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Le lezioni delle lotte egiziane

(16 Maggio 2008)

In questi ultimi tempi la lotta è esplosa nelle piazze di molti paesi, in Egitto, Burkina Faso, Camerun, Indonesia, Costa d'Avorio, Mauritania, Mozambico, Senegal e Haiti. Ma non dicevano che la lotta di classe era finita per sempre?

Chi crede che la storia, la società, le lotte abbiano uno sviluppo lineare, finisce col considerare assolute le tendenze del presente. Quante fandonie abbiamo sentito sul liberismo! - Continuano a chiamarlo così, anche se dietro l’apparenza di libero mercato si nasconde lo strapotere monopolistico delle multinazionali. - Il dogma era: “Lo stato è destinato a perdere ogni funzione in economia”. Scoppiata la crisi, però, evviva l’intervento pubblico, e i liberisti di ieri plaudono alla nazionalizzazione di una banca in uno dei templi del liberismo, la Gran Bretagna. Troppo concentrati sul presente, neppure si accorgono della contraddittorietà delle loro posizioni. E astuti politicanti assecondano questi improvvisi capovolgimenti di posizione, per essere sempre in sintonia con i giudizi e i pregiudizi degli elettori.

La lotta di classe, dunque, non ha uno sviluppo lineare; ci sono brusche accelerazioni, parziali ritorni all’indietro, vittorie di Pirro, sconfitte a volte salutari, crolli e rinascite, imboscate e trappole delle classi dirigenti, provvedimenti governativi che si rivelano boomerang, compromessi e tradimenti, vittorie parziali. E potremmo continuare l’elenco per chissà quanto. Ci sono periodi in cui le lotte raggiungono livelli altissimi, e altri in cui sembrano spegnersi. In realtà, seguono un percorso carsico.

L’ingresso di gigantesche masse di lavoratori salariati, soprattutto in Asia, e la concorrenza dei salari bassissimi, in un primo tempo hanno avuto un effetto disgregatore sul livello di vita dei lavoratori occidentali, favorendo l’offensiva della borghesia, tendente ad abbassare i salari reali, a estendere il lavoro precario, a scoraggiare l’adesione ai sindacati, o ad addomesticare sempre di più i sindacati esistenti. Questa debolezza reale del movimento ha minato la forza delle rappresentanze politiche, autentiche o presunte, e, con una sorta di effetto domino, ha travolto molte forze di sinistra, e portato forti arretramenti dei partiti socialdemocratici e laburisti.

La vittoria ha tolto alla borghesia la cautela usata nei momenti in cui il movimento operaio era forte, le ha dato la possibilità di accrescere i profitti falciando i salari, e di gettarsi nelle più spericolate avventure finanziarie. Dopo il crollo dei suprimes, per rifarsi la speculazione si è buttata sugli alimentari, con conseguenze funeste per miliardi di persone. Quando facevamo notare l’attualità della posizione di Marx : i magnati che monopolizzano tutti i vantaggi del processo di trasformazione, la crescita “della miseria, della pressione, dell’asservimento, della degenerazione, dello sfruttamento”, l’obiezione era: “Marx parla anche della ribellione della classe operaia, ma questa non la vediamo”.

Oggi, questo non è più vero: dallo sciopero dei porti americani contro la guerra alla lotta dei tessili egiziani, la lotta di classe si sta riaffacciando sulla scena della storia.

Per i media ufficiali, le lotte scoppiate in molti paesi sono pure e semplici rivolte per fame, non hanno carattere classista. Questo si rivela particolarmente falso per i lavoratori tessili egiziani, in particolare per la loro fascia più avanzata, di Al Mahallah Al Kubrah. Per fortuna oggi si trovano in Internet articoli di giornalisti egiziani di sinistra, debitamente tradotti, che ci danno un quadro abbastanza preciso, e gli scritti di pochi giornalisti italiani, che conoscono bene il Vicino Oriente, e contribuiscono a demolire le leggende ufficiali.

