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(30 Marzo 2008) Enzo Apicella

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Dall’Iraq occupato: testimonianza di un pediatra italiano

(13 Giugno 2004)

Dalla redazione de "La Nuova Alabarda", periodico triestino, riceviamo questo importante reportage di Marino Andolina.
Andolina è un pediatra dell'Ospedale Civile Burlo di Trieste impegnato in prima persona ad aiutare concretamente le popolazioni colpite dalle guerre. E' stato attivo negli scorsi anni anche in Bosnia ed in Kosovo, e nel 2001 ha aderito al nostro Coordinamento.
E' ritornato recentemente dall’Iraq, dove ha lavorato per rimettere in piedi l’ospedale di Nassirya: quanto segue è la trascrizione di un suo intervento fatto “a caldo” il 24 maggio scorso.

Sono tornato stanotte dall’Iraq e quello che per primo mi viene in mente di dire sono le parole di un vecchio film sull’Algeria con Alain Delon: “né onore né gloria”. Per uno come me, che ha sempre avuto rispetto e stima per l’esercito ed anche un certo senso patriottico, dato che ero abituato a girare con gli alpini ed ammirarli per come sono in grado di gestire la protezione civile, è dura da dire che anche il mio orgoglio patriottico si sta sciogliendo.

Sono tornato e non ho ancora letto i giornali italiani di questi giorni, nel mio periodo iracheno ho guardato soltanto le televisioni arabe, anche se non riesco a comprendere tutto quello che dice Al Jazeera in arabo, ma vorrei parlare dei funerali di stato, per quel poveraccio che è stato ammazzato laggiù. Ecco, questo è il tipico martire di questa ideologia incivile che ci sta dominando, uno che è andato in Iraq per fare i soldi facili, per depredare gli altri. Gli eroi di solito rappresentano delle ideologie (se le ideologie sono sbagliate poi li chiamano terroristi).

Allora con un’ideologia dominante come quella che abbiamo, è giusto che facciano i funerali di stato per uno come quello che è stato ucciso in Iraq, perché è il migliore rappresentante di essa.

Anch’io potrei quasi definirmi un mercenario: dopotutto vado a fare servizio internazionale come dipendente del Burlo, sono pagato per quello che faccio. Non vado lì da uomo libero, ma da dipendente e come tale ho sempre cercato di essere prudente in quello che dico perché non vorrei mettere a rischio i fondi per l’assistenza e per gli ospedali che ci sono dati anche da giornali di destra. Ma adesso che i fondi stanno per finire, io apro la diga, non ce la faccio più ad essere prudente perché la prudenza ora sarebbe un crimine.

Io sono un testimone, ho visto ed ho sentito e posso dire oggi che l’Italia è complice di criminali di guerra, è complice di torture e di uccisioni, è complice dell’invasione di un Paese sovrano, è complice di manifestazioni di un disgustoso razzismo nei confronti di un altro popolo che è invece molto più civile di noi.

Le televisioni arabe sono migliori delle nostre: esse danno notizie più che commenti, gli arabi sanno le cose perché vedono le immagini e non hanno bisogno che vengano loro commentate per capire cosa accade.

Succedono delle cose orrende una dietro l’altra, però noi ci indigniamo a comando: oggi ci indigniamo per le torture perché ci hanno detto che dobbiamo indignarci per esse, ma queste torture (che non sono state particolarmente efferate, né le torture sono una novità in guerra) non sono peggio di altre cose per le quali invece non ci siamo indignati perché nessuno ci ha detto di farlo.

Per queste torture un presidente USA ci rimetterà il posto, ma al posto suo ne verrà un altro che probabilmente non sarà molto diverso.

Qualcuno dice che a Nassirya gli italiani sono stati bombardati perché consegnavano agli americani i prigionieri iracheni, quindi gli iracheni vedono gli italiani come complici dei torturatori e responsabili delle torture inferte. È stato sicuramente un atto di terrorismo bombardare gli italiani, però è stato motivato dal comportamento dei militari italiani.

