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Cinema jenin, la speranza che non vuole morire

Dopo un anno di fallimentare cooperazione con l’estero e di sfiducia da parte della popolazione, il destino del Cinema Jenin ritorna nelle mani degli abitanti della città. Storia, obiettivi e speranza di un pezzo di Palestina che non si vuole arrendere

(5 Ottobre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

Cinema jenin, la speranza che non vuole morire

foto: www.nena-news.com

DI GIORGIA GRIFONI

Jenin, 04 ottobre 2011, Nena News - Il 5 agosto del 2010 il Cinema Jenin, la più grande sala da proiezione dei Territori palestinesi occupati, ha riaperto i battenti dopo quasi 25 anni di chiusura grazie a un progetto di cooperazione tedesco. E’ stata un’inaugurazione trionfale: 300 ospiti e più di 100 giornalisti da ogni angolo del mondo, per una sala che può contenere quasi 400 persone. Dopo, il vuoto: proiezioni semi-deserte , abbandoni da parte dei volontari palestinesi e internazionali e diffidenza dalla popolazione locale. I pochi abitanti di Jenin che ancora credono nel potenziale del cinema e lo portano avanti, parlano di un debito di 100.000 euro. Nove mesi dopo, a causa dell’assassinio dell’attivista e regista israelo-palestinese Juliano Mer-Khamis (direttore del Freedom Theatre, ndr) nel campo profughi della città, i pochi cooperanti e volontari rimasti sono stati richiamati in Germania. E il Cinema Jenin è stato abbandonato per la seconda volta. Cos’è che non ha funzionato?

Sembrava il progetto perfetto, quello di Cinema Jenin. Tutto era partito dalla mente di Markus Vetter, regista e produttore tedesco. Si era appassionato alla storia di Ismael Khatib, un abitante del campo profughi di Jenin il cui figlio dodicenne Ahmad è stato ucciso dai soldati israeliani nel 2005. Khatib aveva acconsentito a donare gli organi di Ahmad ad alcuni bambini israeliani, salvando loro la vita. La storia, gesto di pace in decenni di conflitto senza fine, aveva commosso Israele e il mondo. Vetter, grazie alla collaborazione di Ismael, ne aveva realizzato un documentario, “Il cuore di Jenin”, uscito nel 2009. Aveva poi mobilitato il ministero della Cultura tedesco, donatori e investitori privati per la causa del Cinema Jenin e raccolto la somma di un milione di dollari. Con una squadra di architetti, fonici, tecnici e volontari di vario genere, era partito alla volta di Jenin per riportare alla vita il vecchio cinema della città, chiuso nel 1987 dopo lo scoppio della prima Intifada. Assieme al manager palestinese Fakhri Hamad, alla municipalità di Jenin e a un numero straordinario di volontari (circa 200 scaglionati nei due anni di vita del progetto) era riuscito a ristrutturare l’edificio in tempo record.

Se è vero che durante le principali festività islamiche –Ramadan, Ei del-Kebir ed Eid el-Sagheer- del dopo inaugurazione il cinema aveva avuto una certa affluenza -e addirittura due spettacoli pieni- le cose non sembra siano andate tanto bene per il resto dell’anno: “La media –spiega Ika, ex-collaboratrice del progetto- era di meno di 10 persone al giorno. Una vera programmazione c’è stata solo per i due mesi successivi all’apertura, e il cinema era anche riuscito ad acquistare tre film egiziani nuovi: per il resto proiettava solo pellicole vecchie”. Gli abitanti di Jenin non sembravano attratti dal cinema. Non se n’era visto neanche uno durante l’inaugurazione. E tra i volontari, erano stati loro i primi ad andarsene dopo aver constatato che le cose non andavano per il verso giusto. Alcuni ne attribuiscono la colpa al comportamento degli internazionali, non conforme né vagamente rispettoso del conservatorismo della città di Jenin: il nuovo direttore artistico, Ismael Jabarine, ha parlato di volontarie tedesche che prendevano il sole sulla terrazza della guesthouse del cinema, non mostrando alcuna sensibilità per una società che non vede di buon occhio la nudità femminile in pubblico. Secondo altri invece, sarebbe stata l’arroganza dei promotori e collaboratori europei del progetto a far allontanare il pubblico e i volontari palestinesi: “Hussein – racconta Ika - era stato il proiezionista del cinema per molti anni prima che chiudesse nel 1987. Ed era ancora lì nel 2010, perché quello era il suo posto, il suo lavoro. Ma dopo la riapertura, è stato affiancato da un proiezionista tedesco ventiseienne che faceva parte del progetto: forte della sua maestria delle nuove tecnologie, questo ragazzo trattava Hussein a mo’ di schiavo. Lui aveva 40 anni di esperienza alle spalle: aveva passato la vita a proiettare film per il pubblico di Jenin”.

