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Desaparecidos & terrorismo di Stato: noi accusiamo

(17 Settembre 2004)

Il sequestro dei volontari del “Ponte per” aggiunge un ulteriore drammatico tassello all’escalation della sporca guerra in Iraq. Il Ponte è una delle organizzazioni non governative presenti in Iraq da più tempo. Si sempre adoperata contro l’embargo che ha decimato per più di un decennio la popolazione irachena, ha in campo da anni progetti di solidarietà, si è sempre schierata apertamente contro la guerra ed è stata il motore di numerosi convogli di aiuti umanitari diretti alle città irachene bombardate e assediate dalle truppe statunitensi e del governo fantoccio iracheno. Quest’ultimo ruolo sembra essere quello che ha portato prima il giornalista italiano Baldoni e poi le due Simone e i cooperanti iracheni del “Ponte per” nel mirino degli squadroni della morte.

Chi ha voluto colpire i testimoni scomodi dell’occupazione in Iraq?

Chi, dunque, ha guidato ed organizzato il commando che è penetrato direttamente e non casualmente nella sede del Ponte a Bagdad e ne ha sequestrato gli attivisti? Questo sequestro, come quelli appena precedenti del giornalista pacifista Baldoni – barbaramente ucciso insieme al suo interprete palestinese ma di cui ancora non è stato trovato né si sta cercando il cadavere – insieme a quello di due giornalisti francesi - cioè di un paese apertamente non belligerante in Iraq -sono sequestri diversi da quelli precedenti. Lo sono negli obiettivi e nella pratica.

Il modello operativo dei sequestri appare infatti più simile al modello degli squadroni della morte latinoamericani che conducono la guerra sporca al fianco di quella convenzionale condotta dagli eserciti. Il loro obiettivo è di fare la terra bruciata intorno alle ragioni della resistenza colpendo giornalisti, attivisti umanitari, schierati contro la guerra e testimoni scomodi. Queste cose non le insegnano nelle moschee ma nelle scuole antiguerriglia negli Stati Uniti. L’ambasciatore statunitense in Iraq, John Negroponte, è un’esperto della materia essendo stato il plenipotenziario statunitense in Centro-America negli anni ottanta, quelli dei desaparecidos, degli squadroni della morte, del genocidio in Guatemala, della repressione più feroce in Salvador e Honduras e del terrorismo di stato americano in Nicaragua. Lo stesso “premier” iracheno Allawi, è uno del mestiere essendo stato addestrato dalla CIA. In una intervista a Le Monde e al TG3, il capo degli ulema, Al Kubaysi, ha parlato esplicitamente di servizi segreti di un paese straniero come responsabili del sequestro dei volontari del “Ponte per”.

Perché hanno colpito i testimoni e i volontari italiani?

Una ricostruzione attenta del sequestro e della “morte” del giornalista Enzo Baldoni aiuta meglio a comprendere il perché siano stati colpiti i volontari del “Ponte per”. Baldoni e il suo collaboratore, il palestinese Ghareeb, erano stati tra gli organizzatori di quei convogli umanitari che in questi mesi hanno forzato gli assedi di Falluja e Najaf, portando acqua, viveri, medicine alle popolazioni assediate. Questi convogli sono nati spessi nella sede del “Ponte per” a Bagdad, diventata un punto di riferimento per tanti giornalisti, volontari, attivisti che cercano di documentare la vita quotidiana nell’Iraq occupato militarmente ma non certo normalizzato. Spesso devono forzare l’inattività della Croce Rossa Italiana che il commissario governativo Scelli sta privando della sua neutralità e credibilità facendone uno strumento collaterale e non indipendente delle forze militari di occupazione. Ma questi convogli umanitari alle città assediate non sono più tollerati dai comandi militari statunitensi. Il settimanale “Diario” del 9 settembre, basandosi sulle corrispondenze di Baldoni, riferisce la frase di un ufficiale americano “Noi vogliamo prenderli per fame e voi andate a portargli i viveri?”. Il collaboratore di Baldoni, il palestinese Ghareeb, era un organizzatore infaticabile di questi convogli e conosceva e collaborava con i volontari del “Ponte per” a Bagdad.

Dunque non era più tollerabile che giornalisti e attivisti italiani, il cui governo sostiene la guerra ed ha inviato migliaia di soldati ad occupare il sud dell’Iraq, potessero continuare a mettersi in mezzo con iniziative umanitarie che ridicolizzavano anche la Croce Rossa Italiana del commissario Scelli resa ormai collaterale alla politica del governo Berlusconi. Costoro avevano bisogno di una lezione, così come gli attivisti umanitari, i giornalisti ficcanaso o i religiosi troppo impegnati in Salvador, Guatemala, Nicaragua, Honduras. In realtà gli Stati Uniti stanno perdendo la loro guerra in Iraq e sono consapevoli che dovranno farne un vero e proprio mattatoio, per questo non vogliono testimoni.

