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Raffica di processi contro gli omicidi sul lavoro. Con la speranza che la sentenza sulla Thyssen faccia scuola

(18 Aprile 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Raffica di processi contro gli omicidi sul lavoro. Con la speranza che la sentenza sulla Thyssen faccia scuola

foto: www.radiocittaperta.it

18-04-2011/14:48 --- Dopo la pesante sentenza di venerdì la direzione della multinazionale tedesca alza i toni: “E' una vergogna, questa voi la chiamate giustizia? E' questo che volevate? Era tutto stabilito a priori, tutto. Volevano condannarci fin dal primo giorno, potevamo anche non fare il processo, saltarlo del tutto tanto era uguale''. A parlare è Raffaele Salerno, il direttore dello stabilimento Thyssen di Torino, condannato per la morte di sette operai. A Repubblica Salerno si lamenta: ''Siamo stati sbattuti in prima pagina come dei mostri, sarete orgogliosi del risultato raggiunto''.
Orgogliosi, o meglio soddisfatti della sentenza, sono sicuramente i colleghi delle vittime della Thyssen, i loro familiari e amici, e tutti coloro che in questi anni si sono battuti, in diversi contesti, affinché i dirigenti delle aziende fossero responsabilizzati in caso di incidenti sul lavoro. Gli operai morti nel rogo alla Thyssenkrupp del 6 dicembre 2007, hanno finalmente avuto giustizia. L'amministratore delegato, Herald Espenhahn, è stato riconosciuto colpevole di omicidio volontario con dolo eventuale; altri cinque manager di cooperazione in omicidio colposo con pene che vanno dai 10 ai 13 anni, violando per la prima volta una scontata impunità di cui hanno sempre goduto nel nostro paese, finora, i manager aziendali. Vedremo ora se farà scuola questa sentenza che, almeno in primo grado, condanna i vertici in quanto consapevolmente responsabili delle morti causate dalla scarsa o nulla sicurezza nello stabilimento torinese. E la settimana che si è aperta oggi sembra importante nella lotta contro gli omicidi sul lavoro, almeno sul fronte giudiziario.

E’ iniziato proprio oggi a Cagliari il processo con rito abbreviato ai vertici della Saras, accusati di omicidio colposo per quanto avvenuto alla raffineria di Sarroch il 26 maggio 2009. Quel giorno, nello stabilimento a 20 km da Cagliari, persero la vita tre operai della ditta d'appalto CoMeSa srl: Bruno Muntoni, 58 anni, Daniele Melis e Pierluigi Solinas, entrambi 30enni, rimasti intossicati dalle esalazioni mentre effettuavano lavori di manutenzione e bonifica di un grande serbatoio durante una delle fermate programmate dell'impianto. Secondo l'accusa, per i lavori di bonifica nella cisterna dove avvenne l'infortunio mortale, non era stato elaborato il documento unico di valutazione dei rischi. Mancavano, inoltre, il coordinamento e la cooperazione tra i responsabili della gestione dell'impianto e quelli delle imprese appaltatrici mentre il piano organizzativo adottato dalla dirigenza del gruppo era riferibile solo ai cantieri temporanei e mobili, cioè i cantieri edili. Entrando nella cisterna, i tre operai erano convinti che fosse stata bonificata dall'azoto. Ma non era così.
Durante la prima udienza del processo, questa mattina - le prossime sono fissate per il 9 e il 23 maggio - il pubblico ministero Emanuele Secci ha chiesto la condanna di tutti e cinque gli imputati, accusati di omicidio colposo plurimo. Il magistrato ha parlato per 3 ore sollecitando 2 anni e 8 mesi rispettivamente per Dario Scafardi, direttore della raffineria, e Antioco Mario Gregu, direttore delle operazioni industriali. Due anni e 4 mesi, invece, la condanna chiesta per Guido Grosso, responsabile dello stabilimento; due anni e 2 mesi per Antonello Atzori, responsabile dell'area dove morirono gli operai; un anno per il legale rappresentante della Comesa, Francesco Ledda, la ditta di cui erano dipendenti le vittime. Chiamata in causa anche la Saras, con Gian Marco Moratti, in base alla nuova legge sulla responsabilità amministrativa delle aziende in presenza di incidenti: é la prima volta che accade in Sardegna. Il pubblico ministero, in questo caso, ha chiesto una multa di 800 mila euro. Pene relativamente miti, se confrontate con le condanne di Torino. E se si pensa che pochi giorni fa un altro operaio, di soli 23 anni, ha perso la vita sempre alla Saras in circostanze molto simili alla tragedia del 2009. A significare che nello stabilimento sardo dei Moratti nulla è stato fatto negli ultimi anni per aumentare gli standard di sicurezza.
Anche alla Truck Center di Molfetta, a causa delle esalazioni di una cisterna che stavano lavando, morirono 4 operai e il titolare dell’impresa. Domani ci sarà l'udienza preliminare: i reati contestati sono omicidio colposo aggravato plurimo e lesioni personali aggravate, per un consulente anche falsa testimonianza per le dichiarazioni rese al primo processo che si è concluso nell'ottobre 2009 con la condanna a 4 anni per tre dirigenti.
Invece al Tribunale di Caltagirone (in provincia di Catania) riprenderà mercoledì il processo per l'incidente nel depuratore comunale di Mineo dell'11 giugno 2008, in cui morirono 6 persone. Sette gli imputati accusati di omicidio colposo plurimo, traffico di rifiuti speciali e abuso d'ufficio.
E’ ancora nella fase delle indagini preliminari l'incidente in cui l'11 settembre 2010 morirono a Capua 3 operai che si erano calati all'interno di un silos diventato nel frattempo una camera a gas. Addirittura 31 gli iscritti nel registro degli indagati.
E a Spoleto sta arrivando alla fase conclusiva il processo per la morte di 4 operai in seguito a un'esplosione avvenuta il 25 novembre 2006 presso la Umbria Olii di Campello sul Clitunno.
C’è poi il caso legato all'azienda Eternit, 5 mila le parti civili costituite davanti al Tribunale di Torino. Due gli imputati: il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis de Cartier che, secondo l'accusa, dovranno rispondere di oltre 2 mila morti provocati dalla lavorazione dell'amianto in 4 stabilimenti italiani della multinazionale.
Un lungo elenco di processi, che si spera possano prendere una piega differente rispetto al passato in considerazione di una sentenza, quella di Torino che toglie ogni legittimità ad una dizione - quella di ‘morti bianche’, quindi morti senza colpevoli, dovute ad un tragico destino - che nasconde comportamenti miranti all’ottenimento del massimo profitto a scapito della sicurezza dei lavoratori e degli impianti.
Intanto, dopo la morte di Michele Zoccarato, rimasto schiacciato da un macchinario venerdì scorso, oggi i 220 lavoratori di Acqua Vera di San Giorgio in Bosco (in provincia di Padova) si fermano: non intendono far ripartire l’azienda fino a quando non sarà messa in sicurezza.

Grazia Orsati – Radio Città Aperta

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