La mancanza di esperienza da parte palestinese è un punto dolente per il futuro del cinema: “I tedeschi- afferma Ismael - avevano rimodernato il cinema: quando se ne sono andati tutti, all’improvviso (dopo la morte di Mer-Khamis, ndr), non hanno avuto il tempo di insegnare ai palestinesi come mandarlo avanti. I giovani volontari della città che abbiamo ora spesso improvvisano, proiettano film illegalmente perché non possiamo permetterci di comprarne di nuovi: tra diritti e pellicola, ci costerebbe circa 5.000 dollari”. Dov’è finito quel milione di dollari, ufficialmente non si sa. Ma tutti a Jenin sanno che sono finiti nelle tasche di Vetter, Fakhri e degli altri della combriccola, perché nessun collaboratore esterno al progetto ha mai visto un soldo per il sudato lavoro svolto. Oltretutto, il fatto che Markus Vetter e Fakhri Hamad siano scappati in Germania ad aprile scomparendo dal progetto aggiunge un altro elemento alle accuse loro rivolte. Questo ha generato diffidenza tra abitanti di Jenin, e i pochi rimasti hanno dovuto inventare non poche strategie per non lasciar morire definitivamente Cinema Jenin. “Come prima cosa- continua Ismael- il dottor Lamieh è stato nominato nuovo direttore del progetto: è una persona rispettabile in città, ed è il figlio del fondatore del cinema”.

Recuperare la fiducia della cittadinanza sembra essere una priorità per la nuova dirigenza, tutta palestinese, del Cinema Jenin: “Quando pensiamo di proiettare un film – sostiene Ismael - dobbiamo sempre stare attenti a che non urti la sensibilità della gente. Nuovo Cinema Paradiso per voi sembra un film assolutamente innocuo, ma certe scene potrebbero risultare scabrose per la popolazione locale”. Ma per proiettare dei film, bisogna possederli: “In questo momento – spiega il Dottor Lamieh - non possiamo permetterci nuove pellicole. E quindi dipendiamo dalle attività culturali: nei mesi scorsi abbiamo partecipato a numerosi festival, come quello del cinema franco-palestinese sponsorizzato dall’ambasciata francese a Gerusalemme, oppure quello organizzato dall’Autorità palestinese. Altrimenti ospitiamo spettacoli teatrali, concerti o show di clown e magia per i più piccoli: un mese fa nel nostro spazio all’aperto c’erano quasi mille persone”. Un altro obiettivo è quello di colmare il gap generazionale tra i bambini e gli adulti: “Negli anni 60 e 70 – aggiunge Ismael- la gente era contenta di andare al cinema. Ora i giovani, soprattutto quelli che vivono nel conflitto e nell’occupazione, hanno perso interesse per quest’attività culturale. Dobbiamo trovare una formula per riportare gli adulti in sala e al contempo stimolare la curiosità dei ragazzi: bisogna far loro capire quant’è bello e importante il cinema”. Al Cinema Jenin manca tutto: soldi, tecnologia, pellicole, fiducia della gente, volontari. Ma sicuramente non manca la voglia di far sopravvivere questo cinema, un legame unico che la città ha con il proprio passato. Nena News

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