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Ancora manifestazioni popolari in Tunisia: “RCD fuorilegge, non ci faremo scippare la rivoluzione!”

(19 Gennaio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Ancora manifestazioni popolari in Tunisia: “RCD fuorilegge, non ci faremo scippare la rivoluzione!”

foto: www.radiocittaperta.it

19-01-2011/13:32 --- Non si placano in Tunisia le proteste popolari contro l’egemonia del partito di Ben Alì nelle nuove istituzioni nate dopo la rivolta popolare costata un centinaio di morti e altrettanti feriti. Dopo quella di ieri e dell’altro ieri, entrambe disperse in maniera violenta dagli apparati di sicurezza, anche oggi una nuova manifestazione contro la presenza nel nuovo governo della 'vecchia guardia' del partito Rcd del dittatore destituito Ben Ali si sta tenendo nel centro di Tunisi. Alcune migliaia di dimostranti vicini al Partito Comunista dei Lavoratori e ad alcune formazioni politiche dell’opposizione islamista stanno mostrando cartelli e urlando slogan come "Rcd fuori". Ieri quando i manifestanti si erano avvicinati troppo alla sede del ministero dell’Interno, gridando slogan come "Niente pistole, niente fucili", la polizia aveva disperso la manifestazione facendo uso di lacrimogeni. Una folla minore che nei giorni scorsi ma comunque determinata a non farsi scippare la ‘rivoluzione dei gelsomini’ continua a manifestare reclamando le dimissioni del governo in formazione, oltre che lo scioglimento del partito Rcd e il sequestro dei suoi conti e delle sue proprietà nel paese e all’estero. “Vogliamo un nuovo Parlamento, una nuova Costituzione, una nuova Repubblica! Il popolo insorga!" gridano i manifestanti non solo a Tunisi ma anche in altre città. Ieri, nel vano tentativo di placare l'opinione pubblica e le proteste popolari, avevano lasciato il partito della dittatura sia il primo ministro Mohamed Ghannouchi sia il presidente ad interim, Fouad Mebazaa, entrambi esponenti del regime ora riciclatisi nel nuovo ‘corso democratico’.
Ed intanto il nuovo governo provvisorio tunisino non ha nemmeno ancora tenuto la sua prima riunione, rinviata a domani (forse) per i crescenti problemi di formazione dell’esecutivo. Le manifestazione hanno ottenuto, almeno in parte, il loro obiettivo, intralciando il tentativo di autoriforma del regime e costringendo alcune forze dell’opposizione moderata a recedere dall’ingresso nel nuovo governo egemonizzato dal partito di Ben Alì.
Ieri ad essere ‘schiaffeggiati’ per primi dalla propria base sono stati i vertici del maggiore sindacato tunisino, quell'Ugtt che ha giocato un importante ruolo nelle proteste delle ultime settimane. Sotto la pressione delle manifestazioni anche dei propri iscritti svoltesi a Tunisi e in altre città, la direzione nazionale dell'Unione Generale dei Lavoratori Tunisini ha deciso di non riconoscere un governo di cui fanno parte otto ministri del vecchio partito di governo e ha fatto appello ai suoi tre rappresentanti a ''ritirarsi''.
Alle dimissioni dei tre esponenti dell’UGTT è seguita la sospensione del giuramento da parte del designato ministro della Sanità, espressione del Forum democratico del lavoro e delle libertà, e poi anche il movimento di sinistra ex comunista Ettajdid ha protestato contro la decisione di includere nel nuovo esecutivo rappresentanti della vecchia nomenclatura, tra questi Abdallah Kallel, ex ministro dell'interno accusato di aver personalmente ordinato torture contro gli oppositori politici. Minacciando anch’esso l’uscita dal governo, Ettajdid ha chiesto le dimissioni di tutti i ministri del Raggruppamento costituzionale democratico, il congelamento dei suoi beni e dei suoi conti bancari e la chiusura delle sue sedi. Intanto ieri, dopo venti anni di esilio in Francia, è tornato a Tunisi, accolto da una folla festante che lo ha portato in trionfo fuori dall’aeroporto, Moncef Markouzi, presidente del partito del Congresso per la repubblica che aveva già annunciato la sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali. Invece Rached Ghannouchi, leader del partito islamista Ennahda, messo al bando all'inizio degli anni '90 da Ben Ali, ha affermato che rientrerà da Parigi in Tunisia solo dopo una legge di amnistia che annulli la sua condanna all'ergastolo. Ennahda, così come gli altri partiti dell’opposizione radicale islamica e di sinistra, accusano il nuovo esecutivo di essere un governo di ''esclusione'' nazionale, dato che lascerebbe fuori alcuni ''pilastri della resistenza''.
Novità importanti sul fronte dell’informazione in un paese oppresso da 23 anni di censura e stretto controllo governativo sui media: ieri l'emittente 'Radio Kalima' ha ripreso le programmazioni direttamente da Tunisi, dopo anni di esilio in Algeria, dopo aver rotto i sigilli messi durante gli anni del regime di Ben Ali ai suoi studi. Quanto a 'Radio Mosaique', un’altra voce importante della rivolta, i giornalisti annunciano in un comunicato “di aver preso in mano la linea editoriale e la programmazione dell’emittente” per “salvaguardare l’indipendenza del lavoro giornalistico, la libertà d’espressione e d’informazione”.

