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Somalia: governo fantoccio in fuga

(3 Settembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.operaicontro.it

REPUBBLICA "E' la fine del governo di transizione nazionale. Mogadiscio, ormai, è perduta. Entro pochi giorni anche Villa Somalia, la sede del presidente, l'ultimo baluardo di un potere laico e democratico, cadrà nelle mani degli al Shabab". Seduto al tavolino di un bar nel centro di Roma, davanti ad un cappuccino che diventa sempre più freddo, uno dei più influenti parlamentari somali ci racconta l'agonia di un paese e il fallimento di un progetto che la comunità internazionale ha creato, finanziato e sostenuto.

Da due settimane i miliziani islamici hanno sferrato il loro ultimo attacco. Hanno eroso altro terreno e oggi si trovano a meno di cento metri dal palazzo presidenziale. Dal tetto del ministero degli Interni, occupato e evacuato, continuano a lanciare razzi e colpi di mortaio che investono i giardini della residenza. Lo stesso presidente Sheik Sharif Sheik Ahmed ha abbandonato il palazzo e si è rifugiato tra gli uomini della sua tribù, a nord della città: gli unici di cui si fida e che sono in grado di proteggerlo. I soli rimasti sul campo sono i peacekeeper dell'Amisom, i caschi blu dell'Unione africana, 6500 soldati burundesi e ugandesi. Ma anche questi presto lasceranno il campo. Troppe perdite. Non ha più molto senso difendere qualcosa che è indifendibile. Che non esiste più.

"Sono venuti a mancare", sostiene l'onorevole Sharif Mohamed Said, "gli aiuti economici e politici. I somali hanno grosse responsabilità. Ma la comunità internazionale ha commesso i suoi errori e oggi è soprattutto la popolazione civile a pagarne le conseguenze. Pensare di costruire un nuovo paese, un nuovo governo, una nuova economia con la partecipazione solo di alcuni clan è stata una scelta miope e sbagliata. La battaglia che si consuma in Somalia non è religiosa. Lo è in apparenza - continua l'alto esponente del Parlamento - Nella realtà si spara e si uccide per il controllo del grande flusso di aiuti. Ogni anno arrivano nel paese qualcosa come 820 milioni di dollari. Senza considerare i finanziamenti più o meno occulti, i flussi di denaro dal Sudan, dallo Yemen, dal Qatar e dagli Emirati arabi. Chi gestisce questo immenso tesoro ha in mano il paese. E in questo momento la fetta più grande la gestiscono i miliziani al Shabab. Il parlamento non esiste, i deputati vivono stabilmente a Nairobi. Stessa cosa per i ministri. E' comprensibile: restare a Mogadiscio significa rischiare di morire da un momento all'altro. Abbiamo visto cosa è accaduto una settimana fa: è stato assaltato l'unico albergo considerato sicuro.
Sono morti otto deputati, altri dieci sono dovuti fuggire lanciandosi dalle finestre.
Ci eravamo illusi che fosse possibile creare un nuovo governo e nuove istituzioni. La road map stabilita negli accordi di Gibuti nel gennaio scorso è saltata. Gli Usa, principali sostenitori del progetto, sanno bene che il progetto è fallito. Come lo sa l'Unione africana e le stesse Nazioni Unite. Ma tutti fanno finta di niente".

"Forse", afferma ancora il parlamentare somalo, "c'è una strategia che non conosciamo, forse gli obiettivi sono altri. Io vedo ciò che accade tutti i giorni sul terreno: il paese è quasi interamente nella mani degli al Shabab e la gente, alla fine, si è rassegnata e ha accettato questa situazione. Molti somali che ho incontrato nei giorni scorsi mi dicono che con i radicali islamici si sta meglio: garantiscono la sicurezza e la distribuzione delle risorse. Siamo tornati al punto di partenza, quando la Somalia è stata invasa e governata per un anno dalle Corti islamiche. Il governo di transizione di cui faccio parte non è stato in grado di assicurare un bel niente. L'errore è stato aver escluso dal progetto alcuni clan. La comunità internazionale ancora non ha capito l'essenza del conflitto in Somalia. La nostra è una società clanista, basa la sua esistenza sull'equilibrio tra le diverse tribù. Puntare su alcune a dispetto di altre produrrà sempre dei contrasti e degli attriti".

Sharif Said è convinto che bisogna azzerare tutto e rielaborare un nuovo progetto.
"Sono certo che quando gli al Shabab avranno il controllo di tutto il paese si smetterà di sgozzare e tagliare mani e piedi. La sharia è stata approvata dal parlamento, fa parte dell'attuale legge somala. Chi indossa una casacca religiosa lo fa solo per recuperare consensi. In realtà punta al controllo politico che gli permette di avere il controllo economico. Tutti gli aiuti giunti in Somalia oggi spariscono nel nulla. Il governo italiano, recentemente, aveva spedito a Mogadiscio due cargo pieni di medicinali. Non sono mai arrivati a destinazione, ho visto quei farmaci in vendita al mercato di Bakara. La gente muore negli attentati e nelle sparatorie. Ed è fortunata. Se viene ferita rischia di restare abbandonata in ospedale fino a quando non crepa, dopo lunga agonia. Se ti vuoi salvare devi passare dalla parte dei vincitori. Ricevi una paga, dei vestiti, cibo e anche i tuoi parenti sono assistiti".

La fine del progetto governativo accende nuove rivalità nelle già deboli istituzioni somale. Il presidente torna ad attaccare il primo ministro il quale accusa il presidente del Parlamento. Sempre secondo logiche di clan. Gli Usa per il momento restano a guardare. Continuano a gettare soldi nelle casse del paese incuranti del caos che regna nel paese. "Forse", suggerisce l'onorevole Said, "perché hanno interesse a che resti ingovernabile. Il loro vero obiettivo è sempre economico. Nel caso della Somalia vogliono sbarrare il passo all'avanzata cinese e alla loro influenza commerciale e industriale in Africa. Hanno investito per anni sui siti petroliferi dell'area, non sono disposti a mollare tutto proprio ora". Ma c'è qualcuno che disegna scenari diversi: quando gli al Shabab prenderanno il potere saranno liberi di intervenire con blitz e incursioni. Molti parlamentari somali sono già al lavoro. Hanno preso contatti con tutti gli esponenti del clan che contano nel paese. "L'unica strada da percorrere", sostiene Sharif Said, "è formare un piccolo, ma rappresentativo comitato di saggi. Per restituire un futuro possibile alla Somalia. A una condizione: nessuno dovrà essere escluso. I rappresentati degli al Shabab sono disponibili. Chiedono solo di essere nuovamente ammessi nella comunità internazionale. Come sempre dipenderà dagli Usa: dovranno depennarli dalla lista nera dei terroristi".

www.operaicontro.it

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