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Addio compagne

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(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
Il logo della campagna di tesseramento del prc 2010 è una scarpa col tacco a spillo

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(Memoria e progetto)

Napoli: sui nostri compiti organizzativi e sul ruolo del PRC nella nuova fase

Documento politico dei compagni del quartiere di Piscinola di Napoli

(17 Novembre 2003)

Risulta evidente che un ragionamento che abbia ad oggetto le questioni organizzative non debba essere inteso come un corpo separato rispetto all’analisi delle vicende più strettamente politiche (questione organizzativa è una questione politica). Tutte le riflessioni devono maturare quindi in un quadro che tenga conto soprattutto i processi complessivi di natura economica, sociale, storica che caratterizzano i nostri tempi. D’obbligo una precisazione sul metodo:ogni assunto scaturisce dalla pratica militante, unico strumento dal quale caviamo fuori elementi d’analisi, il cui valore può essere attestato esclusivamente dal successivo lavoro pratico. La nostra sperimentazione politica si concretizza quindi nel processo dialettico prassi-teoria-prassi. Inoltre, dopo la battaglia per estendere l’art 18 a tutti i lavoratori, appare evidente il prospettarsi di una nuova fase politica, così riteniamo di dover cimentare le nostre idee non solo su un piano strettamente organizzativo, ma anche più complessivamente politico, poiché diviene di nodale importanza che “l’elaborazione della linea”, sia un processo che avviene dal basso, nella misura in cui il patrimonio analitico e d’esperienza dei compagni/e che quotidianamente sono dislocati sulle frontiere della lotta all’ingiustizia sociale, deve essere un bagaglio vincolante per i gruppi dirigenti nell’ attuazione della linea di massa.

IL CAPITALE

E’ singolare notare che nell’ imminenza di una crisi bellica, siano i titoli legati alla new economy a crollare. Nei primi anni ’90 l’intero impianto ideologico neoliberale, attraverso i suoi intellettuali, sosteneva la tesi che il ciclo espansivo dell’economia, determinato dalle nuove tecnologie, avrebbe portato un benessere diffuso e un nuovo capitalismo dal volto umano. Oggi che questa grossa chimera si sgretola sotto il peso delle contraddizioni prodotte dal capitalismo, sono proprio quei titoli azionari collegati della new economy a capitombolare in basso, così fungendo da cartina tornasole che disvela la tendenza complessiva alla recessione delle economie occidentali. Il terremoto sociale che ne consegue, assume il volto di un drammatico immiserimento della popolazione, che si estende su vasta scala e determina uno stato di stagnazione di mercato, nella misura in cui il valore dei consumi cala vertiginosamente. Non essendo capaci di ristrutturarsi, grazie ad una nuova “rivoluzione tecnologica” le forze del capitale, al cospetto di un quadro complessivo caratterizzato dal collasso sociale e nell’ impossibilità di cavalcare l’onda di un nuovo ciclo economico, generano linee di fuga dalla crisi di sovrapproduzione assoluta che si traducono in pulsioni belliche e predatorie per la ricerca di nuovi mercati ed il saccheggio delle risorse nel sistema-mondo.

