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All'onu si riparla del rapporto goldstone

Il Consiglio per i Diritti Umani aveva autorizzato la missione ad accertare le violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani commesse durante l'operazione militare israeliana "Piombo fuso"

(29 Settembre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

All'onu si riparla del rapporto goldstone

foto: www.nena-news.com

DAVIDE TUNDO *

Roma, 28 settembre 2011, Nena News - A pochi giorni dalla richiesta di ammissione della Palestina come stato membro dell’ONU, al Palazzo di Vetro di New York si ritornerà a parlare, forse senza l’attenzione mediatica dei giorni scorsi, del conflitto israelo-palestinese e, nello specifico, dell’offensiva israeliana sulla Striscia si Gaza di dicembre 2008-gennaio 2009, ribattezzata dalle autorità israeliane “operazione Piombo Fuso”.

Con la risoluzione 16/32 del 13 aprile scorso, il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha infatti rimesso all’Assemblea Generale, riunitasi nella 66ma sessione iniziata il 13 settembre, l’esame del rapporto ONU che il gruppo di esperti, presieduto dal giudice sudafricano Richard J. Goldstone, confezionò a conclusione della missione realizzata nella Striscia di Gaza alcuni mesi dopo la cessazione delle ostilità.[1]

Il mandato ricevuto dal Consiglio per i Diritti Umani aveva autorizzato la missione ad accertare possibili violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani che fossero state commesse dalle parti contendenti prima, durante e dopo le operazioni belliche. Difatti, i sospetti che violazioni fossero state commesse erano prima facie consistenti.

Oltre a ingenti danni a strutture pubbliche (scuole, ospedali, luoghi di culto, infrastrutture industriali) e private (abitazioni e infrastrutture civili, terreni arabili), l’offensiva militare, durata in totale 23 giorni, si saldò con un bilancio di circa 1,400 vittime, di cui la gran parte civili. I bambini deceduti furono addirittura 313.[2]

L’alto numero di morti civili indusse a sospettare che la popolazione civile fosse stata intenzionalmente oggetto di attacchi indiscriminati da parte delle forze armate israeliane.

Inoltre, le modalità di conduzione delle ostilità, compreso il probabile utilizzo di munizioni al fosforo bianco, rafforzarono il sospetto che le truppe israeliane avessero commesso violazioni del diritto internazionale umanitario. Andava altresì valutata la condotta delle forze palestinesi in campo, responsabili del lancio di razzi sulle cittadine israeliane aldilà del confine con la Striscia, e di aver operato in zone con alta densità abitativa.

Il rapporto, conosciuto come Goldstone Report, sebbene circoscritto a un numero limitato di “incidenti”, tra cui alcuni degli episodi di più efferata crudeltà verso la popolazione civile di Gaza, confermò e documentò che violazioni del diritto internazionale, talune probabili crimini di guerra, erano stato compiute e demandava alle due parti contrapposte l’accertamento delle responsabilità giuridiche individuali, comprese quelle penali.

Si auspicava altresì l’attivazione di meccanismi di giustizia internazionale, compreso il deferimento alla Corte Penale Internazionale, qualora le parti in causa non avessero condotto prontamente indagini in forma credibile e indipendente, come prescritto dal diritto internazionale.

Oggi, a distanza di due anni dall’uscita del rapporto Goldstone, le vittime di quel conflitto continuano a chiedere giustizia: le autorità israeliane, fin dall’inizio contrarie a ogni scrutinio delle proprie forze armate, e quelle di Gaza (del movimento islamista Hamas), non hanno condotto indagini nel rispetto degli standard internazionali di cui sopra.

Tale conclusione é stata confermata dal secondo rapporto di un Comitato di Esperti Indipendenti[3], che, su mandato rinnovato dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, ha valutato le indagini condotte a livello domestico da entrambe le parti sulle violazioni denunciate nel rapporto Goldstone.

Secondo il rapporto, presentato a marzo scorso durante la 16ma sessione del Consiglio per i Diritti Umani a Ginevra, “le autorità de facto di Gaza non hanno condotto indagini sul lancio di razzi e mortai su Israele” e “non vi è indicazione che Israele abbia aperto indagini sulle azioni di coloro che hanno disegnato, pianificato, ordinato e supervisionato l’operazione Piombo Fuso”.

A fronte di decine di episodi in cui civili sono stati barbaramente trucidati, la macchina giudiziaria israeliana ha condannato soltanto un soldato, reo del furto della carta di credito di un palestinese, mentre altri due sono stati condannati con pena ridotta di 3 mesi di carcere, poi sospesa, e la perdita del grado militare per aver utilizzato un bambino come scudo umano. Nel resto dei casi, peraltro pochi, le indagini interne, sotto l’egida del MAG (Military Advocate General), esperto e referente giuridico per le operazioni militari decise dal governo di Tel Aviv, si sono chiuse senza incriminazioni o hanno portato soltanto a misure punitive di carattere disciplinare.[4]

Inoltre, il blocco israeliano della Striscia di Gaza in vigore ormai da più di 4 anni, oltre ad aver aggravato la situazione socio-economica della popolazione civile,[5] contribuisce al diniego di giustizia per le vittime civili dell’offensiva militare israeliana, creando cosi, con il tacito benestare della comunità internazionale, una pericolosa zona di impunità giuridica.

