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Pizzarotti spa, diritti umani solo a parole

(6 Marzo 2011)

L’azienda italiana Pizzarotti spa insieme all’israeliana Shapir (S.P.R. Construction, Shapir-Pizzarotti Railways) sta avviando gli scavi della zona C della linea ferroviaria superveloce Tel Aviv-Gerusalemme. Si tratta di un’opera gigantesca anche come business, si vocifera che solo per quella tratta sono previsti due bilioni di shenkel, mentre tutti i lavori costeranno 1,67 miliardi di dollari. La vicenda ha sollevato negli ultimi mesi le accorate proteste delle comunità palestinesi di Beit Surik e Beit Iksa e dei sostenitori internazionali della loro causa per l’illegalità dell’infrastruttura che contravviene a quanto prevede la Quarta Convenzione di Ginevra sulle occupazioni militari di territori. Alcuni chilometri della ferrovia, dei ponti già realizzati, dei tunnel scavati e da scavare vanno ben oltre la Linea Verde e insistono in terra cisgiordana, creando un impianto per legge inammissibile nei luoghi occupati che sarà usato esclusivamente dai cittadini ebrei. L’enclave di Latrun, la valle dei Cedri, i suddetti villaggi ne risultano stravolti come la loro microeconomia agricola e si è già creato un ampio inquinamento per movimenti di macchinari e terra. Il progetto avviato quindici anni or sono dall’Amministrazione civile israeliana - frenato dalle proteste pacifiste ed ecologiste oltre che da difficoltà tecniche, giuridiche e politiche - è proseguito nonostante un pronunciamento contrario della Corte Suprema d’Israele sulla questione dello sconfinamento. Ma le modifiche a un primo tracciato a ridosso di colonie ebraiche ha prodotto dal 2005 l’attuale piano sostenuto dallo stesso Esercito di Tel Aviv. Una parte della tratta C in cui è impegnata Shapir&Pizzarotti Railways si sviluppa a ridosso della Linea Verde in una No man’s land dove Tsahal ha permesso comunque l’esecuzione dei lavori.

Certo solo un ultimo pezzo dei 30 km del tunnel sotterraneo (sarà il più lungo di Israele) della zona C entra nel territorio palestinese fra Beit Surik e Beit Iksa, ma questo non minimizza l’impegno dell’azienda italiana che ha sostituito nella partnership con Shapir l’austriaca Voestalpine ritiratasi nell’ottobre scorso. Le altre società straniere fornitrici delle conoscenze tecnologiche e della necessaria strumentazione per realizzare l’opera sono la Deutsche Bahn e la Moscow Metrostroy. Quest’ultima ha scavato il tunnel di 3,5 km della tratta B che ha lacerato le viscere dell’enclave di Latrun nella West Bank, un territorio dove l’occupazione civile della colonia ebraica di Mevo Horon s’affianca da tempo a quella militare dell’Idf. La beffa è che i 530.00 metri cubi di terra già estratti e i molti che s’estrarranno nella zona C grazie alle turbine fornite da Pizzarotti spa, potranno essere venduti e i ricavi andranno nelle casse dell’Amministrazion civile israeliana oppure serviranno per le edificazioni di nuove colonie come quella di Har Hadar che fronteggia e soffoca Beit Surik ben oltre la Linea Verde. Gli abitanti di questo villaggio, già privati dei campi dove coltivavano ulivi e prugne e degli spostamenti verso di esse, sono anche impediti nel continuare il pendolarismo verso Gerusalemme dove alcuni di loro lavorano. Per commentare quanto stiamo raccontando nel mese di novembre avevamo cercato un contatto con l’azienda parmense che si vanta del proprio stile ed è sicuramente leader nel settore. Dopo una promessa di risposte da parte di un membro del Cda è seguito il rifiuto a rilasciare qualsiasi dichiarazione.

Un successivo articolo ha ispirato una lettera dell’Ufficio stampa del gruppo in cui si chiosa che quel diniego “… non è frutto di reticenza a fornire dettagli, quanto la conferma che la Pizzarotti svolge nell’ambito del progetto un ruolo assolutamente secondario… che l’Impresa non svolge alcun ruolo decisionale in merito alla pianificazione e progettazione della linea ferroviaria”. E ancora ”La nostra Impresa è mandante in un gruppo temporaneo di imprese, contrattate per la sola esecuzione di un tratto, esclusivamente in galleria, pertanto con impatto ambientale pressoché nullo. Inoltre il nostro lotto con mandataria un’impresa locale non passa per il territorio palestinese”. Eppure un dettagliatissimo report di ‘The Coalition of women for peace’ afferma ben altro. Il documento comprensivo di foto, mappe, resoconti evidenzia che l’ultimo tratto della frazione C, in cui Pizzarotti è impegnata insieme al partner israeliano Shapir, si muoverà nelle viscere della West Bank presso il villaggio di Beit Iksa. E per realizzare quella tratta sono indispensabili proprio il know-out di maestranze e tecnici italiani e i macchinari di cui Pizzarotti (come le ditte tedesca e russa) dispone. Le Tbm, le talpe capaci di scavare fori da 1 a 16 metri di diametro senza recare grande disturbo al terreno. Israele non possiede queste costosissime macchine e s’affida ad aziende esperte e organizzate senza le quali la ferrovia veloce non si potrebbe realizzare. Se l’azienda del cavalier Pizzarotti ritirasse le sue trivelle potrebbe impedire che i 4.000 abitanti di Beit Surik finiscano come quelli di Beit Nuba a Latrun: dispersi e sfrattati dalla loro stessa terra. Sarebbe un vero passo per il rispetto dei diritti dell’uomo ai quali si richiama il Codice Etico aziendale “in conformità con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite”. Dice proprio così.

5 marzo 2011

Enrico Campofreda

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