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(Lotte operaie nella crisi)

Un altro mondo è possibile

(18 Giugno 2011)

La presente riflessione non rappresenta un tentativo di convincimento, tanto meno un meeting politico che parte dalla rivoluzione spagnola, ma bensì si vuole porre al centro una questione per la quale invitiamo a riflettere approfonditamente, proponendo un distacco dalla televisione e mezzi di informazione italiani in generale. Una sorta di pausa riflessiva per i/le nostri/e connazionali, e sardi/e in particolare.

Ci sembra di aver compreso che gli obiettivi comuni della società odierna sono la Democratizzazione della società e la sua Autonomia locale, ma evidentemente, ad intensità differenti determinate dal cammino che si voglia intraprende per il raggiungimento della stessa. La differenza sostanziale tra la nostra visione ed analisi socio-politica e quella della generazione anteriore, che possiamo chiamare, per semplificare,"partitica" si può identificare nel punto di partenza dell'analisi che la anima.

Nei fatti, dentro della sinistra storica, ahimè, si è quasi sempre accettata con troppa facilità, l’idea che la democrazia è qualcosa di intimamente legato alla logica del mercato neoliberale. Davanti a ciò c'è una generazione, quella da anni incompresa, quella vittima diretta degli effetti del capitalismo selvaggio, che sta sbracciando per evidenziare che le contraddizioni tra la logica del capitale e la democrazia, non sono più ovviabili e con esse, il mettere in discussione il modello rappresentativo della democrazia Indiretta di cui si è sempre servito (braccio esecutore). Ci sembra di vivere in uno di quei sogni in cui provi ad urlare con tutte le tue forze, ma nessuno ti può sentire o non ti ascolta, e quando lo fa, già sei morto di stenti .

Per appoggiare tali ipotesi teoriche e pratiche, mi approprierò momentaneamente del potente e rappresentativo lavoro del sociologo portoghese Boaventura de Sousa Santo. Come attivo partecipante in spazi in cui i movimenti sociali stanno costruendo progetti trasformatori, Boaventura, non si è mai rinchiuso in uno sterile accademicismo. In particolare evidenziamo il suo ruolo come uno dei più importanti intellettuali organici all'interno del Foro Sociale Mondiale. Una dei suoi più importanti contributi è stato, infatti, quello di averci insegnato l'importanza e la necessità della "traduzione" tra differenti saperi e pratiche, che permette una mutua interleggibilità fra differenti lotte ed identità, individuando, così, cause e apertura di terreni comuni internazionali alternativi, per l'articolazione di vari tipi di relazioni e comprensioni Nord-Sud e Sud-Sud.

Ritornerò in prossime occasioni ad approfondire il problema della "traduzione interculturale", per concentrarmi ora nella problematica della "transizione paradigmatica", che analizza Boaventura, di questo momento storico che stiamo vivendo, e per la quale ci sembra che ancora troppo pochi siano consapevoli, per cui è opportuno chiarire concetti e contesti. C'è, infatti, una esigenza nell'aria come se ci sentissimo di stare nella riva de tempo, tra un presente già passato ed un futuro che ancora non è nato, tra un eccesso di "determinazione"( modello esistente) ed uno di "indeterminazione"(quello che verrà).

A partire dalla "indignación" di questa rivoluzione, la teoria critica che sosteniamo, deve trasformarsi in un nuovo senso comune emancipatorio. Abbiamo interiorizzato in queste settimane che la teoria è solo la Cartografia del cammino che sta diventando percorso delle lotte politiche, sociali e culturali che influenza, e dalle quali è influenzata. Questa teoria critica è un nuovo possibile paradigma che andiamo introducendo poco a poco.

In termini pratici possiamo pensare il cambio paradigmatico come un normale processo fisiologico di nascita-vita-morte e quindi morte di uno precedente (la democrazia rappresentativa di partito) e la nascita di uno successivo (ancora in formazione ma con una impronta di democratizzazione radicale diretta dalla gente). Cosicché né la morte di un paradigma ha dentro di sé l'embrione del nuovo paradigma che gli succederà. Spesso, solo dopo molti anni o incluso secoli si può affermare la morte certa di un paradigma sostituito per uno nuovo. Certo nel nostro caso è da vedere se riusciremo a sostituirlo prima di una eventuale estinzione della razza umana, considerato come stiano andando le cose e chi prende le decisioni per il mondo intero.

La transizione paradigmatica risulta essere così, semicieca ed invisibile: solo può essere ripercorsa da un pensiero costruito a partire dall'abitudine di trasformare silenzi, sussurri e rilievi insignificanti per il modello egemonico, in preziosi segnali di Orientamento. Quel pensiero è la Utopia.

