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Elezioni 2008. La sinistra suicidata, il nuovo fascismo e le future lotte contro il “veltrusconismo”

Ovvero come predicare male, razzolare peggio ed essere bocciati dagli elettori

(18 Aprile 2008)

Il terremoto politico-elettorale avvenuto nei giorni scorsi, ha provocato effetti a dir poco devastanti, delineando un quadro parlamentare davvero singolare e senza precedenti (se si eccettua l’unico precedente che risale al Ventennio fascista).

Uno scenario imprevisto ed imprevedibile, almeno nella vastità e nelle proporzioni drammatiche in cui si è determinato. Un disastro politico simile alla situazione di illegalità e di messa al bando procurata dall’avvento al potere del partito fascista di Benito Mussolini, con l’instaurazione della dittatura e l’espulsione violenta delle forze di opposizione presenti nel Parlamento dell’epoca, in modo particolare del partito comunista e di quello socialista. Con la differenza, non secondaria, che nel caso odierno non c’è stato bisogno di ricorrere a provvedimenti apertamente reazionari e antidemocratici. In un colpo solo si è consumata la dissoluzione delle "sinistre", espulse in toto dal Parlamento italiano. Questo è, nei fatti, il risultato più evidente ed eclatante del nuovo “fascismo” mascherato da “antifascismo”, del nuovo “golpismo istituzionale” camuffato da Partito Democratico + Popolo delle Libertà, che in sintesi si chiama “Veltrusconismo”. Il "golpe veltrusconiano" ha cancellato con una soluzione “morbida” e “pacifica” tutti i partiti di sinistra. I quali non hanno fatto nulla per impedire il proprio “suicidio” politico. Anzi, direi che le forze di “sinistra” hanno permesso tutte le forme di autolesionismo possibile ed immaginabile, tutto ciò che si poteva concedere all’avversario veltrusconiano per farsi male in modo serio e (forse) irreparabile. Con gli esiti a dir poco catastrofici che sono evidenti a tutti.

Ma vediamo in quale modo si è tradotto l’autolesionismo della sedicente “sinistra” (ex)parlamentare italiana. Una “sinistra” ormai estinta, umiliata e declassata al rango di un movimento politico extraparlamentare, senza possedere più alcun rapporto organico con i soggetti della realtà sociale, senza avere più l’abitudine e tanto meno la vocazione alla prassi e all’attività extraparlamentare.

La liquidazione della sinistra parlamentare borghese è stata una morte annunciata da tempo, ma il principale responsabile del disastro si chiama (in)Fausto Bertinotti. Il quale ha raccolto esattamente quanto ha seminato negli ultimi anni. Ma nemmeno la più pessimistica delle previsioni poteva prefigurare e vaticinare lo tsunami che ha annientato totalmente la presenza della sinistra parlamentare in Italia.

Senza dubbio l’astensionismo di sinistra ha inciso in modo consistente sull’esito del voto che ha penalizzato duramente i dirigenti e i rappresentanti della cosiddetta “sinistra radicale”. In questi ultimi due anni la sinistra filo-governativa ha predicato male e razzolato peggio. Per questo gli elettori hanno deciso di punirla amaramente.

Nel contempo, il nuovo “fascismo veltrusconiano" ha contribuito all’estromissione dalla scena parlamentare della sinistra borghese, senza porre in essere procedimenti autoritari o violenti, ma facendo semplicemente ricorso ad una vasta e capillare campagna propagandistica a favore del “voto utile”, che ha convinto non pochi elettori della “sinistra radicale” ad appoggiare il partito di Veltroni.

La situazione politica odierna è, di fatto, quella di un regime senza colpo di stato, un fascismo privo della dittatura militare. Il nuovo Duce si chiama Veltrusconi. Pasolini docet: “il fascismo potrà risorgere a condizione che si chiami antifascismo”.