L’IMPERIALISMO

L’imperialismo come fase. Ricollegato al grado di sviluppo dei fattori della produzione e delle forze del capitale. Epilogo inevitabile della crisi economica provocata dall’accumulo delle contraddizioni. Il fallimento delle politiche neoliberiste è lo specchio in cui si riflettono i motivi delle guerre combattute per motivi economici. Si combatte in Afghanistan per il controllo delle “pipeline” e quindi del greggio che dalla Siberia , attraverso il Kazakistan deve giungere ad “approdi sicuri” per poter essere poi smistato verso l’ occidente. In Iraq è ancora l’oro nero a suscitare gli appetiti imperialisti, non è un caso che la guerra, da un punto di vista strettamente strategico, è stata condotta in maniera tale da arrivare ad un preliminare, necessario controllo dei giacimenti petroliferi. In altri casi vengono mantenute aree di crisi permanente per il controllo geopolitica di zone ad interesse strategico. In Kurdistan i Curdi si insediano nelle zone dove si concentra il 75% della produzione petrolifera che grazie poi agli oleodotti viene smistato verso il mediterraneo. Nel Kurdistan turco, il lago di Van, grazie ad un sistema di dighe permette la creazione di energia elettrica ed altre dighe sono in progettazione per poter condizionare a valle, nei paesi a sud della Turchia la ricezione della risorsa-acqua. Come se non bastasse, nelle aree di Siirt, Raman, Garzan, Diyarbakir vi sono numerosissimi centri per l’estrazione di minerali quali il ferro, l’argento e l’uranio. Ecco il motivo per cui da anni si tenta di sterminare materialmente e spiritualmente un popolo, anche attraverso la cancellazione della sua identità (il neoliberismo divora identità collettive di interi popoli ed identità soggettive di uomini e donne massacrati per interessi economici). In Palestina le spinte predatorie prendono il nome di “sionismo”. Un intero popolo sotto assedio per poter arrivare un giorno ad una pace che sia il trionfo dell’ingiustizia e la negazione dei diritti per uomini, donne e bambini che vengono quotidianamente trattati con un atteggiamento genocida. Ma l’Intifada è coscienza, identità e spirito del popolo palestinese. E’ insubordinazione alla scientificità con cui si pianifica il massacro di massa, è pratica viva nel corpo sociale palestinese. Ma anche qui, l’intento delle forze del capitale è lo stesso: mantenere un ‘area destabilizzata per poter avere una testa di ponte in medio oriente. Interi continenti legati dalla catena dell’ingiustizia, ed ad esempio in Venezuela sono sempre i pozzi petroliferi a far gola agli yankee. Qui la grossa battaglia per l’energia viene condotta con il tentativo di imbastire un golpe che, facendo leva sul populismo detroni un governo democraticamente eletto. Ma in questo contesto la battaglia per un mondo giusto non può non essere riallacciata alla battaglia per migliorare le condizioni dei lavoratori nell’ industria petrolifera, per ridurne l’orario ed adeguarne i salari all’inflazione. In Colombia gli yankee hanno finanziato un “plan per la svendita delle risorse del paese” celando i loro loschi interessi dietro la cortina di fumo della lotta al narcotraffico. Mentre in Perù assistiamo allo configurarsi di un movimento di notevolissima portata contro le privatizzazioni varate da governo. Queste ed altre innumerevoli frontiere di lotta all’ingiustizia sociale, in cui l’imperialismo chiede il suo tributo di sangue necessario al mantenimento dello stato di sfruttamento dell’uomo sull’ altro uomo.

LA MACCHINA DEI CONSENSI

Ogni guerra é sostenuta da una macchina dei consensi che sgretola cervelli e riconduce i pensieri a conformità rispetto ai dettami del pensiero unico dominate. Nel linguaggio mediatico le parole vengono svuotate di senso e riproposte agli uomini ed alle donne deprivate del loro contenuto, tese a rendere giustificabile l’ingiustificabile. Ed allora le guerre divengono umanitarie. La libertà diviene duratura, ma a prezzo di uomini, donne e bambini assassinati. Taluni sostengono che vi sia uno scontro di civiltà o che vi sia un’ idea etica della stessa civiltà da esportare a suon di armi, ma come ben sappiamo, le idee non fanno la storia. La storia la fanno gli uomini e le donne inseriti nei processi materiali e quindi, la loro tesi di “scontro delle civiltà” è solo una cortina di fumo dietro cui nascondono i voraci appetiti imperialisti. Il sig. Bush sostiene invece l’idea di una legittima difesa preventiva, concetto in base al quale se v’è un semplice dubbio che una nazione stia fabbricando armi altamente pericolose ( quale arma non lo è? ), gli abitanti di quella nazione potranno essere bombardati. A volte però può capitare che a giochi fatti, le famigerate armi, non vengano mai trovate. Opporsi alla macchina dei consensi significa rilanciare una nuova concezione di internazionalismo che sia capace di mettere in rilievo il filo sottile che lega tutti gli sfruttati del pianeta. E’ necessario diffondere l’idea che siamo tutti parte di un processo complessivo di emancipazione e di lotta all’ ingiustizia sociale.

LA FORTEZZA EUROPA

Sussunzione: il capitale codifica il reale che è inglobato e totalmente regolato dalle sue leggi. L’ economia si globalizza, il che vuol dire che gli investimenti assumono una dimensione planetaria, nel senso che essi vengono dirottati in quelle aree del sistema mondo, dove per condizioni politiche, si determinano migliori condizioni di sfruttamento dei lavoratori (ex. Fiat in Argentina). Ma la globalizzazione e’ anche un “gioco del rovescio”e dalle periferie del pianeta, flussi di risorse umane si dirigono verso il cuore dei centri della produzione capitalista. Diviene un’esigenza tattica per le forze del capitale, controllare questi flussi in maniera tale che si traducano in quantità compatibili con le esigenze di profitto. Impedendo che si tramutino in soggettività organizzate per la trasformazione, i migranti in eccesso rispetto alle esigenze della produzione, sono esclusi dalla fortezza Europa che si configura come territorio in cui le merci possono liberamente circolare, gli uomini e le donne no! Ma L’Europa lungi dal configurasi come blocco economico è in realtà frammentata da una polarizzazione di capitali.