Ed il risultato di questo scandalo delle torture è che adesso i prigionieri non vengono più torturati per il semplice fatto che adesso non vengono più fatti prigionieri: adesso si spara a vista, si uccidono subito i “sospetti”, perché non possono permettersi di fare prigionieri.

A Falluja la realtà è peggiore della fantasia più atroce. Io sono in contatto con pacifisti USA, la cosiddetta sinistra liberal, che è stata la prima vittima di questa situazione. Una cosa che tengo a precisare è che, come non sono antitedesco perché sono antinazista, e difatti le prime vittime di Hitler furono proprio i tedeschi antinazisti che furono eliminati, così io non sono antiamericano perché sono contro il governo di Bush; infatti i pacifisti USA sono le prime vittime di questa situazione, sono isolati, vengono incarcerati e repressi (e possono testimoniare che nelle prigioni americane le torture commesse in Iraq sono all’ordine del giorno, alla fine è stato semplicemente esportato in Iraq il modello di carcere USA), e tramite le e-mail che inviano (anche a me) denunciano quello di cui sono a conoscenza; hanno denunciato la scuola di addestramento per i torturatori, hanno denunciato il fatto che a Falluja i cecchini USA sparavano sulle ambulanze, le ambulanze che cercavano di portare soccorso alle donne incinte che dovevano partorire. A bordo delle ambulanze c’erano infermieri e medici americani, che facevano vedere fuori dai finestrini i loro passaporti, ma i cecchini sparavano lo stesso su di loro, anche se sapevano che erano loro compatrioti, perché, come mi ha riferito un mio amico medico, dirigente del partito sunnita, chiesto ad un soldato perché avesse sparato contro l’ambulanza, questo ha risposto “for me is just a target”, è solo un bersaglio, i generali gli avevano dato ordine di sparare contro tutto e tutti.

Perché Falluja doveva essere punita come città che sosteneva la guerriglia; Falluja è una città martire, ha vissuto la stessa storia del ghetto di Varsavia. A Falluja gli ordini erano di tagliare prima l’acqua e l’elettricità, poi di scannare i civili. L’ospedale stesso fu chiuso, occupato dalle truppe americane, che arrestavano e portavano via tutti i feriti che arrivavano, perché se uno era ferito, dicevano, era di sicuro un guerrigliero e quindi andava catturato. E così per quindici giorni l’ospedale di Falluja non ha potuto funzionare.

L’Italia è complice di tutto questo: non è andata in Iraq per aiutare le ONG a portare soccorsi. Nessuna ONG è andata a lavorare dove c’era la presenza di militari italiani per non dare loro l’alibi di essere in Iraq.

Naturalmente sono conscio che i soldati, in genere, sono persone in buona fede che ritengono di essere lì per fare del loro meglio per aiutare la gente. Mettono pannelli solari, impiantano ambulatori veterinari per aiutare gli allevatori, costruiscono pozzi: sono persone normali che cercano di fare il loro dovere.

Il problema sono le regole d’ingaggio: se le regole ordinano che si deve fare una determinata cosa, allora i militari devono obbedire.

È stato dato l’ordine di liberare un ponte occupato dai guerriglieri: allora per liberare questo ponte i militari hanno sparato su chi c’era sopra, hanno sparato sui civili, hanno ucciso anche bambini. “Perché i guerriglieri avevano messo davanti i bambini”, hanno detto i comandi militari, “bisognava sparare per liberare il ponte e se c’erano i bambini era colpa dei guerriglieri”. Ora, quando si è visto che prima si ammazzano gli ostaggi e poi si vede di catturare i rapitori? Per quello che è successo a Falluja bisognerebbe fare un processo per crimini di guerra: perché è vero che i militari obbediscono agli ordini, ma qualcuno che dà gli ordini c’è, ed è lui il colpevole.

E questa è la conseguenza della follia militare, perché ogni esercito diventa criminale quando deve fare la guerra; l’abbiamo visto in tutte le guerre e da parte di tutti gli eserciti. Ho un amico che era militare e ha passato delle grane grosse per essersi rifiutato, in Africa, di obbedire ad ordini non scritti che gli dicevano di usare gli elettrodi per torturare i civili; ha preteso un ordine scritto che naturalmente non gli è stato dato, però l’hanno preso di mira e gli hanno reso la vita impossibile, poi è uscito dall’esercito.