Infatti, il quadro politico-parlamentare determinato dalle ultime elezioni, risulta assai più inquietante e pericoloso del fascismo propriamente inteso, per la semplice ragione che l’affossamento della sinistra parlamentare borghese è avvenuto in una cornice di apparente democrazia, ovvero senza l’avvento di un colpo di stato militare che abbia messo fuorilegge i partiti di sinistra. I quali si sono in pratica “suicidati” (quasi) da soli. Gli avversari si sono limitati ad assecondare gli eventi.

Tale risultato si è rivelato addirittura traumatico, inducendo alcuni osservatori e personaggi politici che sono in qualche misura riconducibili al fronte dell’ultra-conservatorismo (quali, ad esempio, Giulio Tremonti) a temere l’attuale scenario, nella misura in cui le contraddizioni sociali e materiali, i conflitti di classe presenti nel mondo del lavoro, le vertenze e i contrasti insiti nella realtà del paese, potrebbero assumere un carattere di insanabilità, in quanto non sarebbero più governabili e suscettibili di mediazioni politico-istituzionali. In pratica si teme e si paventa che l’assenza di rappresentanza parlamentare della sinistra possa generare antagonismi sociali esplosivi, fenomeni di recrudescenza politica difficilmente gestibili. Inoltre, con il quadro parlamentare appena uscito dalle elezioni, mi pare assai facile prefigurare un tentativo di stravolgere il testo della Costituzione attraverso una sorta di “grande inciucio”, ossia un’ampia intesa di stampo “veltrusconiano” sul terreno delle cosiddette “riforme costituzionali”, tanto attese ed invocate non solo dalla coalizione di centro-destra guidata da Berlusconi, Bossi e Fini.

Pertanto, le elezioni si sono riconfermate un rito vuoto ed inutile, ma soprattutto un meccanismo assai pericoloso ed ingannevole, specie se tale pratica è scissa e distante dal corpo reale della società e della Politica (con la P maiuscola), divenendo un’appendice assolutamente funzionale agli interessi di parte delle forze dominanti. L’elettoralismo è dunque una malattia, che infatti si manifesta attraverso i sintomi di un forte stato febbrile. L’elettoralismo è un potente sedativo in mano alla borghesia e ai poteri dominanti, una “droga” spirituale usata per addormentare la coscienza delle masse. Le elezioni servono soprattutto a rincretinire le classi lavoratrici e a distrarle dal loro compito rivoluzionario. Deviare e allontanare le masse operaie dal terreno della lotta di classe, per incanalarle e impantanarle nella palude melmosa dell’elettoralismo e del parlamentarismo borghese, è sempre stato un obiettivo necessario per la salvaguardia e la conservazione del potere detenuto dalla borghesia capitalista. Ma la democrazia borghese non è solo una truffa, un’illusione: essa è un’emanazione generata dallo stesso modo di produzione capitalistico-borghese che di fronte al mercato rende tutti uguali, ovvero omologati, tutti venditori e compratori allo stesso tempo. Un infame ingranaggio che costringe le persone a produrre e consumare per un'intera esistenza e infine crepare, condannandole a un destino miserabile e degradante. Un sistema brutale ed alienante, fondato sull’economia di mercato, sull’aziendalismo esasperato, sulla proprietà privata, sul principio (pericoloso e mistificante) dell’individualismo e della competizione sfrenata tra gli individui, messi l’uno contro l’altro (”homo homini lupus”). La democrazia rappresentativa borghese concepisce la società come una somma di individui atomizzati, ognuno con i suoi criteri di scelta e di giudizio, con una propria coscienza, con un proprio destino, senza alcun legame di solidarietà, di interdipendenza e di condivisione con la coscienza e il destino altrui.

Il cretinismo parlamentare, una delle principali caratteristiche degenerative della politica democratico-rappresentativa borghese, consiste proprio nel considerare il singolo individuo come il motore della storia, come l’agente determinante dei possibili miglioramenti o peggioramenti della vita sociale. Ma in cuor loro, le classi dominanti, benché stordite dai loro stessi inganni, sanno che la realtà sociale segnata dalle contraddizioni e dagli antagonismi di classe, si rivolterà inevitabilmente contro di esse.

