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Il faraone non lascia la poltrona

Non me ne vado, questo il messaggio di Mubarak ieri al paese. Ma la gente non smette di protestare al Cairo, ad Alessandria, nella città di Suez e a Ismailiya. Oltre 90 il numero delle vittime.

(29 Gennaio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

Il faraone non lascia la poltrona

foto: www.nena-news.com

Cairo, 29 gennaio 2011 (foto Al Jazeera) - Gli egiziani si sono ripresi le strade del paese anche questa mattina, dopo le proteste andate avanti tutta la notte, nonostante il coprifuoco imposto dalle 18 di ieri alle 7 di questa mattina, esteso a tutto il paese per volere del farone-Mubarak. La folla continua a gridare “Vattene, vattene!”, in piazza Tahrir ma anche ad Alessandria e Suez, in altre città del paese.

Più di 1030 feriti solo a Il Cairo, oltre 50 vittime in tutto il paese, ma i dati non sono ancora ufficiali.

Ieri, ore di protesta macchiate dal sangue, dopo la repressione delle forze di sicurezza dispiegate dalle autorità, che hanno sparato sulla folla migliaia di gas lacrimogeni, proiettili sia veri che di gomma, mentre bruciavano i palazzi del potere, il quartier generale del NDP, i ministeri. Nel mirino delle forze di sicurezza e degli agenti in borghese dispiegati ovunque, non solo i manifestanti, ma giornalisti, fotografi, anche della stampa europea, minacciati, picchiati, arrestati.

Chiamato tutto a raccolta da Mubarak per schierarsi contro i manifestanti, anche l’esercito si è diviso: fino a ieri sera le strade del Cairo erano sotto la stretta sorveglianza di migliaia di agenti antisommossa, ma resta ancora un'incognita l'atteggiamento delle forze armate.

Ma tutto quello che Hosni Mbarak sa dire è sciogliere un governo, per riformarne un altro, promette, entro sabato. E che il cambiamento in Egitto può avvenire - secondo le sue parole- solo attraverso il dialogo, non il caos. Ma la gente lo sa da anni: che il parlamento non è indipendente, come non lo è il sistema giudiziario, tutto è concentrato nelle mani del presidente. Fino a quando non cadrà lui, non potrà esserci nessun reale cambiamento in Egitto. E nel primo discorso alla nazione dall’inizio delle proteste, ieri sera, pur difendendo il ruolo delle forze di sicurezza, ha cercato di colmare il vuoto invalicabile tra lui e il suo popolo affermando che “quello che accade oggi (che la gente possa protestare in strada) è il risultato della libertà e di anni di processi di democratizzazione". Ma non ha ancora compreso che dietro la rivoluzione, non ci sono i Fratelli Musulmani, nè l'opposizione moderata di ElBaradei, rientrato nel paese ieri e in piazza con i manifestanti, poi agli arresti domiciliari (anche se la notizia era stata smentita in serata). Dietro quella che da protesta è diventata rivoluzione, scriveva ieri l’analista politico Roger Wardy della BBC, ci sono folle di giovani e adulti, uomini e donne, attivisti e non.

Sabato mattina arriva la notizia ufficiale, la tv di stato ha annunciato che il gabinetto ha rassegnato le sue dimissioni. Ma Mubarak non molla.

Anche gli USA timidamente hanno fatto appello al faraone per limitare l’uso della forza, con la decisione ancora in sospeso di “rivedere” e sospendere gli 1,5 miliardi di dollari in assistenza che Washington aveva promesso all’Egitto. Obama non ha scaricato del tutto il presidente, ma lo ha esortato «a fare in modo che il suo governo facesse progressi nel campo delle riforme, quelle politiche e quelle economiche».

I carri armati restano dispiegati a protezione delle ambasciate USA e Britannica, come della televisione di stato.

Il blackout telematico imposto dal regime , bloccando ieri l’accesso a Internet, a Twitter e Facebook, a cellulari e sms e impedendo ai gestori di telefonia mobilie di fornire i loro servizi, come confermato alla stampa dal gruppo Vodafone, non ha fermato i manifestanti che hanno aggirato le restrizioni usando diversi proxie. Un black-out senza precedenti, dicono gli esperti, come non si era avuto né in Birmania nel 2007, né in Iran nel 2009. Nonostante le manovre del faraone che ha tentato di isolare l’Egitto nell’oceano del mondo telematico, le finestre sulla rivoluzione egiziana sono rimaste aperte. Una rivoluzione che intimorisce, se il premier israeliano Netanyahu ha imposto il silenzio stampa sulle vicende egiziane a tutto il parlamento. E se dall’altra parte del mondo, il governo cinese ha bloccato la parola “Egitto” dai servizi di navigazione in rete e nella TV di stato limita fortemente la copertura mediatica delle protetste per le strade del paese.

Alcuni network di telefonia hanno ripreso a funzionare, solo nella capitale, questa mattina, segnala Al Jazeera, ma Internet rimane oscurato e le linee telefoniche del paese ad accesso limitato. (Nena News)

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Nena News

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