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"Chi applaude un assassino è un assassino anche lui": le scuse di Confindustria non convincono.

(12 Maggio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

"Chi applaude un assassino è un assassino anche lui": le scuse di Confindustria non convincono.

foto: www.radiocittaperta.it

12-05-2011/18:21 --- «L'applauso all'amministratore delegato di Thyssen è stato sbagliato, inopportuno, e colgo l'occasione per chiedere scusa a nome di Confindustria ai familiari delle vittime e all'opinione pubblica che si è sentita colpita e offesa». Pensava di cavarsela con questa affermazione di circostanza, pronunciata ieri mattina durante una trasmissione di La 7, il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli. Ma le tardive e incomplete scuse pronunciate da Galli non sono bastate a placare gli animi. Anzi, forse hanno contribuito a rinfocolare una polemica al vetriolo innescata sabato scorso da una spontanea e convinta manifestazione degli spiriti animali del capitalismo ai quali la Confindustria italiana ci ha abituato in questi anni. Anche perché la dichiarazione di scuse di Galli è stata accompagnata – e quindi in parte smentite – da frasi di giustificazione nei confronti di un atto altamente simbolico dal quale evidentemente il padronato italiano non vuole davvero prendere le distanze. «Quell'applauso - ha aggiunto infatti Galli parlando a La7 - va capito perchè è spontaneo in una platea di imprenditori. Perchè c'è stato? Perchè le imprese si trovano preoccupate per l'estrema incertezza del diritto in Italia».
Colpa dell’incertezza, quindi, se gli imprenditori a Bergamo hanno mostrato il loro volto più selvaggio.
"Più passano le ore e i giorni da quell’applauso alla convention di Bergamo e più mi sembra che i padroni si stiano arrampicando sugli specchi” commenta ai microfoni di Radio Città Aperta Ciro Argentino, ex operaio Thyssen scampato al rogo di quella notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007. A causa di uno sversamento di olio bollente che ha provocato un vasto incendio sulla linea 5 dell’acciaieria torinese morirono sette operai, alcuni subito ed altri dopo una lunga e penosa agonia: Angelo Laurino, Antonio Schiavone, Bruno Santino, Roberto Scola, Rocco Marzo, Giuseppe Demasi e Rosario Rodinò.
“Il punto vero – aggiunge Argentino - me non è tanto l’applauso da collegio difensivo nei confronti di Espenhahn da parte della corporazione degli industriali e dei padroni di questo paese. Non è che ci aspettassimo qualcosa di diverso. Chiaramente siamo sconcertati e indignati per quell’applauso, sul piano etico-morale. Ma quello che conta è il piano politico e dei diritti in questo paese. D’altronde le parole pronunciate oggi dal dirigente di Confindustria Galli confermano la lettura che i padroni danno attualmente della situazione politica e del loro ruolo: i padroni chiedono esplicitamente al legislatore una vera e propria impunità, una sorta di extraterritorialità nell’applicazione di leggi del Codice Civile e del Codice Penale che dovrebbero valere per tutti i comuni cittadini ma non per i cittadini imprenditori. Non c’è un imprenditore che in questo paese abbia mai pagato veramente per le proprie responsabilità in incidenti e tragedie come quella della Thyssen, perché l’imputazione massima addebitata ai padroni o agli amministratori delle aziende – ricorda Argentino - è sempre quella dell’omicidio colposo. Che d’altronde è stata l’accusa rivolta agli stessi imprenditori della Thyssen, mentre Espenhahn è stato l’unico ad esser stato colpito da una imputazione di ‘omicidio volontario con dolo eventuale’ ”.
Una pensa esemplare certo, quella emessa nei confronti dell’ad della Thyssen, ma ora ci saranno altri due gradi di giudizio, e la multinazionale tedesca si sta attrezzando per ribaltare o comunque rendere più mite la sentenza di primo grado. “Poco prima che i giudici della Corte d’Assise di Torino emettessero la sentenza, il Console Generale tedesco in Italia era nella città piemontese a chiedere un colloquio con il pm Guariniello, a significare quanto i poteri forti stiano investendo in questa battaglia processuale sul rogo della Thyssen – avverte ancora Argentino. - È uno snodo dello scontro di classe che avviene su dimensioni europee e che, come ha ricordato la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, crea un unicum giuridico in quello che ha definito lo ‘sconcertante reato di omicidio volontario’ addebitato ad un esponente di spicco delle classi dirigenti del continente”.
«È un unicum in Europa - aveva detto nel suo intervento Emma Marcegaglia, la presidente dell'Associazione degli imprenditori -. Una cosa di questo tipo (cioè la condanna considerata spropositata ad Espenhahn, ndr) se dovesse prevalere allontanerebbe investimenti esteri mettendo a repentaglio la sopravvivenza del sistema produttivo. È un tema che va guardato con grande attenzione, nel massimo rispetto per la sicurezza sul lavoro, ma una cosa di questo tipo se dovesse prevalere allontanerebbe gli investimenti dall'Italia». Parole nette e pesanti, perché soppesate e pensate, quelle della presidente di Confindunstria. Ecco perché le scuse pelose di Galli non sono state ben accolte dai parenti delle vittime della Thyssenkrupp e da chi si batte affinchè i responsabili delle morti sul lavoro ricevano una giusta posizione. Anche perché la Marcegaglia si è ben guardata dal chiedere scusa lasciando la patata bollente a Galli. Oltretutto il minaccioso messaggio della Marcegaglia – se ci obbligate a investire in sicurezza le aziende abbandoneranno l’Italia – sembra fare riferimento all’intenzione da parte della multinazionale tedesca di abbandonare, dopo quello di Torino, anche lo stabilimento di Terni. Secondo alcuni i manager della ThyssenKrupp dello stabilimento umbro avrebbero già le valigie pronte.
