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Il confine Siria-Turchia e la variabile curda

(17 Ottobre 2012)

Le mosse recenti dei curdi siriani non sono dettate da una scelta di campo nello scontro tra le varie parti in conflitto ma dalla volontà di perseguire l'obiettivo di autonomia.

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di Francesca La Bella

Roma, 17 ottobre 2012, Nena News - Le schermaglie di confine tra Siria e Turchia di questi ultimi giorni hanno riportato all'attenzione del vasto pubblico la questione curda. Ad oggi, infatti, il ruolo della regione settentrionale della Siria, a maggioranza curda, è tale da obbligare ad una analisi delle scelte di questa parte di popolazione per avere un quadro completo della situazione.

La zona corrispondente al Kurdistan siriano è l'area più piccola del territorio curdo suddiviso nel 1923 con il Trattato di Losanna tra Turchia, Armenia, Iran, Iraq e Siria. Benché l'evoluzione delle comunità nei singoli Paesi abbia seguito strade molto differenti, è interessante notare come un controllo statale pervasivo su questi territori sia stato un fattore comune a tutte le esperienze e come la gestione della questione abbia, da sempre, inciso sui rapporti di "buon vicinato" con gli altri Stati dell'area.

Alla luce di questo, diventa particolarmente significativa la scelta del governo di Bashar al-Assad di ritirarsi a luglio di quest'anno da buona parte dell'area settentrionale, lasciando mano libera al Consiglio Nazionale Siriano Curdo (CNSC) e al Partito Curdo di Unità Democratica (PCUD). Stupisce, però, scoprire che le due fazioni erano divise da insanabili differenze fino a pochi mesi fa. Se il PCUD, vicino al Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), teneva una posizione attendista ed è stato più volte accusato di connivenza con il regime in funzione anti-turca, il CNSC è stato a lungo su posizioni vicine a quelle del Consiglio Nazionale Siriano (CNS).

Solo con l'allontanamento da quest'ultimo, dettato dal mancato riconoscimento da parte del CNS dei diritti di nazionalità ai curdi, si è aperta la strada per un accordo tra le due fazioni, concluso ad Erbil (Iraq) il 12 luglio di quest'anno. Sotto gli auspici del presidente della regione autonoma curdo-irachena Masud Barzani, è stato, infatti, raggiunto un compromesso che prevede la collaborazione dei due gruppi nell'amministrazione del Kurdistan siriano al momento della caduta del governo.

Per quanto l'accordo prenda in considerazione l'allontanamento degli Al-Assad e nel Kurdistan iracheno i disertori dell'esercito regolare siriano vengano addestrati in vista della creazione di un nuovo ente autonomo curdo, non meraviglia leggere che l'alleanza tra i due gruppi e la successiva ritirata governativa dai territori curdi abbia profondamente turbato la vicina Turchia. Il timore del governo di Recep Tayyip Erdogan è che un Kurdistan siriano autonomo possa essere sia un esempio sia una base d'azione per i curdi turchi. Da una parte Ankara teme che in questo modo si rafforzi la legittimità internazionale delle richieste di autonomia dei 14 milioni di curdi presenti nel Paese, mentre dall'altra paventa la possibilità che le milizie del PKK possano trovare rifugio in territorio siriano grazie al vuoto di potere conseguente alla dipartita dell'autorità centrale.

Da questo punto vista, però, il precedente iracheno potrebbe determinare il comportamento della dirigenza turca. Dopo l'istituzione di una no-fly zone nel nord dell'Iraq durante la prima guerra del Golfo e la definitiva cacciata di Saddam Hussein nel 2003, la comunità curda ottenne un certo grado di autonomia sul proprio territorio. La Turchia, per scongiurare un effetto domino che avrebbe potuto portare i curdi dei due Paesi a richieste indipendentiste comuni, decise di implementare la propria presenza nell'area. Questo anche per limitare la capacità di azione dei militanti del PKK che, alla luce del nuovo contesto, avevano spostato la loro base d'azione sui monti Qandil, massiccio roccioso sul confine Iran-Iraq (50km a sud del confine con la Turchia). Gli investimenti economici nel Paese hanno veicolato un avvicinamento politico che ha portato ad un parziale isolamento dell'ala più radicale e la Turchia potrebbe provare a replicare questo modello in terra siriana.

Alcuni passi in questo senso sono già stati fatti. Se la possibile grazia ad Abdullah Ocalan, è solo una voce non confermata da fonti ufficiali, è, invece, provato che dopo 14 mesi di isolamento è stato concesso un colloquio tra il leader storico del PKK e suo fratello e che Erdogan si è detto disponibile a nuove aperture alle necessità curde.

La situazione è, però, ancora confusa e i due governi non possono essere sicuri di avere l'appoggio curdo in caso di conflitto aperto. Le scelte dei curdi non sembrano, infatti, dettate da una loro scelta di campo, ma dalla volontà di perseguire il proprio obiettivo di autonomia. Indipendentemente dagli avvicendamenti di potere, i curdi potrebbero, quindi, scegliere di sfruttare la situazione per affermare nuovamente la propria identità anziché prendere posizione a favore dell'uno o dell'altro contendente.

Nena News

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