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(10 Aprile 2012)
Non è la prima volta che l’amico Michele Giorgio, insieme al suo giornale il manifesto, rivolgono duri giudizi e aspra critica al movimento palestinese, all’Anp e al suo Presidente Mahmoud Abbas. Dal momento che Michele Giorgio insiste nell’attirare l’attenzione sulla situazione interna palestinese, una cosa legittima e un suo diritto, abbiamo anche noi il diritto di replica e speriamo di avere lo spazio per farlo.
La critica e l’autocritica hanno fatto da sempre parte del nostro patrimonio organizzativo e politico, in tutte le fasi del nostro cammino, sono state spesso esercitate fino al punto, qualche volta, di arrivare a sfociare in qualche scissione. In un movimento e in una lotta come la nostra è impossibile non esercitar la critica e subirla in ogni momento e passaggio. Il Presidente Arafat ripeteva sempre: “Lascia fiorire le rose nel giardino della Rivoluzione”.
Caro Giorgio, noi non siamo contro la critica e la discussione dura fra di noi, anzi non esiste un palestinese che non critichi, non incoraggi la critica o che abbia paura della critica pur in una situazione come la nostra: più di quarantacinque anni di una durissima oppressione e occupazione israeliana, una pressione e una sofferenza continua, generale e a tutti i livelli col peggioramento delle condizioni della vita quotidiana dei palestinesi, una mancanza di prospettiva politica di cambiamento o di soluzione pacifica del conflitto mediorientale.
Criticare e usare giudizi duri nel movimento palestinese, è un esercizio quotidiane e quasi unico, però, caro Giorgio, nonostante tutti i nostri sbagli e difetti abbiamo imparato bene la differenza fra la critica, la libertà di espressione e la volgarità, la maleducazione e l’offesa al pudore pubblico, che non consideriamo una buona e positiva cosa da diffondere fra di noi. Criticare ed esprimere giudizi sul lavoro svolto dall’Anp o del presidente Abu Mazen è diverso dall’usare parole e termini che sono assolutamente irricevibili e inaccettabili. I “collaborazionisti” e “traditori”sono termini che necessitano interventi ad altri livelli, a livello giuridico-legale.
E’ inammissibile continuare a mescolare le carte in questa maniera, che non risparmia niente e nessuno. Al Fatah, l’Olp e l’Anp hanno dato e fatto tutto per uscire da questa suicida situazione, questa situazione che minaccia l’unità popolare, politica e geografica della Palestina, che giova solo all’occupante israeliano e ai suoi alleati. Il popolo palestinese è cosciente del pericolo e sta cercando di riparare all’errore e al torto che ha commesso in passato, votando Hamas. L’esito delle elezioni dell’Università di Beir Zeit (Ramallah), gli impiegati dell’Unrwa, l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi e ieri dell’Ordine degli avvocati in Cisgiordania (vinte tutte da Al Fatah) ne è la conferma.
In questo momento storico, proprio dopo la richiesta avanzata all’Onu per il riconoscimento dello Stato di Palestina, con le conseguenti e consuete minacce di Israele e degli Usa, in questo momento che potrebbe vedere passi in avanti nel conflitto mediorientale che da più di 64 anni non si riesce a risolvere, proprio in questo momento non si parla di tutto questo e si porta l’attenzione, invece, sulla situazione interna palestinese, creando ancora maggiori confusioni e divisioni, affermando che tutti i palestinesi sono antidemocratici. Ma è davvero casuale tutto questo?
Non siamo tutti irresponsabili e antidemocratici e non possiamo tollerare che un popolo che sta lottando da più di un secolo venga trattato e giudicato in maniera superficiale e irreale. Stiamo lottando e stiamo pagando un carissimo prezzo per la realizzazione del nostro (Fatah-Olp-Anp) progetto chiave: lo Stato libero, laico e democratico – “democratico”, ricordiamolo sempre - dove ebrei, cristiani e musulmani possano godere di uguali diritti e uguali doveri, in conflitto con l’altro progetto che vuole la creazione di uno Stato religioso: quello ebraico (Israele) e quello musulmano (Hamas), dal momento che Israele con la sua politica del rifiuto e della colonizzazione ha già affossato l’opzione due Stati per due popoli, della quale tutti parlano senza far nulla per realizzarla.
Israele è una potenza coloniale che ha occupato e sfrutta e ruba le ricchezze dell’occupato esattamente come hanno fatto le varie potenze coloniali occidentali in Africa, Asia e America Latina. Israele non solo viola i diritti, opprime e sfrutta i palestinese, ma nega l’esistenza della Palestina e dei palestinesi. Per Israele noi siamo genericamente “arabi” e quindi illegittimi abitanti di una terra che è storicamente la nostra terra. Israele e i suoi alleati non vogliono la pace.
Non capiamo nemmeno questa insistenza, caro Michele: Al Fatah non è l’Anp anche se è il partito del Presidente e di maggioranza; l’hanno ripetuto più di una volta tutti i membri del Comitato Centrale e credo che anche tu abbia partecipato ai lavori del suo VI Congresso nell’estate del 2009 a Betlemme e hai quindi sentito il dibattito e alla fine la risoluzione votata all’unanimità con cui si chiede di separare l’organizzazione di Al Fatah dall’Anp.
E’ vero, stiamo conducendo una lotta difficile e dura, contro un fronte potente e forte, ma la forza della causa palestinese è nella sua giustizia e nella determinazione del suo popolo a portare avanti la sua lotta eroica popolare e pacifica di lunga durata. Siamo coscienti di quello che noi siamo e di quello che gli altri sono, ma possiamo assicurarvi che noi palestinesi vogliamo la pace per noi e per gli altri e non siamo né stanchi né disperati e Netanyahu e Obama si accorgeranno di questo.
Yousef Salman Delegato della Mezzaluna Rossa Palestinese in Italia
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