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Ahmadinejad e la cattiva coscienza d’Israele

(22 Aprile 2009)

l conflittuale clima dei primi due dei quattro giorni ginevrini della conferenza Onu sul razzismo mostrano come il deteriorato quadro mediorientale sia non solo la polveriera conosciuta ma minacci di ampliare le sue esplosioni. Per Israele, e quella parte dell’Occidente che ne sposa le tesi, l’imputato primo è il presidente Ahmadinejad che accusa lo Stato ebraico di attuare azioni razziste verso i suoi stessi cittadini di etnia araba (lo diceva anche un deputato del partito Balad presente all’assise) e verso i palestinesi scacciati dalle proprie terre e perseguitati anche nell’attuale Cisgiordania. Il presidente iraniano afferma pure che l’Olocausto – di cui si ricordano oggi i sei milioni di vittime – è un’esagerazione, adottando le tesi negazioniste del più becero revisionismo alla maniera di Nolte e Irwing. Ahmadinejad è un politico scaltro, fa il suo personale gioco, rivolto come molti politici a interessi propri prim’ancora che nazionali. Poiché il 12 giugno il grande Paese islamico deciderà il nome del futuro presidente, e lui non si sente sicuro di ripetere l’exploit del 2005, usa la scena estera a sostegno della difficile situazione interna.

La crisi economica inciderà sulle scelte delle decine di milioni di elettori iraniani, la campagna in corso è già dura e ha visto l’ex presidente riformista Khatami prima tentennare, poi annunciare la candidatura quindi ritirarla anche per le pressioni della milizia Basij sostenitrice di Ahmadinejad che avrà come avversario Hussein Mousavi, ex primo ministro dell’epoca post rivoluzionaria. Se le provocazioni negazioniste sulla Shoah dell’attuale capo di stato iraniano resteranno armamentario solo del suo programma lo vedremo, ma anche Mousavi nella tornata elettorale non rinuncerà a sostenere il progetto nucleare del proprio Paese. Ne va del prestigio e dell’influenza regionale, e la comunità internazionale, che monitora da anni coi suoi esperti i passi di tale programma, dovrà valutarne entità e portata per fini non bellici. Ne va dell’equità di trattamento perché quel che vale per Francia o Italia deve valere altrove e quando Ahamadinejad sostiene che la "la giustizia deve essere uguale: se l'energia nucleare è utilizzata bene che sia a disposizione di tutti, quando è cattiva che sia proibita a tutti" è difficile dargli torto.

Ora dietro agli strappi e ai boicottaggi della cosiddetta “Durban 2” ci sono questioni di forma e concretezza. Per le prime chiamiamo in causa le puntualizzazioni dell’Alto commissario ai diritti dell’uomo Navy Pillay che in merito all’intervento di Ahmadinejad e alla conseguente bagarre di ieri ha dichiarato “La migliore espressione agli avvenimenti è appunto rispondere, correggere, non fuggire né boicottare la conferenza. Altrimenti chi darà una riposta razionale a ciò che è stato detto?” E ancora “Il discorso del presidente iraniano ha superato i limiti della conferenza ma alle Nazioni Unite ciascuno ha diritto di esprimersi, in particolare un capo di stato”. Le questioni concrete, ahinoi, vengono gestite dal furbo e fazioso leader iraniano che di recente ha ricevuto il grande credito della coraggiosa ma necessaria apertura di Obama ai rapporti fra i due Paesi. Mano tesa che non si richiude per gli avvenimenti di ieri, gli Stati Uniti infatti sono rimasti a guardare lanciando col portavoce Wood un’affermazione di principio "Se l'Iran vuole relazioni diverse con la comunità internazionale deve abbandonare questa terribile retorica, inutile, controproducente che serve solo a nutrire l'odio razziale".

Ahmadinejad, occorre dirlo, è fra i pochissimi capi di stato che mette a nudo una cruda verità rimossa per decenni e nascosta al mondo e agli stessi nuovi acquisiti cittadini d’Israele. Quella neonata nazione tolse terra e vita a migliaia di secolari abitanti della Palestina, ne espulse centinaia di migliaia, nacque col raggiro operato dall’Agenzia ebraica che acquistava terre e con l’enorme complicità del governo britannico che amministrava uno dei tanti angoli del suo cannibalesco impero. Dichiarare che a risarcimento degli orrori della Shoah la comunità internazionale agevolò la nascita dello Stato d’Israele, sostenendo pregressi disegni di matrice sionista, non è un’invenzione, non nega né rimuove lo sterminio di sei milioni di vittime innocenti. Eppure la politica mondiale e sue presunte potenze come l’Unione Europea per decenni non sono intervenute nel merito. Oltre alle stragi del ’48, al piano Dalet e alla sua pulizia etnica, hanno avallato le molteplici guerre e occupazioni israeliane anche di Stati sovrani come Egitto, Siria, Libano e ora lasciano che a parlare della questione palestinese sia il minuto leader di Teheran che lancia bestemmie negazioniste.

Così tutto si mescola, cause giuste e infami calunnie e tale clima rende impossibile confronti e dialoghi a vantaggio di chi esalta la sopraffazione. Tutto ciò fa avanzare senza ostacoli – e ne è responsabile più della provocazione di Ahmadinejad l’ignavia o la complicità dell’Occidente – il preconcetto che ogni mossa di Israele non è contestabile pena l’accusa di antisemitismo. Su queste basi da anni la politica, l’informazione, la cultura soprattutto statunitense ed europea avvalorano il piano d’accusa contro ogni critica allo Stato ebraico. Coprono il “vittimismo” dalla faccia criminale dei troppi coloni col mitra a tracollo che s’aggirano nei Territori Occupati, protetti dai ragazzi con la divisa di Tsahal, un “vittimismo” aggressivo che deforma la realtà e crea l’ossessivo senso di minaccia in cui Israele vuole vivere. I teorici della guerra permanente, i generali passati alla politica (Dayan, Rabin, Sharon, Barak) avrebbero detto e dicono che esistono le minacce di Ahmadinejad di voler cancellare il proprio Stato dalla carta geografica. Però da sessant’anni la loro storia racconta altro.

Dall’occultamento di stragi ed epurazioni di palestinesi di cui i successivi abitanti d’Israele non hanno mai sentito parlare, all’attuale quotidiana violazione d’ogni diritto che ciascun palestinese subisce da chi gli sventola sotto il muso la stella di David. Si tratta del razzismo che purtroppo Israele semina senza volerlo ammettere né curare. Lo cela con le buone intenzioni dei suoi intellettuali, le false promesse di politici doppiogiochisti, la viltà degli amici delle lobbies, le urla dei suoi studenti che ieri s’agitavano a Ginevra. C’è una parte del mondo che questo lo ricorda, come ricorda la Shoah, e chiede a Israele di cambiare anima. Una parte che non tifa certo per Ahmadinejad.

22 aprile 2009

Enrico Campofreda

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