In Italia ad esempio subiamo il tentativo di penetrazione dell’ economia yankee, non è un caso che la General Motors tenti di acquisire il controllo della Fiat, lasciando fare per ora al padronato italiano il massacro sociale dei licenziamenti. Se manteniamo fermo l’esempio dell’ auto, appare evidente come in Francia (Renault), ed in Germania (Wolkswagen), siano stati attuati dei meccanismi difensivi rispetto all’ aggressione dei capitali yankee consistenti nella detenzione da parte dello stato di quote di partecipazione di maggioranza relativa nel pacchetto azionario. A partire da questo esempio e possibile dedurre l’esistenza di un asse franco-tedesco in guerra economica contro i capitali usa. Questo il quadro all’interno del quale si consumano i destini dei lavoratori al di la di ogni visione buonista di una Europa unita e solidale.

LO STATO NAZIONE

In un contesto del genere notiamo il rimodularsi dell’istituzione statuale. La struttura economica (forze del capitale) modella la sovrastruttura (stato), in funzione del livello di aggressione da attuare alle forze del lavoro. In base a questo assunto assistiamo ad un processo per il quale il potere esecutivo (governo) è in conflitto con quello giudiziario, in un ottica di assolutizzazione di tutti i poteri statuali in capo ad un organo esecutivo che ha il compito di fare piazza pulita di ciò che rimane dello stato sociale. Del resto, il trasferimento del potere giudiziario nell’ alveo di quello esecutivo è stato un fattore storico che ha connotato da sempre tutti i regimi di destra. Tutto ciò si inserisce poi in un processo recessivo su tendenza decennale (avviatosi all’indomani del ciclo espansivo delle economia durato per tutti gli anni ’60), finalizzato alla gestione della crisi attraverso lo smantellamento progressivo dei diritti dei lavoratori (ristrutturazione di crisi). Durante questo periodo, avviatosi con la “svolta dell’Eur”, il sindacato ha assunto un ruolo corporativo ed è stato elemento drenante del conflitto che sarebbe potuto esplodere nel paese. Alla fine degli anni 90 i governi di centro-sinistra non hanno fatto altro che assumersi l’onere di trasformare in senso peggiorativo il mercato del lavoro (ex. Pacchetto Treu) e talvolta sono stati riferimento politico di settori della Confindustria. In essa era palese una componente facente riferimento ad Agnelli (Colannino) che i D.S. hanno sostenuto anche ad esempio attraverso incentivi come la rottamazione, ed una componente facente riferimento a D’Amato rappresentativo della piccola impresa .Oggi ravvisiamo un reale pericolo nel processo che porta la destra a divenire sociale radicando così un consenso diffuso nei territori anche attraverso una strategia populista. Tutto ciò in una fase in cui il l’articolazione nei luoghi della produzione e del conflitto messa in campo dal partito è scarsa, con grosse conseguenze sul piano dell’ efficacia della azione politica.

LA CRISI

Crisi etica, nella misura in cui l’unico valore che l’ideologia neoliberale sembra offrirci è il rampantismo, come dimostra la mitologia sociale imperniata sulla figura del “self made man” che per la carriera venderebbe anche l’anima. Crisi di civiltà, in un tessuto sociale retto dal codice spietato dell’uomo lupo per gli altri uomini, ma soprattutto crisi economica! In una fase connotata da una tendenza recessiva che produce laceranti linee di frattura nel tessuto sociale, l’industria italiana ci appare come sottodimensionata e scomposta in una molteplicità di unità di produzione frammentate. Anche se a detta degli strombazzatori del pensiero neoliberale, per rilanciare l’economia italiana basterebbe semplicemente una nuova visione strategica della commerciabilità del prodotto (Gross), appare evidente che il rincaro dei prezzi e la mancata indicizzazione dei redditi hanno inciso ancora più fortemente sulla frenata dei consumi. Per impedire il tracollo del saggio di profitto, sono stati disposti finanziamenti alle forze del capitale, deragliando risorse economiche dal Walfare State. Intanto aumenta anche il sostegno bancario e lo Stato in questa sua funzione di mediazione tra banche ed imprese si lega debitoriamente alle prime contraendo il debito pubblico, abdica all’esercizio del controllo sulle seconde, attraverso la disposizione di vincoli d’assunzione. Dal punto di vista soggettivo, potremmo dire che si apre sempre più la forbice tra debito pro-capite (quantità di debito pubblico a cui ciascun lavoratore deve far fronte), tendente all’aumento e reddito pro-capite, tendente alla diminuzione. In un contesto del genere, in cui la non occupazione è un dato strutturale, si apre un nuovo scenario tattico per la battaglia sul REDDITO GARANTITO. Il tentativo di deragliamento dei fondi ad esso destinati costituisce un atto gravissimo e sulla capacità di determinare un momento di frizione col centro sinistra su tale tema si misura il peso del nostro partito. La battaglia per il reddito garantito ricalibra l’assetto tattico del partito e conseguenzialmente ne ridefinisce l’organizzazione, così: chi è stato strumento di un servilismo regressivo rispetto agli interessi forti rappresentati da Bassolino è dentro o fuori la linea del partito? Come ripensare alla struttura organizzativa nella misura in cui cambia ineluttabilmente il quadro: dalla trattativa per rendere migliorativo lo strumento legislativo predisposto, alla vertenza per aprire un ipotesi reale di reddito garantito?