Un sequestro anomalo e l’ombra del terrorismo di Stato

“Se volessero colpire noi, verrebbero a prenderci direttamente, tutti sanno che siamo qui”. Queste sono le parole, amaramente profetiche, che Simona Torretta aveva riferito ad un noto fotoreporter pochi giorni prima del sequestro e dopo che una bomba di mortaio aveva danneggiato la sede del “Ponte per” a Bagdad il due settembre scorso (riportato ne “Il Manifesto”, 8 settembre). Lo stesso fotoreporter riferisce di gente strana, occidentali, nepalesi, iracheni che si precipitano sul posto dopo l’esplosione. Il capo del consiglio degli Ulema, Al Kubaysi testimonia che Simona e Simona il giorno prima del sequestro erano andate da lui in cerca di protezione perché si sentivano minacciate. Da chi? Cinque giorni dopo, il 7 settembre, Simona Pari, Simona Torretta e due cooperanti iracheni Ra’ad Alì Abdul Aziz e Manhaz Bassam, venivano sequestrati e sparivano nell’inferno iracheno.

Il commando che attua il sequestro è diverso da tutti gli altri che hanno operato gli altri sequestri in mesi. Il sequestro è mirato. Hanno i nomi di chi devono portare via. Hanno divise ed armi in dotazione ai “contractors” (vedi la corrispondenza dell’inviato de“Il Messaggero” del 12 settembre), hanno grandi fuoristrada e colpiscono in una zona “protetta” dai militari americani a Bagdad dove hanno sede due ministeri, l’OMS e diverse organizzazioni umanitarie. Non si tratta dunque di un gruppo “islamico” di sequestratori arrangiato o improvvisato che ferma le macchine lungo le strade dell’Iraq e ne rapisce i passeggeri sperando di ottenere un riscatto. Si tratta invece di professionisti dell’antiguerriglia che hanno agito con sicurezza ostentata per terrorizzare giornalisti e volontari e mandare via tutti i testimoni scomodi. L’esodo delle ONG dall’Iraq, ne è la conferma.

Nessuna delle rivendicazioni arrivate è stata ritenuta credibile. In altri casi, vedi quello del giornalista statunitense Micah Garen, il sequestro era stato rivendicato e gestito pubblicamente dal movimento di Al Sadr (vedi “La Repubblica” del 23 agosto)

E’ un altro stile, un altro modello operativo ed ha un altro obiettivo: fare terra bruciata degli attivisti e dei testimoni scomodi sulla barbarie dell’occupazione militare statunitense, inglese e italiana dell’Iraq. Prende corpo un’altra ipotesi, prima sussurrata o denunciata da pochi ma che oggi sta venendo fuori con drammatica limpidezza anche nelle parole di Noam Chomski: il terrorismo di Stato. Saremmo dunque in presenza di quel modello di squadroni della morte già utilizzato il Centro-America e di cui l’ambasciatore USA a Bagdad, John Negroponte è un esperto.

E’ un po’ come fu la strage di Piazza Fontana in Italia: la versione di comodo (il terrorismo islamico) che perde pezzi mentre prende corpo la pista più credibile (il terrorismo di Stato da parte dei governi occupanti in Iraq e del governo fantoccio iracheno).

Il governo Berlusconi deve essere inchiodato alle sue responsabilità

Il governo Berlusconi porta già il fardello orribile di aver trascinato l’Italia nella guerra in Iraq. Lo ha fatto schierandosi prima con l’ingiustificata aggressione anglo-statunitense e poi inviando tremila soldati a partecipare all’occupazione militare del paese. Le denunce che continuano ad arrivare sulle malefatte del contingente militare italiano a Nassyria (le uccisioni di decine di civili nella battaglia dei ponti, le rivelazioni dei bersaglieri pubblicate da “Il Manifesto”, le ambulanze colpite come documentato dal giornalista americano Micah Garen) stanno togliendo qualsiasi alone di “missione di pace” a quella che è chiaramente una operazione di guerra. Questa condizione dell’Italia come “Stato belligerante ed occupante” in Iraq, espone il paese ai contraccolpi e alle conseguenze della guerra. Lo espone in Iraq dove ci sono i soldati (già ne sono morti più di venti e decine sono rimasti feriti) ma anche volontari o giornalisti italiani e lo espone qui in Italia alle ritorsioni che potrebbero assumere il carattere di attentati terroristici come avvenuto in Spagna.

