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Interessi operai e false illusioni

Alcune considerazioni a margine dei congressi del PdCI e del PRC

(30 Luglio 2008)

Il mese di luglio ha visto i congressi dei due "partiti comunisti", PdCI, e PRC, in cui i dirigenti si sono dati battaglia senza esclusione di colpi, rinfacciandosi a vicenda le colpe della sconfitta elettorale che li ha esclusi dal parlamento.
I dirigenti di questi partiti che oggi si combattono – ognuno al proprio interno - senza tregua sono stati fino a ieri uniti, nel governo imperialista di Prodi, nel sostenere la politica guerrafondaia, le guerre imperialiste nascoste dietro le missioni "umanitarie", rendendosi responsabili del peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli operai e dei pensionati a tutto vantaggio dei borghesi e dei capitalisti.
A questi congressi hanno guardato con speranza alcuni compagni, ancora illusi che da essi potessero uscire indicazioni utili alla lotta della classe operaia: ma la natura borghese di questi partiti e dei loro dirigenti, nota da tempo ai proletari rivoluzionari, si è fatta strada anche fra settori consistenti di proletariato.
Nel dibattito e nella lotta in corso fra le varie frazioni non c’è uno scontro fra una linea rivoluzionaria e una borghese, ma solo una diversa via borghese che cerca di mediare fra interessi di classe contrapposti e una lotta di potere per accaparrarsi la leadership del partito. Tutto il dibattito ruota intorno alla ricostruzione di un partito socialimperialista e al ruolo che esso deve avere nei governi e nella società, preparandosi a svolgere anche sul piano parlamentare il ruolo di controllo politico e sociale. Nelle tesi dei congressi non viene messo in discussione il sistema capitalista, non ci si propone l’abolizione dello sfruttamento operaio e del profitto, non si persegue la distruzione di una società dove una minoranza di individui appartenenti ad una classe ben determinata (i borghesi) si alimenta e si arricchisce sempre più sulla pelle dei proletari e i poveri del mondo, continuando a riprodurre i borghesi come padroni e gli operai come schiavi salariati. Lo stato borghese viene dipinto da questi sedicenti “comunisti” come il rappresentante dell'interesse collettivo, quando in realtà, come dimostrano una volta di più i fatti degli ultimi anni, è il rappresentante della classe borghese, cioè la forma di organizzazione che i borghesi si danno per necessità, tanto verso l'esterno che verso l'interno, al fine di garantirsi reciprocamente le loro proprietà e i loro interessi.

Per i comunisti, il potere politico operaio non è la partecipazione ai governi borghesi di qualche ministro “comunista” , ma l’espropriazione della proprietà privata dei mezzi di produzione attraverso il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra, cioè la dittatura del proletariato, la più grande forma di democrazia proletaria.
I rivoluzionari non combattono per una equa distribuzione della ricchezza nella società capitalista perché sono consapevoli che l'iniqua distribuzione delle risorse e delle ricchezze è data dai rapporti di produzione capitalisti. Il comunismo non è un ideale idilliaco da raggiungere, ma il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti: il sistema del lavoro salariato e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Compito dei comunisti non è quello di governare la società, ma quello di rivoluzionare il mondo esistente a cominciare dai rapporti di produzione e delle relazioni fra esseri umani. Noi siamo per la rivoluzione comunista che sopprime il sistema del lavoro salariato, quindi concepiamo una società che regola la produzione permettendo ad ognuno di fare oggi una cosa domani un'altra e fa sì che ognuno possa decidere a piacere in quale ramo perfezionarsi, e per dirla con Marx e Engels "la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare bestiame, dopo il pranzo criticare così come mi viene voglia; senza essere né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico".
Nella società capitalista la logica del profitto ha invaso tutti i campi, trasformando tutti i rapporti materiali in rapporti di denaro, trasformando gli esseri umani e la natura in merci e gli stessi partiti pagati e foraggiati dal sistema ne fanno parte. A prescindere dai governi, l'acuirsi della crisi imporrà misure sempre più impopolari e la borghesia imperialista italiana (sia di centrodestra che di centrosinistra) è anch’essa sempre più preoccupata per la mancanza in parlamento di una rappresentanza "pseudo comunista" che possa controllare e mediare gli interessi e le rivendicazioni della classe operaia e proletaria, perchè la crisi porterà inevitabilmente ad una radicalizzazione delle forme di lotta.
Le varie ipotesi di “costituenti di sinistra” e di “costituenti dei comunisti” con cui i vecchi dirigenti di questi partiti compromessi con la borghesia cercano di riciclarsi vanno nel senso di darsi nuove forme organizzative per ingabbiare la protesta operaia e popolare. La lotta di classe si acuisce sempre più e aumento dello sfruttamento, morti sul lavoro e di lavoro, guerre sono la realtà che deve subire il proletariato disorganizzato e in balia dei suoi padroni.
E’ arrivato il momento in cui gli operai e il proletariato rivoluzionario riprendano in mano il loro destino dandosi una loro organizzazione di classe; socialismo o barbarie sono nuovamente le uniche alternative possibili.
Solo organizzandosi in un partito comunista indipendente, senza delegare ad altri la difesa del loro interessi storici e immediati, gli operai comunisti, che in questi anni si sono battuti nelle fabbriche, nei cantieri, nei luoghi di lavoro e nelle piazze possono difendersi e preparare le condizioni per la definitiva resa dei conti.

Articolo pubblicato sulla rivista “Nuova Unità” n.5 del luglio 2008

Michele Michelino

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