"Se c'é qualcuno che deve chiedere scusa ai familiari delle vittime del rogo Thyssen, al tribunale di Torino e agli imprenditori che ogni giorno investono in sicurezza, é proprio Emma Marcegaglia. Il presidente di Confindustria, infatti, deve ritirare le sue ignobili affermazioni e deve dire con chiarezza che le spese per la sicurezza non sono un disincentivo a investire, ma una garanzia di efficienza, qualità dei prodotti e rispetto della vita umana" attacca Maurizio Zipponi, ex dirigente della Cgil ed oggi parlamentare dell’Italia dei Valori. "Sette operai italiani sono morti bruciati vivi e tutto il processo ha dimostrato la clamorosa responsabilità di quanti, avendo deciso di abbandonare quell'azienda, non investivano da anni nella sicurezza esponendo cosi i lavoratori al dramma che è accaduto" ricorda Zipponi.
“Se hanno applaudito un assassino significa che sono assassini anche loro. E' un sollievo che abbiano deciso di chiedere scusa, una timida consolazione. Dopo la sentenza abbiamo capito come la pensano gli industriali italiani. Prima quelle atrocità su Facebook, poi le reazioni di fronte alla presunta severità della pena. Non è stata una pena severa è stata la pena giusta per chi ha provocato deliberatamente la morte di sette giovani operai” ha commentato visibilmente arrabbiata Rosina Platì, mamma di Giovanni De Masi, 26 anni, morto nel rogo della Thyssen. “L'offesa che abbiamo subito non si cancella” aggiunge la madre di una delle vittime, che poi intima ai dirigenti di Confindustria ''che adesso la smettano, perché noi non ne possiamo veramente più. C'é stata una condanna e si devono rassegnare, almeno fino all'appello. Poi spero che le cose non cambino, ma fino ad allora devono rispettare questo giudizio, perche' sono certa che nessuno si é divertito a condannare quegli imprenditori, ma - conclude - dopo oltre 90 udienze evidentemente ci sono state le ragioni per farlo”.
“La novità della vicenda processuale della Thyssen – ricorda a Radio Città Aperta Ciro Argentino - sta nel tipo di reati contestati ai manager e agli imprenditori e nella durezza delle pene loro comminate. Un’altra novità sta nell’accettazione di numerose parti civili all’interno del procedimento, con il riconoscimento del risarcimento a ben 48 lavoratori che hanno corso lo stesso rischio dei lavoratori morti. Un’altra novità ancora, storica, riguarda il tipo di indagine che i magistrati hanno realizzato sul metodo di funzionamento della multinazionale, equiparandola per certi aspetti ad una organizzazione mafiosa, scoprendo fatti che ora porteranno all’apertura di un altro procedimento giudiziario contro l’azienda a partire dalle false dichiarazioni dei dirigenti della Thyssen e delle ispezioni pilotate realizzate dai dirigenti delle Asl di Torino in combutta con la multinazionale. Noi stiamo lavorando alla realizzazione pratica della proposta del pm Guariniello: cioè la costituzione di una Procura Nazionale sugli infortuni sul lavoro che renda omogeneo su tutto il territorio nazionale il metodo di indagine nei confronti di tragedie simili ma che spesso vengono affrontate in modo diverso da parte delle procure locali. Non ci si può affidare al caso nella punizione delle responsabilità delle aziende nelle stragi sul lavoro: il trattamento deve essere lo stesso da Molfetta a Taranto, da Sarroch a Mineo a Torino, non è accettabile che a fare la differenza sia un pool di magistrati competenti e motivati come quello che ha seguito la vicenda Thyssen a Torino”.
Nel frattempo alcuni ex lavoratori e parenti delle vittime del rogo dell'acciaieria torinese hanno dato vita martedì ad una eclatante forme di protesta: alcuni di loro si sono alzati in piedi e si sono imbavagliati all'apertura, a Torino, di un convegno sulla recente sentenza del processo contro i vertici dell'azienda tedesca. Hanno inoltre esposto un grande striscione 'listato a luttò per alcuni minuti, per chiedere la ricollocazione degli ultimi 13 operai torinesi dell'azienda ancora in cassa integrazione. Contestualmente alla protesta, avvenuta a Palazzo Cisterna, sede della Provincia di Torino, è stato distribuito un volantino che chiede «lavoro sicuro e dignitoso per gli ultimi operai parte civile discriminati e non ricollocati dagli enti locali». Nel volantino si spiega che altri lavoratori, che si erano costituiti parte civile nel processo della ThyssenKrupp, sono stati ricollocati in aziende private ed ex municipalizzate. «Come ormai da tre anni abbiamo fatto, chiediamo nuovamente al sindaco Sergio Chiamparino e all'assessore Tom Dealessandri (tra i relatori del convegno, ndr) così come ai candidati sindaco Michele Coppola e Piero Fassino, di garantire l'impegno della ricollocazione anche per gli ultimi 13 lavoratori, a maggior ragione visto che il Comune di Torino ha ottenuto un risarcimento di un milione di euro che dovrebbe essere usato per creare nuovi posti di lavoro per chi, come noi, ha subito simili ingiustizie».
La battaglia continua.

Marco Santopadre, Radio Città Aperta

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