Di seguito riportiamo un’intervista al leader comunista tunisino Hammami realizzata dall’agenzia TMNews:

Hamma Hammami, leader del Partito comunista operaio tunisino (Pcot), è stato liberato dal carcere quando Ben Ali era già in volo verso l'Arabia saudita. Il suo partito è ancora illegale, ma non chiederà la legalizzazione in base alla legge in vigore che dà molti poteri al ministro dell'interno. E' sposato con Radhia Nasraoui, avvocata che ha difeso tutti i detenuti politici tra i quali il marito. Sono due personaggi molto ricercati dalla stampa. Sulla porta di casa il buco provocato dal calcio del fucile delle forze dell'ordine che erano andate ad arrestarlo mentre incalzava la rivolta: Hammami è sicuramente molto vicino alla piazza che non accetta il nuovo governo. "Il popolo tunisino non voleva solo la partenza del dittatore ma anche la fine della dittatura", dice Hamma Hammami. Che cosa proponete per realizzarlo? "Noi proponiamo un governo provvisorio di transizione composto da persone credibili che non abbia nulla a che vedere con il vecchio regime e che abbia il potere reale per gestire gli affari quotidiani compresa l'amnistia e preparare libere elezioni. Anche la costituzione è frutto di questo potere dispotico, dev'essere cambiata, non da una commissione ma da un'assemblea costituente. Noi chiediamo una repubblica parlamentare e non presidenziale". Questo movimento è stato veramente spontaneo? "E' spontaneo perchè non è ancora strutturato e non ha un programma nazionale, ma ha una coscienza. All'interno di questo movimento ci sono giovani, sindacalisti e militanti contro la dittatura. Le parole d'ordine non sono nuove, sono quelle delle manifestazioni della sinistra di 2/3 anni fa (Libertà non prigione) o "Il lavoro è un diritto" lanciato due anni fa dall'Unione dei diplomati disoccupati. E' falso anche dire che non c'è organizzazione: Facebook è una forma di organizzazione". Però non si è visto emergere un leader o dei leader del movimento..."Vi sono leader in tutte le regioni, a Gafsa è Amar Amrousia, un militante comunista arrestato, a Sidi Bouzid ci sono dei sindacalisti". Ma voi vi aspettavate questa esplosione? "Ce lo aspettavamo dal 2008, perché con le manifestazioni di allora i tunisini hanno dimostrato di non avere più paura e da allora le manifestazioni non hanno avuto più solo rivendicazioni economiche ma politiche: libertà e dignità". Ci sono anche islamisti all'interno del movimento? "E' un movimento civile, non si sono mai sentiti slogan islamisti. Gli islamisti sono stati repressi e sono dispersi. Questo non vuol dire che gli islamisti non esistano, ma il carattere del movimento è civile". Moncef Marzouki, l'avvocato oppositore del regime, è rientrato proprio oggi da Parigi dove ha trascorso molti anni in esilio, ora si candida alla presidenza, che successo potrà avere? "Marzouki è un simbolo della democrazia ma il suo partito è piccolo e non ha una grande influenza. Marzouki è un intellettuale, ma qui ci sono molte persone, donne e uomini, in grado di dirigere questo paese, non ci serve un salvatore della patria". Alcuni partiti dell'opposizione, legale, hanno accettato di far parte del governo. "E' un errore politico, la partenza di Ben Ali non è la libertà, il governo resta nel quadro del regime ma il popolo vuole il cambiamento".

Marco Santopadre, Radio Città Aperta

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