Il governo Berlusconi si è già reso responsabile di una sospetta latitanza nel sequestro del giornalista Enzo Baldoni (per il quale poco o nulla sta facendo per recuperarne il cadavere, come denunciato dall’inviato del Corriere della Sera) ed ora lo è ancora di più per il sequestro di Simona Torretta e Simona Pari.

Il tentativo del governo Berlusconi di nascondersi dietro l’unità nazionale in nome alla lotta contro il terrorismo, è un orribile inganno che deve essere sventato, smantellato e rovesciato.

E’ decisamente ridicolo richiamarsi al “modello francese”, in cui tutto il paese si è stretto e mobilitato per chiedere il rilascio dei due giornalisti sequestrati. Lo è per due semplici motivi:

1) Il governo francese si è schierato contro la guerra e non ha inviato militari ad occupare l’Iraq, ha avviato colloqui con tutto il mondo arabo e non ha esitato a far sentire la sua voce critica anche verso gli Stati Uniti che hanno incentivato i bombardamenti a tappeto sulle città irachene;

2) Il governo francese, si è rifiutato di incontrare il “presidente” iracheno Gazi Al Jawar perché le ritiene responsabile dell’incolumità dei due giornalisti sequestrati. Al contrario Berlusconi e Ciampi hanno confermato la visita in Italia, hanno stretto la mano al presidente iracheno, hanno ribadito che non intendono ritirare le truppe dall’Iraq e continuano ad essere subalterni e omertosi verso gli Stati Uniti.

La sera stessa del sequestro dei volontari del “Ponte per”, il governo emanava un comunicato in cui forniva la versione di comodo: gli autori erano un imprecisato “gruppo islamico”. Eppure non c’era stata alcuna rivendicazione e le uniche indiscrezioni dicevano che il commando di sequestratori affermava di essere agli ordini del governo iracheno.

I partiti dell’opposizione (Centro-sinistra e PRC) hanno commesso scientemente un gravissimo errore accettando il tavolo dell’unità nazionale contro il terrorismo con il governo e abbassando il tiro sulla richiesta del ritiro immediato delle truppe dall’Iraq, cosa che invece non hanno fatto Verdi e PdCI pur presenti all'incontro con il governo. La copertura della lotta al terrorismo è anch’essa un orribile inganno che porta fuori strada le iniziative da prendere per ottenere la liberazione degli ostaggi e la fine della complicità dell’Italia con la guerra in Iraq. Se le dichiarazioni di Bertinotti sulle priorità dell’oggi hanno provocato discussione, polemiche e prese di distanza sacrosante nella sinistra e nel movimento contro la guerra, ben più gravi sono state le dichiarazioni di Violante al Corriere della Sera secondo cui “chiedere oggi il ritiro delle truppe sarebbe affiancare i terroristi”. La trappola c’è ed è ben evidente e ci porta direttamente ad arruolarci dentro la logica della guerra di civiltà. Non siamo affatto sicuri che i sostenitori di questa posizione avventurista non ne siano pienamente consapevoli, al contrario ci pare che si prestino ad un gioco ambiguo che attiene alle garanzie della governabilità di un prossimo governo di centro-sinistra. Le forze dell’opposizione, al contrario, potrebbero e dovrebbero incalzare il governo, inchiodarlo alle sue responsabilità ma non affidargli deleghe in bianco sulle trattative, chiedergli conto dei suoi alleati (e padroni) nella guerra in Iraq, avrebbero potuto chiedere l’annullamento della visita del presidente iracheno Al Jawar in Italia come ha fatto il governo francese o insistere sul ritiro delle truppe come ha fatto il governo spagnolo….ma non lo hanno fatto. Se la vicenda dei desaparecidos italiani in Iraq si concluderà felicemente come auspichiamo tutti…il merito sarà del governo che ha “coniugato la fermezza con l’unità nazionale”. Se si concluderà drammaticamente le responsabilità saranno tutte del “terrorismo islamico e dei movimenti pacifisti”. Se non è una trappola questa, che cosa lo è?

Guerra, terrorismo, resistenza: non facciamo confusione

Respingendo subito al mittente le improprie dichiarazioni di Casini (“Non voglio più sentir parlare di resistenza in Iraq”), è anche vero che nel movimento contro la guerra, si è affacciato in questi mesi un dibattito non concluso né arrivato a sintesi sulla resistenza. A renderlo pertinente ci hanno pensato proprio gli iracheni, prima ancora erano stati i palestinesi, ma il discorso si potrebbe e si dovrebbe allargare all’America Latina o all’Asia. La resistenza degli iracheni all’occupazione anglo-americana-italiana, è arrivata inaspettatamente, quando in molti avevano già arrotolato le bandiere ritenendo che la presa di Bagdad e la demolizione delle statue di Saddam Hussein avessero posto fine alla guerra. Questa svista è stata resa possibile anche dalla cancellazione della lotta di liberazione in Palestina dall’agenda politica di buona parte della sinistra italiana. Non è casuale il nesso tra il congelamento dell’iniziativa in solidarietà con la Palestina e la riflessione sulla “spirale guerra-terrorismo” e sulla nonviolenza avviata nel PRC ma anche nei movimenti.

