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Il dilemma dei generali

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(23 Giugno 2012) Enzo Apicella

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Algeria, la "rivolta" che non decolla

E’ allerta tra i vertici del governo, per l’appello comparso su Facebook, che incita alla “rivoluzione algerina”. Il presidente Bouteflika riforma il sistema delle telecomunicazioni, come sedativo alle proteste; nonostante l'accresciuto divario sociale, le élite al potere tengono.

(18 Settembre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

Algeria, la "rivolta" che non decolla

foto: www.nena-news.com

E’ stato d’allerta in Algeria, per la comparsa di un appello con un titolo eloquente, “17 Settembre 2011: la rivoluzione algerina”, che da alcuni giorni circola sul social network Facebook e che ha già attratto almeno 2500 simpatizzanti, incitando a protestare contro il presidente Abdul Aziz Bouteflika. A riferirlo è Al Arabyia News, citando le preoccupazioni del Ministro degli Interni Dahou Ould Kablia, intervistato dal quotidiano Ennahar, lo scorso giovedì. L’appello ha generato la massima allerta nell’establishment algerino, tanto che lo stesso Ministro degli Interni ha diffuso l’allarme tra i vertici delle forze di sicurezza e convocato meeting straordinari per individuare i responsabili dell’appello e i movimenti che “sarebbero dietro l’incitamento di gruppi di giovani contro il governo”.

La scorsa settimana il governo ha approvato una serie di riforme che riguardano il settore delle telecomunicazioni: una nuova legislazione che apre alle aziende private il settore dell’audiovisivo e che depenalizza “il delitto di stampa”; in arrivo anche una nuova legge sui partiti politici. Le riforme erano già state promesse dal presidente Abdelaziz Bouteflika lo scorso aprile, come tentativo di anestetizzare l’ondata di contestazioni e proteste scatenatesi nel paese in concomitanza con le manifestazioni avute in altri paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.

Otre alla creazione di una autorità atta a regolare i media audiovisivi e a rilasciare licenze per giornalisti e testate (attività che è attualmente prerogativa del Ministero di Giustizia), il nuovo progetto per la riforma dell’informazione prevede la fine del monopolio statale nel settore dei media: aziende private potranno finalmente avere accesso al mercato, acquisire e gestire stazioni radio e TV.

Il governo ha anche approvato un progetto che prevede una depenalizzazione del delitto di stampa , principale rivendicazione dei giornalisti a partire dal 1990. Il testo “ esclude qualsiasi pena che privi della libertà”, ma non esclude la possibilità di chiusura di testate o arresto di giornalisti considerati una “minaccia per la sicurezza dello Stato”. Secondo il comunicato del consiglio dei ministri , il governo adotterà in futuro anche un progetto di legge che riforma le regole per assicurarsi la trasparenza nei finanziamenti ai partiti politici.

Per ora si tratta solo di proposte di legge che potrebbero divenire effettive solo se votate in seno al parlamento; il controllo del corpo legislativo è nelle mani di diverse formazioni politiche vicine al Presidente Abdoul-Aziz Bouteflika, incluso il partito FLN (Fronte di liberazione nazionale) e sono in molti a dubitare della messa in atto di tali riforme, dal momento che fino ad adesso nessuna data certa per il voto in parlamento è stata comunicata. Gli analisti politici tendono ad inquadrare le proposte di legge nell’ambito delle riforme annunciate lo scorso 15 aprile dal presidente, in risposta alle proteste di piazza: riforme che si sono concentrate sulla rimozione dello stato di emergenza nel paese, in vigore dal 1992, sull’incremento di oltre il 30% dei salari dei funzionari del pubblico impiego, sui sussidi per i prodotti alimentari di base quali farina, latte, zucchero. Precise indicazioni furono date anche agli agenti di sicurezza nelle strade dei grandi agglomerati urbani: ignorare e non multare i commercianti ambulanti e i tassisti abusivi. Misure che finora hanno funzionato come fattori di contenimento e che hanno assicurato al’élite politico-militare – al potere dal 1992 – di mantenere saldamente il potere.

Con solo il 3% di superficie del paese coltivata e i 4/5 ricoperti da aree desertiche ricche di gas e petrolio (l’Algeria è tra i fornitori all’Europa di grandi quantità di gas naturali) e un’economia sostanzialmente statale (basta pensare che il 90% dele banche sono di proprietà dello stato), le principali rivendicazioni delle proteste che hanno avuto inizio a gennaio e che hanno visto in piazza le fasce più giovani della popolazione, si sono concentrate contro il carovita, la disoccupazione (ufficialmente l’11% ma secondo il Fondo Monetario Internazionale, arrivata al 25% tra i giovani ventenni algerini), la crisi abitativa (divenuta centrale dopo il terremoto del 2003, i quasi 200.000 senzatetto e mezzo milione ad oggi di abitazioni precarie) e i bassissimi standard delle strutture sanitarie e solo in seconda battuta contro la corruzione governativa divenuta ormai endemica (quando Bouteflika annunciò la modifica del gabinetto governativo alla fine del maggio 2010, 14 uomini dei vertici dello stato erano già stati accusati di corruzione). Un quarto della popolazione vive sotto la soglia di povertà e i più colpiti sono proprio i giovani. E’ stata proprio questa gioventù scontenta, disillusa e disperata e soprattutto disoccupata, la prima a scendere in piazza (solo tra gennaio e febbraio si sono registrati oltre 100 focolai di proteste). A riprendersi la strada come luogo di contestazione, in modo disorganizzato e spontaneo, in un paese dove gli spazi della libera espressione sono stati fortemente ridotti, e a coordinarsi nel Consiglio nazionale per un cambiamento democratico (Coordination nationale pour le changement et la démocratie), dando vita a movimenti di rivendicazioni e richieste simili a quelle di altri paesi interessati dalla “primavera araba”. Protestando da est a ovest del paese contro il caro-prezzi (il rincaro dei prezzi è stato provocato in Algeria dall’introduzione della tassa sui beni di largo consumo, poi eliminata dallo stesso Ministro del Commercio), questi manifestanti si sono scontrati anche qui con i fumogeni e la repressione delle forze armate (il bilancio delle vittime è stato di due giovani).

Nonostante però il divario stato-popolo sia sempre più ampio, con da una parte masse scontente che chiedono riforme, dall’altra le élite al potere quasi indifferenti, come ha fatto notare in un suo articolo John Entelis, editor del Journal of North African Studies, il sentimento anti—Stato non ha ancora raggiunto in Algeria le proporzioni che hanno caratterizzato altri paesi della regione. E non soltanto per la ferocia dello stato militare che fa da fattore contenitivo e il terrore di un’altra sanguinosa ondata di violenza interna, ma anche per fattori che sono propri del paese, tra cui quello geografico e la diversa stratificazione sociale della popolazione .

Oltre alle riforme, inoltre, le autorità algerine, hanno anche sfruttato ad hoc la propaganda mediatica, per sedare i possibili malcontenti di popolo. A riguardo della copertura mediatica sui fatti della Libia, fa notare Hamoud Salhi, professore di scienze politiche dell’Università di California, i media ufficiali algerini hanno evidenziato la minaccia al terrorismo, la paura dell’intervento straniero, il generale collasso e disordine diffusisi nel paese con immagini di morti, feriti e distruzione. Quella che agli occhi delle élite poteva apparire una deriva, in stile tunisino o egiziano, per ora è scongiurata. Nena News

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