Queste lotte egiziane sbugiardano alcuni luoghi comuni, che riguardano anche l’Italia. Per capire, noi europei dobbiamo scendere dalla cattedra, perché in questo momento non abbiamo da insegnare, ma da imparare dalle lotte di un paese geograficamente vicino, ma del quale spesso, nel migliore dei casi, conosciamo meglio la storia antica che le vicende di oggi.

Primo luogo comune: “Tutti gli arabi sono invischiati in ideologie religiose, salvo i “moderati” che appoggiano i governi”.

Però la lotta non è sorta dai Fratelli Musulmani, che si sono tirati subito indietro, e hanno dichiarato di non partecipare. I lavoratori stessi hanno organizzato la lotta, direttamente, e con spirito laico. In seguito i Fratelli Musulmani visto che il governo, lungi dal premiarli per il loro atteggiamento antisciopero, li gettava in carcere lo stesso, si sono decisi ad appoggiare le lotte in maggio. Tipico dei politicanti profittatori. Restano una forza reazionaria, nemica del movimento operaio quanto il governo.

Secondo luogo comune: “l’Italia è amica dei regime arabi moderati, ma non rinuncia a difendere i diritti umani e critica le azioni di repressione”.

Sentiamo Michele Giorgio: “ In questo clima il “Made in Italy” fa rotta verso l'Egitto. Da oggi fino a giovedì oltre 300 imprenditori, capitanati dal presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, e guidati dal presidente del consiglio, Romano Prodi, e dal ministro del commercio internazionale, Emma Bonino, saranno ufficialmente al Cairo per partecipare al grande banchetto delle privatizzazioni portate avanti da Mubarak e ai saldi a prezzi stracciati dell'industria egiziana. Ma, soprattutto, per verificare le potenzialità di lavoratori a bassissimo costo. Sotto la “sapiente” organizzazione di Abi, Confindustria e Ice (ci saranno anche nove gruppi bancari e 17 associazioni industriali) si occuperanno anche di energia e i trasporti e perciò non mancheranno rappresentanti di Enel e Eni”. E il valente giornalista si chiede: “Romano Prodi ed Emma Bonino, sempre attenta ai diritti umani, chiederanno spiegazioni a Mubarak sugli operai uccisi e feriti, sulle torture nelle carceri e stazioni di polizia, sugli arresti di blogger, sui brogli elettorali? Sperarlo è un'illusione.”(1) Questo era il governo che le sinistre consideravano il migliore possibile in quella situazione, al quale hanno sacrificato ogni punto programmatico, compresi l’opposizione alla guerra, la difesa delle pensioni e dei salari, la lotta contro il raddoppio della base di Vicenza, ecc. Il governo Prodi si è rivelato complice del dittatore Mubarak, e ha favorito gli affari della Confindustria sulla pelle dei lavoratori egiziani. Un nemico di classe, proprio come il governo Berlusconi.

Terzo luogo comune: “Le donne musulmane sono sottomesse e non partecipano alla vita politica”.

Le lotte degli operai di Mahallah non sono cominciate nell’aprile del 2008, ma nel dicembre 2006, con lo sciopero a Mahallah Al-Kubra, la fabbrica tessile più grande. La promessa di un aumento del premio annuale, agli operai del settore industriale pubblico, da 100 lire egiziane (17 dollari) a un premio pari a due mesi di salario, non era stata rispettata. Gli operai erano inquieti, ma non avevano ancora deciso lo sciopero: “ Il ritmo di lavoro della fabbrica era già rallentato ma la produzione cadde di colpo quando 3.000 operaie della sartoria lasciarono il posto di lavoro e si diressero verso le sezioni del tessile e della filatura dove i loro colleghi maschi non avevano ancora fermato le macchine: Le operaie gridavano cantando: “Dove sono gli uomini? Ecco le donne!” Spinti dall’esempio, gli uomini si unirono allo sciopero.” Anche le mogli degli operai, accampate nelle tendopoli si rivelarono vere combattenti di classe. I tentativi della direzione di calmare i lavoratori offrendo un premio corrispondente a 21 giorni di salari fallì e “i lavoratori scacciarono tutti i rappresentanti della direzione che erano venuti a negoziare... Le donne erano più combattive degli uomini: erano pressate dalla polizia antisommossa ma tennero duro”.(2)