Quella riflessione infatti non è partita tanto dal dibattito e dalle lacerazioni sulle Foibe ma dalla “Battaglia d’Algeri”, il noto e splendido film di Gillo Pontecorvo sulla lotta di liberazione in Algeria. L’attuale fase della resistenza palestinese infatti somiglia sempre più alla Battaglia d’Algeri e sempre meno alla prima Intifada (l’Intifada delle pietre). La stessa situazione in Israele si va configurando come possibile conflitto tra i coloni (i pied noirs francesi in Algeria) insieme ai partiti oltranzisti contro un governo che vorrebbe in qualche modo sganciarsi dalla costosa gestione del sistema coloniale (come fece De Grulle).

L’escalation della violenza in Palestina, soprattutto attraverso gli shaid (i “martiri” che da noi vengono definiti impropriamente kamikaze), ha polarizzato le posizioni anche dentro la sinistra e i movimenti in Europa. Da un lato si è collocato chi appiattisce questi attentati suicidi nella categoria del terrorismo, ponendoli sullo stesso piano degli attentati di Al Quaeda ed assumendo obiettivamente i criteri della propaganda israeliana; dall’altro chi ha continuato a rivendicare il diritto alla resistenza armata dei palestinesi contro l’occupazione coloniale e militare israeliana anche prendendo le distanze da alcuni attentati suicidi (quelli contro i civili in Israele). Questa seconda posizione, tra l’altro, è quella sostenuta dalle principali organizzazioni della sinistra palestinese (FPLP, FDLP).

L’irruzione in campo della resistenza irachena ha però reso gracile e fuori tempo la prima riflessione. La semplificazione ad una spirale tra guerra e terrorismo dello scontro tra democrazia e imperialismo, tra autodeterminazione e colonialismo e finanche agli effetti della rinnovata competizione intercapitalista, non ha tenuto conto dei numerosi fattori che sono entrati in scena.

Il carattere di massa della resistenza all’occupazione dell’Iraq è del tutto conforme a quella dei palestinesi o di altre situazioni analoghe in Asia o America Latina.

Anche in Iraq si sono susseguiti omicidi orribili, attentati suicidi o autobomba che in alcuni casi si attagliano alla categoria del terrorismo, ma in larghissima parte ci sono state e continuano ad esserci iniziative armate o di massa (vedi i movimenti dei disoccupati o delle donne) dirette contro le forze militari occupanti che rientrano nella categoria della resistenza. Confondere soggetti e progetti diversi in una unica categoria (il terrorismo islamico) è ingiusto e fuorviante.

Quindi è proprio la resistenza, soprattutto lì dove operano forze progressiste e non confessionali, il fattore capace di spezzare la spirale guerra-terrorismo su cui ci vorrebbe appiattire la logica dello scontro di civiltà ormai fatta propria dal governo Berlusconi e dall’Ulivo (che sta producendo un’ondata islamofobica assai pericolosa) ma anche la semplificazione diseducativa della spirale guerra-terrorismo con cui vengono impostati l’analisi e il dibattito dentro al movimento per la pace e nella sinistra antagonista.

La conferma che questa semplificazione sia decisamente fuori tempo, fuori luogo e sostanzialmente eurocentrista è venuta dal Forum Sociale Mondiale di Mumbay (che continua ad essere per questo rimosso dal dibattito).

In quel Forum è emerso nettamente come questa impostazione, vista dal Sud del mondo (da coloro che “ogni mattina si alzano dal lato sbagliato del capitalismo” come recitava uno striscione a Mumbay), sia ampiamente minoritaria e ininfluente, sia cioè una digressione totalmente eurocentrica del tutto inadeguata per offrire chiavi di lettura ed indicazioni utili ad un movimento globale che si sta ponendo concretamente il problema di cambiare i rapporti di proprietà a livello internazionale. Se per porre fine a questa divergenza si vuole buttare a mare la capacità di discernere tra le forze in campo o l’intero Novecento, si è liberi da farlo ma che ciò produca risultati positivi o innovativi nelle prospettive dei movimenti o della sinistra in Europa è già stato smentito dai fatti, ed i fatti, come è noto, hanno la testa dura.

La Rete dei comunisti

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