UN GOVERNO AMICO DELLE LOTTE?

E’ necessario che il pensiero critico retroagisca e tragga un bilancio rispetto alle avanzate ( con conseguenti punti di forza assestati) e ripiegamenti, da Genova in poi. A Genova il movimento ha aperto una importantissima trincea di resistenza contro il neoliberismo. Da un lato i “potenti”, asserragliati nei loro palazzi, dall’altro uomini e donne portatori di un dissenso critico rispetto ad una visione mercificata del mondo. Attorno a quest’ immagine simbolica il movimento ha vissuto una forte fase espansiva. Intanto si portavano a compimento contratti peggiorativi per innumerevoli categorie di lavoratori, e il culmine di questo processo d’arretramento è stato la sconfitta nel referendum sull’ art18. Il limite del partito è stato quello di sottovalutare la portata dello scenario tattico che si apriva. Bisognava investire il blocco sociale che si era manifestato a Genova ed a Firenze sulle grosse questioni riguardanti i diritti dei lavoratori (ART 18, RIDUZIONE GENERALIZZATA DELL’ ORARIO DI LAVORO, REDDITO GARANTITO). Attualmente la direzione nazionale ha assunto un atteggiamento compromissorio ed ha traghettato il partito nell’alveo delle forze uliviste non traendo alcun bilancio dal mancato sostegno ai referendum, ma ancor più gravemente, non avanzando alcuna pregiudiziale sul piano programmatico. Il ruolo antagonista del PRC si affievolisce in terreno di pura compatibilità con le forze del centro-sinistra.

TALUNI NOTEVOLI CAMBIAMENTI

La storia dell’ultimo decennio è una storia di notevoli trasformazioni il cui esito è un mercato del lavoro totalmente deformato in chiave peggiorativa dal punto di vista delle forze del lavoro. All’interno del processo produttivo l’identità’ del lavoratore è sottoposta a notevoli torsioni che la violentano fino a mandarla in frantumi per poi ricomporla in chiave funzionale alla strategia di mercato dell’azienda. Il capitale sussume voracemente il reale, ed il tempo esterno al processo produttivo per alcuni è un”tempo a somma 0” (ovvero inesistente). Se tutto il tempo è assorbito nel processo produttivo anche la dimensione spaziale conseguenzialmente si dissolve ed allora nei quartieri vengono negati spazi di socialità (perché a Piscinola il lotto 14-B non e’ stato mai aperto al territorio nell’interezza dei suoi impianti ? ). Le linee guida in materia di lavoro sono una dichiarazione di guerra contro l’umanità: JOB ON CALL, JOB SHARING…una terminologia anglosassone per dire che il tuo diritto alla sussistenza dignitosa sarà subordinato ad una chiamata discrezionale, ed il tuo diritto alla vita (grazie al reddito) sarà subordinato ad un termine coincidente col termine di efficacia del tuo contratto interinale. Anche qui notiamo il corto circuito politico organizzativo, da un lato siamo contro il lavoro interinale, dall’altro i nostri compagni alla provincia promuovono assieme ai D.S. i JOB CENTER (anche qui una terminologia anglosassone che nasconde una fregatura) che si collocano in un’ottica funzionale rispetto alle agenzie di lavoro interinale, poiché svolgono un lavoro di razionalizzazione nella gestione delle risorse umane. Con un solo colpo si tenta di cancellare la dignità di uomini e donne che hanno fatto della lotta l’unico strumento di emancipazione capace di determinare cambiamenti reali. Scelte dissennate che consegnano il movimento al populismo di destra ( si apre la pericolosa stagione politica in cui la destra diviene sociale ed occupa il vuoto lasciato dalla sinistra). Anche qui, un quesito: come restituire centralità alla pratica di una lotta dotata di efficacia reale, poiché non destinata ad esaurirsi nel campo angusto di una azione simbolica?