Quarto luogo comune: “Gli operai di Asia e Africa non hanno un’esperienza paragonabile a quella dei lavoratori europei, e cadono facilmente nelle trappole dei padroni e dei governi”.

Dopo l’interruzione della lotta, di fronte all’offerta di un premio di 45 giorni di salario e l’assicurazione non sarebbe stata privatizzata, ci fu un periodo di relativa calma. Nell’aprile del 2007, visto che le promesse non erano mantenute, decisero di mandare una delegazione al Cairo per trattare con la Federazione Generale dei Sindacati (il sindacato di Stato) le rivendicazioni salariali e per accusare il comitato sindacale di fabbrica che aveva sostenuto i padroni durante lo sciopero di dicembre. Volevano negoziare con i sindacati ufficiali perché li consideravano una controparte, proprio come il governo o la direzione della fabbrica. Per impedire la partenza delle delegazione la polizia mise la fabbrica in stato d’assedio. Seguì lo sciopero degli operai, e due altre grandi fabbriche tessili si dichiararono solidali con Mahallah, la Ghazl Shebeen e quella di Kafr el-Dawwa. La dichiarazione di quest’ultima fabbrica è particolarmente significativa, e andrebbe studiata con attenzione. Si conclude così: “ Dobbiamo creare un largo fronte per rinforzare la nostra lotta contro i sindacati del governo. Dobbiamo rovesciare questi sindacati adesso, non domani”.(3)

Le lotte sono riprese in settembre, ma le vittorie si sono rivelate provvisorie e gli aumenti strappati sono arrivati con contagocce. Gli operai più attivi sono stati vittime di angherie (mobbing) e alcuni sono stati licenziati. Questo non ha impedito la ripresa delle lotte odierne.

Gli operai di Mahallah sono giunti alle lotte dell’aprile 2008 con una grande esperienza alle spalle. Hanno occupato più volte gli stabilimenti, eletto i propri rappresentanti cacciando i dirigenti dei sindacati ufficiali, costituito una milizia operaia per difendere la fabbrica dalla polizia. I loro slogan non erano soltanto sindacali, ma anche politici, come: “Non accettiamo il dominio della Banca Mondiale. Non saremo più assoggettati al colonialismo. Fine della dittatura di Mubarak”.

Le lotte attuali hanno visto morti e feriti, e l’uso di metodi veramente criminali da parte del governo. Al Babeel ha pubblicato foto di un sedicenne – tra l’altro non implicato nello sciopero - gravemente ferito dalla polizia e ammanettato al letto d’ospedale. Questo è il regime “moderato” di Mubarak, amico di Prodi e di Montezemolo!

L’Egitto ha quasi 80 milioni di abitanti ed è il paese determinante di tutto il mondo arabo per quanto riguarda le lotte. Lo sviluppo economico è rapido (circa il 7% annuo, ma i salari sono l’85% di quelli pakistani e il 60% di quelli indiani. Gli scioperi e le manifestazioni sono passati dai 222 del 2006 ai 590 del 2007. Il pane calmierato costa 5 piastre, ma, nonostante le file interminabili, non è facilmente reperibile, anche perché molto viene rubato da una burocrazia corrotta e venduto al mercato nero. Quello non calmierato costa 10 volte di più, e il prezzo cresce ancora. Le sovvenzioni statali per i prodotti alimentari, già insufficienti quando il paese aveva 45 milioni di abitanti, sono rimaste invariate per un paese che, quanto a popolazione, sta per raggiungere la Germania.

