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Bentornata età della pietra

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Il vento del cambiamento soffia anche in giordania?

Non è certo la bufera che ha travolto i regimi degli stati arabi, ma la brezza si e' alzata anche nel regno di re Abdallah, dove dal 7 gennaio ogni venerdì continuano a tenersi manifestazioni.

(26 Febbraio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

Il vento del cambiamento soffia anche in giordania?

foto: www.nena-news.com

DI MARTINA IANNIZZOTTO

Amman, 26 febbraio 2011, Nena News ( foto AFP) - Oltre 5.000 manifestanti hanno marciato nel centro di Amman venerdì, rispondendo alla chiamata del partito islamista, il Fronte Islamico Nazionale (versione politica giordana dei Fratelli Musulmani),il maggior partito d’opposizione, e di una coalizione Jaheen (“stiamo venendo”), formata dal movimento giovanile e da partiti di sinistra (il partito comunista giordano, il fronte sociale nazionale) e sindacati.

Dal 7 Gennaio ogni venerdì ad Amman si tengono manifestazioni, convocate inizialmente dai sindacati e dall'opposizione di sinistra per protestare contro il caro vita e l’aumento dei prezzi e per chiedere riforme economiche e politiche, manifestazioni a cui il Fronte Islamico Nazionale ha partecipato in maniera intermittente.

Lo scorso venerdì la folla dei dimostranti - circa 3000 - e' stata assalita da qualche centinaio di manifestanti leali al re, tra cui secondo molti, collaboratori e poliziotti in civile, causando contusi e feriti. La polizia presente, poco numerosa, non e' intervenuta. Per evitare il ripetersi di episodi simili, ieri e dal momento che ci si aspettava una partecipazione massiccia, sono stati dispiegati oltre 3000 agenti delle forze di polizia.

L’appuntamento del corteo era di fronte alla moschea Hussein nel centro di Amman dopo la preghiera del venerdì. In testa al corteo all’inizio erano presenti qualche dozzina di sostenitori del re, con immagini di Re Abdallah formato gigante, provocatori e prezzolati, ma la loro presenza e’ stata così inutile che si e’ dissolta alla partenza del corteo.

Separati da decine di poliziotti, la prima parte del corteo era composta dai ragazzi di Jaheen, molto simili, anche esteticamente, ai loro coetanei egiziani. Anche in Giordania la protesta dei giovani, corre sulla rete, attraverso i blog –come the black iris.com, facebook e twitter (#reformJO). Gli slogan di ieri erano contro “i provocatori del governo” e “game over”. Insieme a loro, esponenti di partiti e sindacati di sinistra, in media più attempati. In piazza, anche le bandiere con la falce ed il martello del partito comunista giordano, con striscioni che chiedevano il ritorno alla costituzione del 1952, la fine degli emendamenti della legge marziale ed elezioni veramente libere. Un esponente di un partito di sinistra, il fronte sociale nazionale, mi spiega che la costituzione del 1952 era molto progressista, stabiliva una repubblica in cui il potere di eleggere il governo spettava al parlamento, mentre ora e’ il re che nomina e revoca il governo.

Nel corteo anche numerosi esponenti del partito islamista, che hanno pregato in strada, in maggioranza uomini, decisamente più numerosi e rumorosi del primo spezzone.

“Capisco che questa piazza possa sembrare strana” dice Rima, giovane esponente del movimento Jaheen “con gli islamisti abbiamo ideologie diverse ma abbia dei punti in comune, chiediamo insieme cambiamento ed insieme lottiamo per i diritti dei palestinesi”.

Il corteo gridava slogan “per la costituzione del ’52”, “il popolo giordano non può essere sottostimato (downgraded)” e parafrasando l’ormai famoso slogan della rivoluzione egiziana “il popolo vuole cancellare il trattato di Wadi Araba (il trattato di pace tra Giordania ed Israele), il popolo vuole l’unita’ araba, il popolo vuole la liberazione della Palestina”, in solidarietà con Gaza e il popolo palestinese.

Ma lo slogan più importante – mi dice un signore distinto, che ha partecipato a manifestazioni della sinistra negli anni ‘50 e ‘60 – e’ quello che dice “moriremo per la nostra dignità’”. La dignità, Yarama in arabo, e’ quella che ha fatto sollevare i popoli tunisino ed egiziano.

Dallo spezzone dei Fratelli Musulmani, si sente gridare anche “Allah e’ grande”.

I due gruppi, quello dei partiti di opposizione e quello del partito islamico, hanno rivendicazioni politiche diverse – i Fratelli musulmani chiedono un cambiamento della legge elettorale, non della costituzione - ma li unisce la condanna del trattato di Wadi Araba, la condanna del governo ed la solidarietà con i manifestanti in Libia.

Il corteo scorre lungo tutto il centro di Amman, con file di poliziotti ai lati, ma non si avverte tensione. Nel comizio finale parlano un esponente del sindacato, un esponente del blocco di opposizione e un esponente del Fronte Islamico nazionale: l’appuntamento è ancora una volta per venerdì prossimo.

In Giordania, quasi nessun partito politico – ed in maggioranza neanche la popolazione, come mi hanno ribadito molte persone intervistate – chiede la fine della monarchia.

I riformatori chiedono una monarchia costituzionale, con un parlamento che abbia veri poteri, elezioni libere. “Chiedere riforme non vuol dire non essere leali” recitava un cartello di una manifestante, a conferma di quanto la monarchia Hashemita sia poco messa in discussione anche in questo movimento.

La Giordania e’ un paese cresciuto anche grazie all’instabilità e alle guerre che hanno colpito i paesi vicini. Oltre metà della popolazione ha origini palestinesi, discendenti dei profughi arrivati dopo il 1948, e dall’occupazione americana dell’Iraq nel 2003 sono arrivati in Giordania oltre un milione di profughi iracheni.

Generalmente si riconosce alla monarchia il merito di aver garantito stabilità e relativa crescita economica al paese, anche se questo e’ avvenuto attraverso la collaborazione militare con Israele. Solo tre giorni fa ad Amman si e’ sentita una terribile esplosione causata da aerei da guerra israeliani in esercitazione che rompevano la barriera del suono.

L’attuale Re Abdallah, figlio di Hussein, e’ percepito generalmente come una persona ragionevole, che negli ultimi anni ha fatto fare al paese dei passi avanti nel campo dei diritti civili. “Qualche anno fa non potevi nemmeno avvicinarti ad un poliziotto, ora puoi anche denunciarli” dice Ali, che pure, vive sulla propria pelle le discriminazioni del sistema giordano, poiché e’ uno delle migliaia di palestinesi nati in Giordania che ora sono senza nazionalità.

Alle proteste di queste mesi re Abdallah ha risposto dismettendo il precedente governo e nominando un nuovo governo. Questi cambiamenti di facciata non hanno però soddisfatto i tanti che sono scesi in piazza oggi. “Si devono cambiare le politiche, non le facce” c’era scritto su uno striscione.

I manifestanti si dividono tra quelli che sono convinti che questo movimento, attraverso forme pacifiche, riuscirà a raggiungere gli obiettivi richiesti, e quelli che invece, come Rima, pensano che se non si fa qualcos’altro, oltre a manifestare ogni venerdì, non ci sarà nessun vero cambiamento.

Nel frattempo, se anche non e’ stato abbattuto, il muro della paura si e’ sicuramente incrinato anche in Giordania.

Nena News

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