IL PARTITO E LE ISTITUZIONI

Le istituzioni sono un territorio pre-politico all’interno del quale deve sistematicamente consumarsi un rovesciamento di linea? Dalla privatizzazione dell’ARIN, dei TRASPORTI ( ANM), PROJECT FINANCING, fino a quella dell’ASIA, occorreva impiantare trincee di resistenza organizzate per difendersi dal massacro sociale. L’ASIA diviene SPA e questo non è solo un problema di nomen juris. Nella qualificazione giuridica, indipendentemente dai vincoli temporali, è consacrata la prospettiva di un progressivo innesto di azioni private ed in buona sostanza anche se ciò non avviene allo stato dell’arte, si predispone il terreno giuridico perché ciò avvenga. In un quadro del genere il rapporto conflitto-consenso diviene dicotomico e si determina un elemento di patologia che allontana il partito dalla classe e lo autocentra in una dimensione che non è funzionale alla tutela dei ceti di riferimento. Il corto circuito tra linea politica e scelte istituzionali è un dato che il gruppo dirigente deve assumere in tutta la sua drammaticità, in caso contrario il prezzo da pagare sarebbe l’imbastimento di un partito che a chiacchiere è massimalista, nei fatti, dedito al praticismo compromissorio, mentre d’altro canto, noialtri sosteniamo una prassi materialista volta ad adeguare i mezzi ai fini ed ad articolare la costruzione del partito attraverso gli obbiettivi di breve, medio e lungo periodo, rispetto ai quali i gruppi dirigenti non sono per alcun motivo svincolati. I rappresentanti del partito nelle istituzioni devono “agitarsi”, per portare nelle stesse le contraddizioni che si sviluppano sui territori, contrastando i processi generali che il neoiliberismo determina (privatizzazione Aeroporto, dismissioni del patrimonio pubblico…).

CONNESSIONI PERIFERICHE

Il mostro neoliberista, se da un lato crea all’interno della metropoli distanze ( ex. centro- periferia), talvolta unisce zone, accorpate in un unico piano di saccheggio, infatti se da un lato gli abitanti della periferia nord di Napoli sono avvolti da un velo di invisibilità che crea una zona d’ombra all’interno della quale è celata la loro condizione di risorse umane con funzione di riserva industriale per la sottoproduzione, dall’ altro, nella periferia ovest, si procede all’ annientamento del tessuto sociale con un piano di destrutturazione dello stesso, articolato in tre fasi:

Fase uno: laddove le multinazionali( come in ogni parte del pianeta) divorano territori e risorse..

Una cinquantina di multinazionali (BMW, ORACLE, SERONDO, GRUPPO PRADA, SONY…), sotto il cartello “America’s cup”, definiscono Bagnoli come bersaglio del loro piano di saccheggio e per realizzare un evento sportivo che sia una vetrina pubblicitaria, eleggono Napoli a “target” della loro speculazione.

Fase due: laddove i politicanti da strapazzo si consorziano e mettono mano al piano.

Nasce una societa’ consortile ( Napoli 2007) per firmare il contratto con gli svizzeri della Alinghi, ed intanto i politicanti da strapazzo sgomintano per piazzare nel c.d.a. della società stessa i loro uomini di paglia. Si stabilisce che la grandezza del porto sarà triplicata ed anche le pertinenze dello stesso invaderanno l’area che era destinata a costituire un parco ambientale, ponendo fine alla possibilità di una riqualificazione della zona stessa ed ad un suo uso con finalità turistiche (l’impatto della devastazione sarà irreversibile).

Fase tre: laddove si spiega che qualcuno ci guadagnerà, altri pagheranno le spese.

L’idea di aprire a Bagnoli una “zona economica speciale”, si traduce nei fatti in un flusso di finanziamenti che verrano indirizzati alle imprese per costruire opere infrastrutturali che avranno un valore contingente in relazione alla durata dell’evento sportivo, ma produrranno un danno permanete, in relazione all’ecosistema. Intanto aumenteranno i fitti con la conseguenza che saranno espulse non solo le 100 famiglie che abitano a ridosso del porto di Coroglio, ma tutti i ceti disagiati che da un lato, per anni hanno subito le conseguenze dell’amianto e delle polveri tossiche, dall’altro, non solo non possono aspirare ad una riqualificazione del territorio in cui vivono, ma vengono espulsi dallo stesso.