Difatti, le ferree restrizioni ai movimenti di persone (in aggiunta ai beni) in uscita ed entrata da Gaza impediscono ai legali delle vittime, siti in Gaza, e ai testimoni palestinesi di attraversare la frontiera per comparire in giudizio nelle cause civili aperte in Israele per la riparazione dei danni economici provocati dall’operazione Piombo Fuso. A ciò si aggiunge il fatto che in tali cause i tribunali israeliani sono soliti esigere, diversamente dalla prassi seguita in altri casi e con soggetti non palestinesi, la presentazione di proibitive somme a titolo di garanzia e costi processuali, sotto pena dell’archiviazione.

E’, dunque, evidente che il sistema giudiziario israeliano, nel suo complesso e sotto molteplici profili, non è in grado di assicurare ai palestinesi di Gaza un effettivo esercizio del diritto alla giustizia.

Un giudizio parimenti negativo rimane sull’operato delle autorità di Gaza che, seppur cooperando con le diverse missioni ONU, non hanno poi tradotto le buoni intenzioni in fatti.

Spetta, dunque, alla comunità internazionale offrire un chiaro messaggio che la giustizia per tutte le vittime, palestinesi e israeliane, sia ancora perseguibile e non merce di scambio nelle trattative politiche.

Nell’esaminare il rapporto Goldstone, l’Assemblea Generale dell’ONU potrà dunque rimetterlo al Consiglio di Sicurezza e chiederne altresì il deferimento alla Corte Penale Internazionale, cosi come raccomandato dal Consiglio per i Diritti Umani che da Ginevra ha trasferito le carte a New York.

Sarebbe altresì auspicabile che l’Assemblea Generale decidesse di rimettere al Consiglio di Sicurezza i due rapporti ONU del Comitato di Esperti Indipendenti[6] che concorrono nell’illustrare il fallimento di entrambe le parti, Israele e Hamas, nel perseguimento dei responsabili di violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani.

Rimane, poi, sullo sfondo, ma non meno urgente, la convocazione di una conferenza delle Alte Parti contraenti la IV Convenzione di Ginevra per assicurare una adeguata ed effettiva protezione delle persone civili in tempo di guerra anche nei Territori Palestinesi Occupati.

E’ tuttavia da verificare la volontà politica alla base di tali iniziative. L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), da tempo alle prese con un difficile e tuttora incompiuto accordo di riconciliazione con Hamas, forse non ha interesse nel portare avanti un processo che danneggerebbe il movimento islamista al potere nella Striscia di Gaza. E poi il presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas, ha già riscosso importanti consensi proprio all’Assemblea Generale dell’ONU, qualche giorno fa, allorché ha chiesto lo status di stato membro dell’ONU per la Palestina.

Israele, dal canto suo, qualora l’Assemblea Generale dovesse dimostrarsi ostile nei suoi confronti, conta comunque su un alleato fedele in seno al Consiglio di Sicurezza, quale gli Stati Uniti d’America, che saranno senz’altro pronti nel bloccare ogni mossa che possa portare alla condanna internazionale di Israele e, ancor più, di alcuni dei suoi dirigenti individualmente dinanzi la Corte Penale Internazionale.

In questo scenario, le vittime, a cui i giochi politici non interessano, attendono una risposta: nelle prossime settimane sapremo se l’Assemblea Generale dell’ONU, quel “Parlamento” del mondo dove grandi e piccoli siedono con pari peso, deciderà che la giustizia non debba esistere per palestinesi e israeliani.

[1] Il rapporto della commissione di indagine ONU sul conflitto di Gaza, “Rapporto Goldstone”, é disponibile su http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrcouncil/specialsession/9/FactFindingMission.htm.

[2] Per maggiori informazioni, Palestinian Centre for Human Rights (PCHR-Gaza), Targeted Civilians, e War Crimes Against Children, disponibili su www.pchrgaza.org.

[3] Disponibile su http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrcouncil/docs/16session/A.HRC.16.24_AUV.pdf.

[4] Per un’approfondimento, Palestinian Centre for Human Rights (PCHR-Gaza), Genuinely Unwilling: An Update. The Failure of Israel’s Investigative and Judicial System to Comply with the Requirements of International Law, with particular regard to the Crimes Committed during the Offensive on the Gaza Strip, Agosto 2010, su www.pchrgaza.org.

[5] Come più volte denunciato da diverse agenzie e comitati dell’ONU, dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, e da ONG internazionali quali Amnesty. Per un approfondimento, Palestinian Centre for Human Rights (PCHR-Gaza), The Illegal Closure of the Gaza Strip. Collective Punishment of the Civilian population, Dicembre 2010, su www.pchrgaza.org.

[6] Disponibili su http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrcouncil/docs/15session/A.HRC.15.50_en.pdf e

http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrcouncil/docs/16session/A.HRC.16.24_AUV.pdf

*Dottorando in Diritti Umani dell'Universitá di Valencia (Spagna) e collaboratore del Centro Palestinese per i Diritti Umani di Gaza"

Nena News

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