La natura della incomprensione da parte dell'intera società nei confronti della nostra generazione, è che una transizione paradigmatica come questa è un obiettivo a lungo, o lunghissimo termine, motivo per cui una società, come la odierna, abituata a progettare (quando accade) obiettivi a brevissimo termine (nella logica degli interessi di partito) non può oggettivamente rispondere alle strutturali ed importanti esigenze del mondo (ecologiche, sociali ed economiche). Dal nostro punto di vista, è semplicemente priva di quei sensi di cui disponiamo coloro che pensano a un nuovo mondo ed a nuove relazioni dentro di esso, come la responsabilità, la umanità e la spiritualità.

La partecipazione e la gestione della società da parte della gente (democrazia partecipativa diretta) è quella azione libera da interessi individuali e corporativi, permetterebbe quella continuità intergenerazionale necessaria per le sorti del pianeta,. La successione delle lotte e l' accumulazione delle frustrazioni acutizzano la crisi del paradigma dominante ed è questo il nostro motore portante. Ciò nonostante, le lotte di cui parliamo, se fini a se stesse, non potranno contribuire all'emergenza di un nuovo paradigma, ma perché ciò avvenga è necessario consolidare la coscienza dei paradigmi emergenti. Questa coscienza è possibile grazie alla immaginazione utopica, ne è un esempio il potere sociale costruito a partire dalla creatività ("le differenze costruiscono la creatività sociale dentro dei Gruppi Motori del cambio" come Tomás R.Villasante della Complutense di Madrid), come in queste settimane avviene nelle piazze spagnole.

Questa tesi di Boaventura si solidifica attraverso altri suoi studi che la rafforzano, come la ricerca nel passato locale in termini di spazio-tempo alla base del suo lavoro emancipatore. "La escavazione Archeologica", così metaforicamente chiamata, è permessa dalla immaginazione utopica che porta a pensare nuove articolazioni "locale-nazionale-globale". Si tratta di scavare nei resti lasciati dalla modernità occidentale per riscoprire le tradizioni e le alternative che dal modello stesso furonoespulse. Scavare nel colonialismo e nel neo-colonialismo per scoprire nelle macerie altre possibili relazioni, più reciproche e ugualitarie, identificando in quelle rovine sarde, frammenti epistemologici, culturali, sociali e politici che ci aiutino a reinventare l'emancipazione sociale, le cosiddette "rovine emergenti", (ciò che si intende quando si parla di "decolonizzare Occidente").

Di tutto ciò ci sembra poter estrarre che sia necessario, non solo reinventare la politica, ma bensì la cultura politica ed il concetto di Democrazia, ben lontana del concetto di dover mettere le milioni di nostre vite, nelle mani di pochi ogni 4 anni, modello che giorno dopo giorno ci inculcano ipnoticamente attraverso i mezzi del controllo delle masse. Nel lavoro di Boaventura abbiamo riscontrato ipotesi sociali in cui i/le giovani d'oggi ci identifichiamo in linee di principio generali, sopratutto come sardi/e.

L'obiettivo di promuovere spazi pubblici non statali facilita reinventale lo spazio statale (come il caso delle assemblee di quartiere, di rione o paese, di fabbrica o università, ecc.), poiché il mondo, oggi, è un immenso campo di sperimentazione di possibilità di spazi pubblici non statali. L’analisi di alcune di queste esperienze reali le quali si caratterizzano una radicalizzazione della democrazia, ci avvicina a quella immaginazione utopica. Perciò una revisione critica della storia è imprescindibile per ricercare il "perché "ed il "per come"della situazione di "crisi" che stiamo vivendo.

Ricordiamo che dal XVI e XVII secolo la modernità occidentale emerse come un ambizioso e rivoluzionario paradigma socio-culturale costruito su una tensione dinamica tra "regolazione sociale" ed "emancipazione sociale". A partire dalla metà del XIX sec. con la consolidazione e la convergenza tra paradigma della modernità e capitalismo, questa tensione tra regolazione ed emancipazione entrò in crisi a discapito di quest'ultima, con una lunga e crescente trasformazione delle energie emancipatorie in energie regolatrici". In questo momento stiamo probabilmente assistendo alla culmine di questo processo.

Con il collasso della emancipazione nella regolazione codesto modello smette di potersi rinnovare ed entra nella fase di crisi finale. Il fatto che il paradigma dominante continua, essendo tale per la inerzia storica e dentro le sue rovine, con una generazione impegnata, c'e il presentimento di segnali ancora vaghi della emergenza, di un nuovo paradigma. Alla radice di tutto ciò possiamo affermare, come Boaventura diagnostica, che viviamo in un tempo di transizione paradigmatica.

L'altermundista portoghese, ci porta a pensare in termini di "globalizzazione contro-egemonica" identificando il modello in declino come "globalizzazione egemonica", la quale, piú che una globalizzazione, è un reale "localismo globalizzato" dove le tradizioni della modernità occidentale (se così possiamo chiamarle), finirono per essere consacrate come il canone moderno per eccellenza, che si impose negli angoli piú reconditi del globo, eliminando le singole peculiarità locali. Avvenne così, un chiaro processo generalizzato di emarginazione, soppressione e sovversione di epistemologie, tradizioni culturali ed opzioni sociali e politiche alternative, che si trovavano incluse in essa.