UN METODO ORGANIZZATIVO

Ripartire dai circoli intesi come territorio di meticciato sociale in cui si intrecciano i percorsi di resistenza di culture, sensibilità ed esperienze diverse. Rilanciare un mappatura del disagio sociale e da quel punto aprire vertenze che i dirigenti centrali dovranno riannodare in un processo complessivo di conflitto. La democrazia implica la più ampia discussione di base sulla linea, che poi si centralizza attraverso l’individuazione dei quadri maturati nelle vertenze. Intercettare il disagio sociale espresso dal territorio, tramutarlo in tendenza vertenziale organizzata, inserirla in un quadro complessivo di conflitto. Questi i compiti che la fase ci richiede!! Nei circoli bisogna opporsi ad ogni tendenza burocratica volta al lasciar campo libero a valori quali il rampantismo, l’arrivismo e il tentativo di scalata sociale attraverso una carriera istituzionale. I circoli come terreno di sovversione dei codici borghesi. Essi devono essere determinanti nei luoghi decisionali dove si prendono le scelte riguardanti i territori. Gli assessori non hanno una delega in bianco! Rivendichiamo inoltre, più trasparenza nelle modalità d’accesso agli organismi dirigenziali del partito a tutti i livelli, sia nelle segreterie politico-istituzionali che nei vari consigli d’amministrazione, in un’ottica di valorizzazione delle competenze funzionali non alla carriera personale, ma alla crescita collettiva (una misura interessante sarebbe la previsione della possibilità di revoca degli assessori da parte del c.p.f.). Il nostro ruolo in questi ambiti deve essere di rigoroso controllo, connotandosi attraverso una pratica conforme alla linea di massa. Altro problema spinoso è quello della formazione dei quadri. E’ necessario che vi sia un percorso formativo, ritmato su tempi d maturazione politica e militante, prima di accedere a qualsivoglia organismo dirigenziale o di rappresentanza istituzionale.

INSANABILI DIVERGENZE TRA NOIALTRI E LA TRACCIA DI LAVORO PER LA CONFERENZA ORGANIZZATIVA SCATURITA DALLE MENTI DELLA SEGRETERIA PROVINCIALE

A prescindere dal fatto che siamo contrari all’idea di alleggerire il partito attraverso l’accorpamento dei circoli, anzi per noialtri, i circoli poiché anima del partito vanno implementati, in quanto a stretto contatto con i luoghi del disagio. Essi attraverso l’articolazione nel quartiere recepiscono ogni pulsione vertenziale espressa dal territorio. I questo sono il termometro del quartiere. Un’ idea per dare slancio ad un lavoro di articolazione nelle unità produttive sarebbe anzi quella di aprire delle cellule in ogni fabbrica o azienda. L’essenzialità dei circoli territoriali sta nella necessità di creare ”zone di sovversione della coscienza”. Strappare le coscienze al pensiero unico dominante e convertirle il coscienza di classe. Il rovesciamento della natura del nostro partito, ed il suo appiattimento su un terreno di tutela di interessi facenti riferimento a ceti sociali di cui non intendiamo come comunisti assumere la rappresentanza risulta evidente da alcune battute del documento di maggioranza. Esso dice a proposito della forma proprietaria delle aziende pubbliche:

“Non e’, però, qui il punto, perché l’assetto proprietario può anche cambiare. Per esempio, negli ultimi anni ed in vari paesi, si è accentuato il fenomeno delle privatizzazioni e del ridimensionamento della gestione statale. Ma la privatizzazione di una ferrovia, di una assicurazione, di un ospedale, di una università, non modifica in nulla la sostanza dei rapporti di produzione gia costituitasi per l’essenziale nella fase della statalizzazione. Con l’ingresso dei privati, se qualcosa cambia è solo nel senso di rendere ancora più rigida la compressione sul salariato al fine innalzarne ulteriormente la produttività. Ma non cambiano, non è necessario che cambino ne’ la composizione tecnica ne’ la composizione sociale del rapporto produttivo. Dunque la battaglia nostra contro le privatizzazioni ha senso esattamente non in sé ma perché permette più agevolmente di svolgere il filo politico dell’alternativa di società. Per dirla in una battuta non chiederemo solo per esempio, alle aziende consortili dei trasporti , un servizio più efficiente. Vogliamo soprattutto che l’efficienza, il servizio, la rete stessa dei trasporti sia discussa definita e verificata dai cittadini medesimi”.