La situazione è esplosiva. Il vecchio dittatore vorrebbe trasmettere il potere al figlio Gamal, ma non si tratta di un passaggio facile. E’ possibile che, di fronte a una situazione insostenibile, ci sia una rivolta interna all’esercito, anche perché l’Egitto è il paese delle rivoluzioni dall’alto. I passaggi di potere, in Egitto, nel 1919, nel 1952 e nel 1981, sono stati facilitati da rivolte popolari, ma si sono conclusi con operazioni dall’alto. I lavoratori possono approfittare delle divisioni interne alla classe dirigente, e della possibile caduta di Mubarak e figlio, per ottenere la libertà di sciopero, l’agibilità politica, la limitazione dei poteri polizieschi, aumenti salariali, ma non dovranno accontentarsi di questo. Dovranno spingere la lotta più lontano possibile, in attesa delle condizioni, internazionali più che locali, per liberarsi completamente dell’intera classe dirigente.

Occorre una riflessione su queste lotte. L’assenza di un partito di classe rende difficile l’estensione e la perfetta continuità delle lotte, ma nonostante ciò, non si può dire che manchi una direzione. Gli operai hanno nominato propri rappresentanti, che affrontano mille pericoli, sapendo benissimo che ogni giorno la polizia li può arrestare o far fuori con qualsiasi pretesto. Hanno dimostrato di saper respingere i ricatti e i tentativi del potere di comprarli, di avere doti innegabili, la costanza, il coraggio, la combattività, le capacità organizzative. Il partito di classe potrebbe nascere proprio da questa spinta.

I “leninisti della lettera” - ottimi compagni che studiano a memoria Lenin, ma non cercano di capirne il vero significato – direbbero che si tratta di lotte puramente tradunionistiche. Non è vero, sono anche lotte politiche, e questa direzione operaia è assai meno lontana dal partito di classe di quei dirigenti politici italiani, che urlano di voler difendere la bandiera rossa , la falce e il martello, ma votano la fiducia a Prodi.

Tutti i grandi partiti della classe operaia sono sorti in periodi di grandi contrasti sociali, di grandi scioperi o alla vigilia di rivoluzioni. Avevano caratteristiche assai diverse tra loro, la Lega dei comunisti era diversissima dalla Prima Internazionale, e questa dalla Terza. Le forme organizzative dei partiti che si sono succeduti nella storia erano ogni volta differenti, adatte alle esigenze di quel periodo. Non esiste un modello organizzativo valido per tutti i tempi e per tutti i paesi.

Lo sviluppo della lotta è condizione di vita e di morte per il partito di classe , anche se tra l’una e l’altro non c’è un rapporto meccanico. Se questa è forte, il partito può nascere e avanzare, se le lotte si spengono, e le classi dominanti riprendono forza, il partito può scomparire, cadere nel settarismo o nell’opportunismo. Se sopravvive mantenendo intatti i propri principi, non riesce ad avere un seguito tra i lavoratori.

Noi comunisti d’Italia non dobbiamo rattristarci per la scomparsa elettorale di partiti, nominalmente comunisti, in realtà vuoti simulacri, che hanno deluso e ingannato migliaia di militanti. Le cause che hanno scatenato le lotte in tanti paesi, innanzitutto la folle speculazione sugli alimentari, agiscono anche nella nostra penisola , e lavoratori d’Italia torneranno a far tremare i borghesi, come una volta.

14 maggio 2008

NOTE

1) Michele Giorgio, “ Rivolta operaia in Egitto, morti in piazza e voto nel caos. E l'Italia fa affari d'oro Repressi i cortei dei tessili. Gli islamisti boicottano le amministrative. E arriva Montezemolo: 300 industriali a caccia di accordi col regime”, il manifesto 08 Aprile 2008.

