoli con gli ammortizzatori sociali. Non c’è nulla di cui stupirsi: così fanno tutte le multinazionali quando comprano. All’inizio promettono mari e monti, ma poi in concreto tagliano, chiudono, licenziano. Così fa l’Electrolux, contro la quale hanno scioperato il 4 aprile tutti i dipendenti italiani, così fa la Nokia, così fa la Thyssen, così fan tutte.

Toccherebbe allora alla politica porre condizioni, limiti, sia sul piano delle strategie industriali, sia su quelle dell’occupazione. Nulla di tutto questo c’è stato. Berlusconi ha fatto il baüscia vantando inesistenti cordate, Prodi e Padoa Schioppa hanno semplicemente sostenuto i francesi e minacciato i sindacati. Ora invece si preferisce dare la colpa al corporativismo sindacale. Di fronte a questo fallimento del governo e della politica, è comodo per tutti dare la colpa ai sindacati.

E’ vero che i sindacati dei trasporti sono stati troppo spesso coinvolti in pratiche cogestionali e corporative, volute dai dirigenti aziendali, siano essi di destra che di sinistra. E’ vero che i sindacati confederali troppo spesso hanno rinunciato al conflitto e al consenso democratico dei lavoratori, per essere associati al potere delle aziende. Non solo in Alitalia, ma nelle Ferrovie, nelle municipalizzate (l’8 aprile a Firenze scioperano i dipendenti dell’Ataf contro un accordo che non ha il consenso né delle Rsu né dei lavoratori). E’ assolutamente vero che attraverso la concertazione e la cogestione è passata un’adesione sindacale a strategie aziendali sbagliate e a management incapaci, o peggio. Ma è paradossale che proprio questa volta che sindacati dell’Alitalia, tutti assieme - dall’Anpac, ai confederali, a quelli di base - propongono alla controparte un negoziato responsabile sulle politiche industriali e sull’occupazione, costruito con il consenso dei lavoratori. Proprio ora che fanno rigorosamente il proprio mestiere, proprio ora i sindacati sono sotto accusa. E’ questo il segnale di quanto stia precipitando a destra l’asse sociale, politico e culturale del paese. Il segno di quanto la politica fin qui seguita dal centrosinistra prepari un’accelerazione liberista tanto fuori tempo, vista la crisi economica mondiale, quanto pervicacemente acclamata. I giornali esaltano i “quadri” aziendali che si schierano con i francesi e contro il sindacato, mentre per tutti gli altri lavoratori si alimenta la paura. Ripartirà la campagna contro i privilegi di chi lavora, perché in Italia l’unico lavoratore che raccoglie attenzione e rispetto è quello che muore negli incidenti sul lavoro. Tutti gli altri sono o invisibili o corporativi. Se ogni diritto e ogni condizione di miglior favore diventano privilegio, cosa vogliono quelli dell’Alitalia? Conservare uno stipendio decente e un minimo di scurezza sul lavoro? Che imparino dai precari dei call-center. Ancora il solito tg1 ha mostrato tutto contento i lavoratori licenziati da SwisseAir, che si sono dati da fare per trovare un’occupazione. E’ utile ricordare che la distruzione del sindacato e di tutti i diritti dei lavoratori americani cominciò nel 1980, quando Ronald Reagan licenziò in un sol colpo 18.000 controllori di volo: anche quelli erano lavoratori privilegiati. Dobbiamo percorrere allora tutti i passaggi del disastro sociale negli Stati Uniti, perché le parole di Obama divengano concrete da noi? Magari è proprio questo il disegno di Veltroni.

I lavoratori di Alitalia, con le loro paure, le loro ragioni, le loro contraddizioni, sono soli. Sotto una pressione che cancella la realtà, sotto una campagna che fa sembrare di sinistra persino il buon senso di Cesare Romiti, che si domanda perché non si possa far continuare a lavorare l’azienda, tagliando gli sprechi ma conservando il patrimonio industriale, forzando tutte le regole del mercato come si è fatto per la Fiat. Ma oramai siamo in attesa del ritorno di Spinetta che, nuovo Carlo D’Angiò, venga a salvare l’Italia. Che disastro! Che classe dirigente inetta e priva di capacità e dignità. Che vergogna scaricare tutto sui lavoratori.

Non sappiamo come finirà questa vertenza, ma almeno una cosa è chiara: grazie a Prodi e a Tommaso Padoa Schioppa il sindacato della concertazione, della cogestione, della collaborazione con governo e azienda è morto. Siamo sicuri che non è un risultato da essi voluto, ma grazie a loro niente diventa più utile, serio e attuale del conflitto sociale e dell’indipendenza del sindacato dai governi, dai partiti e dalle aziende.

Giorgio Cremaschi

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