GRAVISSIMO!!!! Questi, a quanto pare, sostengono l’inessenzialità dell’opposizione ai processi di privatizzazione, ignorando apparentemente il fatto che la disarticolazione del rapporto struttura statuale-tutela sociale( attraverso l’esercizio di funzioni utili per la collettività), e’ avvenuta ed avviene anche attraverso la cessione di settori strategici ai privati .Tutto ciò con l’ingete prezzo di una caduta in chiave peggiorativa della tutela contrattuale (i nuovi contratti sono nella maggior parte dei casi interinali) e dell’ espulsione di risorse umane dal ciclo produttivo anche attraverso i processi di esternalizzazione. Ricalibrare la lotta sulla “efficienza del servizio” o “sulla verifica partecipativa dei cittadini”, significa avere un approccio semplicistico in cui a valle, rivendichiamo, con una notevole dose di buonismo, la necessità che nelle municipalità si discutano processi che a monte hanno determinato negazione dei diritti per uomini e donne. L’elemento tattico lo si individua capovolgendo il problema: chiedere che le aziende privatizzate siano rese pubbliche!!! Con l’ingresso dei privati non si comprime solo il salariato rendendolo più produttivo (ed anche qui, la nostra battaglia deve avere come obbiettivo la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario), ma si decide di affidare alle “regole del mercato” dei servizi che dovevano essere gestiti dallo stato, unico soggetto capace di garantire la parità di trattamento tra tutti. Ma quale privato avrà interesse a decidere la riduzione del costo delle tariffe di viaggio ad es. per migranti, studenti o disoccupati? Rilanciare l’idea di un piani economici (ad es. per la riqualificazione delle periferie) in cui lo Stato assuma l’onere di un intervento diretto, avendo come grossa frontiera strategica l’autogestine dei lavoratori nel processo produttivo. Del resto, che senso ha rivendicare la nazionalizzazione della fiat in parlamento, se poi nelle giunte locali non ci opponiamo alle privatizzazioni?

ALLA PERIFERIA DELL’ORGANIZZAZIONE

L’accumulo delle contraddizioni prodotte dal capitalismo definiscono una distanza nella metropoli tra i territori ben apparecchiati ad uso e consumo dei turisti e le aree di esclusione e di disagio sociale. Le periferie destinate ad essere celate sotto il velo dell’oblio nascondono la scomoda verità di un tessuto economico irregolare. Ma quali sono le torsioni inumane che gli abitanti di questi territori subiscono? Per averne un idea basta immaginare un quartiere dall’edilizia funzionale all’annientamento della persona, riempirlo d’eroina, delegare le opportunità lavorative alla grande agenzia interinale chiamata camorra ed il quadro sarà chiaro. Ed in questo territorio di frontiera, quali le scelte della giunta di centrosinistra? quali gli spazi di socialità aperti? dove sono le scuole? ed i servizi sociali? alcuni sostenevano che la metropoli capitalista fosse fatta di specchi, poiché le immagini di tutti gli uomini e le donne si riflettevano reciprocamente. Nel non-luogo dell’ingiustizia i legami sociali vanno in frantumi e le relazioni umane sono regolate dal codice del sopruso. In questa zona grigia sono imprigionati i destini di uomini e donne. E’ chiaro che in tale contesto l’assetto organizzativo non può essere quello leggero del partito d’opinione, anzi, lo sforzo organizzativo dei compagni/gne deve essere proteso vero l’apertura di molteplici trincee di resistenza sociale che attraverso la lotta siano capaci partire dai bisogni per sviluppare percorsi di trasformazione del reale. Apriamo la discussione mettendo sul tavolo una piattaforma minima, rispetto alla quale moduleremo lungo il cammino il nostro assetto organizzativo.Nessuno sarà dirigente per grazia divina, in un partito comunista è la lotta che legittima i quadri e quello per noi l’unico elemento di selezione. Ma vediamo nel quartiere di Piscinola- Marianella quali sono state le attenzioni dei politicanti da strapazzo.

ecco un bilancio di guerra:

1) PERDITA DI SCUOLE DI ISTRUZIONE SUPERIORE E MANCATO INSEDIAMENTO DI STRUTTURE DIDATTICHE NEL LOTTO 14-B, PER LA CONCESSIONE DEGLI SPAZZI ALLA RAI.