2) “Sulla preziosa esperienza degli operai in Egitto, 2006-2007”, da falce @ 2008-01-02.
Di fronte all’azione della polizia, gli operai cominciarono a battere sulle porte d’acciaio: “Svegliammo tutti nel quartiere e in città. Usammo i nostri cellulari per avvisare le nostre famiglie e i nostri compagni che erano rimasti fuori di affacciarsi alle finestre… poi chiamammo tutti i lavoratori che conoscevamo dicendo loro di venire di corsa alla fabbrica.”
«La polizia intanto aveva tagliato l’acqua e l’elettricità alla fabbrica. Gli agenti dello Stato alle stazioni a dicevano agli operai in arrivo con i treni da fuori città che la fabbrica era stata chiusa per un guasto elettrico ma l’inganno non ebbe successo. Più di 20.000 operai arrivarono – prosegue il testimone – Organizzammo una manifestazione di massa e falsi funerali ai nostri padroni. Le donne arrivarono con viveri e sigarette e si unirono alla manifestazione. I servizi di sicurezza erano paralizzati. I ragazzi delle scuole elementari e gli studenti delle superiori che si trovavano nella zona scesero in strada per unirsi agli scioperanti”.

3) La dichiarazione degli operai della fabbrica di Kafr el-Dawwar, riportata nell’articolo sopra citato, dice: “Noi operai tessili di Kafr el-Dawwar dichiariamo la nostra piena solidarietà con voi, per realizzare le vostre giuste rivendicazioni, che sono le stesse nostre. Noi denunciamo fortemente l’assalto delle forze di sicurezza che impedisce alla delegazione di operai di Mehalla di andare al quartier generale della Federazione Generale dei Sindacati al Cairo (...) Seguiamo con attenzione quello che vi succede e dichiariamo la nostra solidarietà con lo sciopero degli operai del reparto confezioni di ieri l’altro e con lo sciopero parziale alla fabbrica di soia. Vogliamo farvi sapere che noi operai di Kafr el Dawwar e voi di Mehalla marciamo sulla stessa strada e abbiamo lo stesso nemico. Dopo la fine del nostro sciopero la prima settimana di febbraio, il nostro comitato sindacale di fabbrica non ha fatto niente per rendere concrete le rivendicazioni all’origine dello sciopero. Esso ha ferito i nostri interessi (...) Noi, come voi, aspettiamo la fine di aprile per vedere se il ministro del lavoro accetterà o meno le nostre rivendicazioni, ma non abbiamo molta fiducia nel Ministro o del Comitato sindacale di Fabbrica. Non possiamo contare che su noi stessi per ottenere le nostre rivendicazioni. Per questo insistiamo sul fatto che siamo nella vostra stessa barca e viaggeremo insieme verso la stessa meta (...) Affermiamo che siamo pronti per un’azione di solidarietà se vi deciderete per un’azione nell’industria. Informeremo della vostra lotta gli operai della fabbrica di seta artificiale El Beida Dyes e Misr Chemicals per creare dei legami che permettano di allargare il fronte di solidarietà. Tutti gli operai sono fratelli durante la lotta. Dobbiamo creare un largo fronte per rinforzare la nostra lotta contro i sindacati del governo. Dobbiamo rovesciare questi sindacati adesso, non domani”).

Altri scritti utilizzati: “ L'Egitto ed i suoi operai non fanno notizia”, ComeDonChisciotte Apr 09, 2008. Enrico Galoppini,“Sciopero in Egitto” comeDonChisciotte Apr 10, 2008. Francesco Merli : “Egitto: la vittoria degli operai a Mahalla”, 11 ottobre 2007, in “Falce e Martello”
Jean Duval e Fred Weston, “Lotta di massa in Egitto” in “Falce e Martello” .
E un’importante raccolta di scritti di autori egiziani apparsa su “Arabnews Blog Archive”.

Michele Basso

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