La importanza del non cadere nella tentazioni del riformismo dentro di questo stesso modello, è legata a una profonda critica che assume una posizione paradigmatica rispetto al modello dominante stesso. Questa critica radicale, insieme al percorso immaginario utopico, ci sta permettendo in queste settimane, di disegnare le prime bozze di nuovi orizzonti emancipatori in cui eventualmente si annuncia il paradigma emergente. In questo la "autoriflessione" (per cui abbiamo creato gruppi di lavoro appositi) ci permette di "percorrere criticamente il cammino della critica" intrapreso, correggendo errori ed attitudini incoerenti e flessibilizzando metodi ed obbiettivi per umanizzare l'intero processo di transizione paradigmatica.

C'è da chiarire che tutto ciò è nato dalle televisioni spente e dall'attivazione delle menti. Potrebbe sembrare un fattore irrilevante, ma al contrario è una variabile fondamentale, sia per poter accendere quella miccia esplosiva iniziale, sia per poterla mantenere accesa nel tempo. Son provati i poteri ipnotici della televisione ed ancor di più quando si tratta di frequenze digitali (ormai presente in tutta Italia), per cui non riusciamo a immaginare l'inizio di un cambio profondo senza una minima regolazione di questo strumento di controllo delle masse.

Stando dentro di questa bolla di sapone ermetica in cui si trova rinchiusa l'Italia, consapevolmente o no, ci viene difficile, per non dire impossibile, credere che il cittadino italiano abbia anche solo l'opportunità di pensare a punti di vista ed alternative che non entrino dentro del range (od spesso, Ring) dei dibattiti politici, o meglio chiacchiere, telegiornali in testa. E' diventata una impresa biblica crearsi una barriera psicologica tale da potersi difendere dai continui attacchi, e dalle intrusioni illecite nel libero pensiero individuale, che per definizione non è più tale. Questa forma di violenza bianca verso il/la cittadino/a è sempre più forte e presente, e sempre meno additata e condannata.

La chiusura italiana rispetto al mondo esterno è tanto in entrata come in uscita. Il solo fatto di non poter reperire materiali informativi contro-egemonici come testi ed articoli nelle librerie di autori di paradigmi emergenti (senza parlare della televisione pubblica), la dice lunga (nella biblioteca comunale di Roma, incluso nelle librerie attorno alla Sapienza, non si incontra per esempio il testo di Paulo Freire "pedagogia dell'oppresso" uno dei libri più potenti ed emancipatori della storia dell'umanità).

Casualità o fatalità? Sia come sia, è un fatto grave, così come il controllo delle informazioni in uscita. A tal proposito, pochi son al corrente fuori dal nostro paese del forte livello di conflitto sociale dentro le nostre categorie disagiate (precari, lavoratori, studenti, pastori, ecc. ). Ciò facilita, da parte delle strutture egemoniche, il controllo delle interrelazione e coordinazioni internazionali delle lotte, e ne limita in questo modo l'effetto contagio come sta avvenendo con la rivoluzione spagnola, dopo quella araba. La solidarietà ed i venti emancipatori son anche in questo caso frenati dal sistema egemonico autoritario.

Tutto ciò impedisce un inizio di possibile apertura ad alternative che si stanno sperimentando in differenti luoghi. La Spagna è obiettivamente più aperta e vicina ai venti emancipatori provenienti dal Sud (non inteso in senso geografico, ma bensì sociale), e con contesti differenti dai nostri, ma anche con meno motivi per indignarsi e ribellarsi contro una egemonia con ormai evidente carattere dittatoriale, nei metodi e negli obiettivi. Ora la domanda di questa nostra "generazione decoloniale" è: Non abbiamo abbastanza motivi per indignarci?

La Sardegna non ha una sua epistemologia emergente latente? Non è la Crisi che stiamo vivendo, una imperdibile opportunità per cambiare radicalmente la realtà locale e globale?

Vi lasciamo a queste domande e senza "paura della libertà" costruiamo il nostro cammino giorno dopo giorno. Non abbiamo e non accettiamo "piatti precotti", sperando che la nostra esperienza spagnola sia recepita dalla nostra amata isola. Autonomia reale senza riformismi mascherati dentro un sistema da "malato terminale", questo è il nostro messaggio. Chi ora è al potere che inizi un nuovo processo costituente di emancipazione per passare il testimone alla gente tutta, se veramente il suo interesse è la collettività Sarda ne riceverà in futuro i suoi frutti.

13/06/2011

Fabio Addis (del gruppo Indignados di Granada)

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