Dicono che l’Italia è andata in Iraq ad aiutare i civili, ma gli aerei militari non possono essere usati per trasportare feriti civili, così come i feriti civili non possono essere curati negli ospedali militari.

Inoltre vediamo come si sono comportati i militari (anche italiani) in Iraq: io penso che un iracheno che ha visto l’occupatore entrare in casa sua con le armi; che lo ha legato a terra, spogliato ed umiliato davanti alle sue donne; che gli ha violentato le donne davanti agli occhi e poi lo ha portato via e gli ha distrutto la casa, quest’uomo odierà per sempre gli “occidentali”, gli americani e gli europei che gli hanno fatto questo.

Per questo è necessario che si vada via dall’Iraq, che si lasci la situazione in mano all’ONU: ma non la stessa ONU che ha votato l’embargo, un’ONU che ormai è del tutto delegittimata; dovrebbero invece essere mandati in Iraq soldati islamici di paesi non coinvolti, indonesiani, pachistani… oppure cinesi, russi, insomma coloro che erano contrari all’intervento armato USA.

Il ritiro delle truppe potrebbe essere l’unico atto che potrà fermare questa guerra, non sarebbe un atto vile, ma un atto di giustizia che potrebbe produrre un effetto a catena per far allontanare anche le altre truppe d’invasione.

Mi spiego meglio: se noi ce ne andiamo da Nassirya, costringiamo gli USA a coprire le postazioni lasciate sguarnite da noi, e così se tutti gli altri eserciti se ne vanno, lasciando soli Stati Uniti e Gran Bretagna, questi si troveranno con il problema di trovare altre truppe ed altri fondi da inviare in Iraq per mantenere il controllo del territorio, e forse questo provocherebbe una reazione contraria delle popolazioni, che potrebbe spingere i governi a decidere per una soluzione ONU accettabile. Dove per accettabile intendo dire che gli USA si troverebbero ad avere fatto tutto questo senza poter portare via neanche una tanica di benzina, quindi non credo sia una soluzione realizzabile facilmente.

Ma senza un nostro ritiro la guerra continuerà come guerra civile, la legge islamica prenderà il posto dello stato laico che noi abbiamo contribuito ad abbattere: sarà stato un pessimo stato laico, ma almeno era laico, e dove vigeva un certo ordine (prima della guerra una donna poteva tranquillamente girare da sola di notte a Baghdad senza dover temere di venire aggredita, cosa questa oggi inimmaginabile), dove venivano garantiti dei diritti sociali (le tessere annonarie che assicuravano alle famiglie il fabbisogno alimentare; l’ospedalizzazione; l’istruzione), mentre se al suo posto si insedierà un regime del tipo di quello iraniano, io ho già visto la preoccupazione delle donne irachene, medici e non, che temono uno sviluppo del genere che le vedrebbe chiuse in casa senza possibilità di continuare ad esercitare, lavorare, studiare, vivere.

In effetti per scongiurare il realizzarsi di uno stato islamico l’unica speranza che ho la ripongo nel voto delle donne irachene che, dopo aver vissuto libere per tutti questi anni, non accetterebbero supinamente di diventare come le donne iraniane o, peggio, le donne afgane. D’altra parte i partiti in lizza con possibilità di vittoria sono ambedue religiosi e c’è una forte religiosità anche negli strati più colti della società, per cui c’è la convinzione diffusa che “se Dio lo vuole” allora bisognerà seguire la legge islamica.

Le caratteristiche con cui la legge islamica verrà applicata, cioè se saranno ammesse fustigazioni, lapidazioni, burkha ed altro, le vedremo in seguito, e dipenderà soprattutto da come si comporterà il popolo iracheno. Ma sarà anche una responsabilità nostra, determinata dal nostro comportamento, passato e futuro.

Marino Andolina
da LA NUOVA ALABARDA C. Cernigoi, c.p. 57 - 34100 Trieste

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