Berlusconi e Veltroni, e le loro differenti alleanze politico-elettorali, rappresentano sostanzialmente i due principali poli economico-finanziari contrapposti. Col pretesto di combattere e scongiurare il rischio che il governo cada nelle mani della “destra”, tutti i “sinceri democratici” tendono ad abbracciarsi e sostenersi a vicenda, recandosi alle urne per votare la (falsa) “sinistra”.

Si pensi ad un partito sedicente "comunista" come Ri(af)fondazione, diviso da sempre tra un'anima elettoralista e una vocazione governista, da un lato, e spinte movimentiste ed operaiste dall'altro. Un partito la cui direzione (non solo i quadri dirigenti, bensì pure la base militante) mirava alla formazione di un blocco elettorale di sinistra, il più aperto ed ampio possibile, per battere la destra berlusconiana. Mai che qualcuno nel PRC avesse solamente ipotizzato che l’epicentro della lotta per il potere reale fosse collocato all'esterno del gioco elettorale e parlamentare, ed implicasse la formazione di uno schieramento e di un blocco di classe, non di votanti e relative schede elettorali. Non si tratta di due strade praticabili contestualmente, ma di due percorsi opposti e divergenti. Infatti, le forze democratico-riformiste che hanno nella democrazia parlamentare il loro ossigeno non riescono a fuoriuscire da quello stato "ambientale" per misurarsi decisamente sul terreno di classe. Non si conoscono ancora esempi di partiti comunisti a carattere "anfibio".

Per ridestarsi da decenni di rincoglionimento e cretinismo elettorale e parlamentare (pseudo)democratico, il proletariato dovrà con ogni probabilità essere scosso da terremoti economici e sociali di grandi dimensioni e di grande intensità e profondità. Solo allora i proletari massacrati in tutto il mondo ritroveranno l’unica risposta di classe che la storia riserva loro. E manderanno al diavolo i parlamenti liberal-borghesi e le (inutili) schede elettorali.

La vera sinistra potrà risorgere solo se saprà fare una seria autocritica e ripartire dai bisogni concreti e dalle vertenze reali della sua gente, ovvero i lavoratori. Il terreno più fertile e congeniale per la sinistra di classe è da sempre il mondo delle lotte e dei diritti del lavoro salariato, la base del movimento operaio e sindacale. La vocazione storica, la natura e l’attitudine della sinistra realmente antagonista, coincidono con le lotte e le vertenze dei lavoratori, con le tendenze e i bisogni effettivi delle masse operaie, non con le competizioni elettorali e tanto meno con le opzioni riformiste e governiste, che invece non pagano e non ottengono mai nulla.

Concludo citando Ernesto Che Guevara, il quale sosteneva che le sconfitte, specie quelle più amare e brucianti, possono rivelarsi nel tempo anche più utili ed istruttive di una vittoria troppo facile ed esaltante. Non a caso, la “vittoria” del 2006 ha arrecato molti danni preparando il terreno all’attuale disfatta, in quanto ha alimentato e favorito un progressivo distacco della sinistra parlamentare dalla realtà drammatica e dolorosa dei bisogni e delle lotte delle masse popolari. Non sono pochi i quadri dirigenti che si sono montati la testa, assumendo atteggiamenti di arroganza, superbia e cecità nei confronti del legittimo dissenso espresso in diverse circostanze dalla base militante (soprattutto la base operaia, che di conseguenza ha voltato le spalle), per cui molti attivisti e simpatizzanti della cosiddetta “sinistra radicale” si sono disaffezionati e allontanati in modo crescente, decidendo infine di astenersi dal voto per punire duramente chi aveva deluso e tradito le attese e le speranze suscitate nel popolo della sinistra proprio dalla “vittoria” ottenuta nel 2006. Sono trascorsi appena due anni solari, eppure quella data sembra distante anni luce dall’attuale momento storico.

Lucio Garofalo

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