2) MANCATO DECOLLO DEL POLO ARTIGIANALE CHE POTEVA SOTTRARRE FORZA LAVORO ALL’ECONOMIA IRREGOLARE.

3) MANCATA ATTUAZIONE DEI PROGETTI RELATIVI A 3 PARCHI(AGRICOLO, GIOCHI ED ARCHEOLOGICO)PER UN TOTALE DI 30.000mq. Dove sono finiti i 18 miliardi stanziati dal CIPE?

4)CONDIZIONI DI NOTEVOLE DEGRADO NELL’ EDILIZIA POPOLARE (BEN IL 75%DELL EDILIZIA PISCINOLESE), DOVE LA RICOSTRUZIONE DEL POST TERREMOTO HA PROVOCATO PIU’ SCONQUASSO DEL TERREMOTO STESSO.

Questa guerra no ha tregua ed ad essa noi opponiamo una piattaforma rivendicativa:

1) l’istruzione è un diritto ed in un territorio complesso come quello piscinolese devono essere riaperte le scuole

2) intervento diretto delle istituzioni che attraverso una pianificazione economica devono determinare opportunità lavorative sottraendo lavoratori/trici alla camorra.

3) apertura di luoghi di socialità (cinema, teatri, impianti sportivi), necessari a sconfiggere l’annientamento.

CAMMINARE DOMANDANDO

Da Praga e Nizza. Da Napoli a Genova, ovunque abbiamo assediato le zone rosse a difesa degli sfruttatori. E poi nei quartieri. Anche da quelle parti c’erano delle zone rosse a difesa dell’ ingiustizia sociale. Il capitale assoggetta alle sue leggi inumane la realtà e le coscienze si assopiscono. Non abbiamo mai avuto un’ idea semplicemente logistica di un circolo, esso è stato sempre inteso da noialtri come una sorta di “territorio liberato” all’interno del quale avvenisse quella trasmutazione ( che è il motore della storia) da “pulviscolo sociale” in soggettività politica autorganizzata per l’emancipazione, questo il senso più profondo della nostra presenza sui territori!!!

In un contesto in cui il tessuto sociale si sgancia sempre più da quello politico, in cui la classe, sotto il peso dell’ aggressione delle politiche neoliberiste si sgretola, é necessario avviare percorsi di ricomposizione a partire proprio da quelle “identità di resistenza” che il capitalismo inevitabilmente produce. Un circolo territoriale o di fabbrica, può essere il territorio tattico in cui investire il nostro agire collettivo avendo come prospettiva l’obbiettivo della tramutazione da “classe in sè ” a “ classe per sé ”. E’ chiaro che questo processo non si sviluppa nello spazio minimo di una singola esperienza territoriale, ma bisogna recuperare un livello di ragionamento, per cui sia la classe ( pur in tutta la sua attuale pluridimensionalità) l’ambito all’interno del quale sviluppare coscienza. Il partito rispetto a questo piano di ragionamento deve rimodulare il suo assetto organizzativo!!!

Del resto, appare evidente che si è aperta una nuova fase politica il cui esito potrebbe essere un posizionamento di Rifondazione Comunista tra le forze di governo. Riteniamo che rispetto a tutti questi temi, sia la “base” del Partito a dover pronunciarsi con parole e documenti che abbiano tutto il peso e lo spessore di chi si trova ad opporsi all’ingiustizia sociale proprio nei territori in cui si condensa maggiormente la sofferenza prodotta dal neoliberismo. A quanto pare però la linea ci è calata dall’ alto ed a noi non rimane che una semplice discussione organizzativa. Riteniamo che i compagni/e debbano riappropriarsi della discussione e recuperare i fili di un ragionamento per il quale il corpo del partito esprime la linea.

CON QUESTE RIFLESSIONI IN MENTE, ABBIAMO DECISO DI NON CELEBRARE UNA CONFERENZA ORGANIZZATIVA, MA DI SOSTITUIRLA CON UN CONGRESSO STRAORDINARIO DI CIRCOLO. INVITIAMO TUTTI I COMPAGNI, SU QUALUNQUE FRONTIERA DI OPPOSIZIONE AL NEOLIBERISMO ESSI SIANO ASSERRAGLIATI, A CONVOCARE CONGRESSI STRAORDINARI PER FARE IN MODO CHE LA COSTRUZIONE DELLA LINEA POLITICA SIA UN PROCESSO CHE AVVIENE DAL BASSO E NON E’ PROPINATO DALL’ALTO.

(documento approvato all’unanimità 14/11/03)

I compagni/e del Circolo “A. Gramsci” Piscinola Napoli

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