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(22 Marzo 2013) Enzo Apicella

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LA "GUERRA CONVENIENTE" dell'IS

(24 Marzo 2016)

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Lo svolgimento della “guerra” dei soldati dell'ISIS
si presta ad un utilizzo ideologico e a diversi usi concreti, da parte dei blocchi imperialisti continentali, degli stati nazione, di alcune borghesie arabe.

LA “GUERRA CONVENIENTE“ dell'ISIS.


Il luogo comune intorno al quale i “cittadini del mondo progredito occidentale” vengono raggruppati secondo modulazioni ed accenti diversi ma con un obiettivo unitario, è quello dell'”attacco ai nostri valori, alle nostre libertà, ai nostri diritti”.
Ne consegue l'assoluta urgenza nell'”abbandono di ogni interesse particolare e specifico (o magari di classe!)” per stare tutti sulla “stessa barca” dell'”interesse continentale e nazionale” Americano ed Europeo.
In sostanza dall'”esportazione della democrazia con le armi (….chirurgiche!) siamo passati alla “difesa della democrazia dalle armi (di distruzione di massa!), oltrechè del nostro sistema di “convivenza civile” tout court.
E così, un'America ed un'Europa che hanno partorito e partecipato a due guerre mondiali solo nel secolo passato (per non parlare del “normale” funzionamento profittuale del sistema capitalista nei due continenti o del sistema concentrazionario delle sue galere o della “convivenza” ridotta all'infernale lavora-consuma crepa o all'inquinamento assassino o al giro di vite su diritti e libertà dopo la grande crisi del 2008.....) diventano le universali “colombe della pace” attaccate dai barbari barbuti islamici.
E' un'ideologia pericolosa premiata da azioni crudeli e sanguinarie che spesso colpiscono a caso anche e soprattutto tra lavoratori inermi, e che rischia di attecchire e far proseliti anche dentro una “classe in se” lungi dall'essere “classe per se”.
Sotto il fuoco dei mitra dell'ISIS dovremmo unirci con i nostri sfruttatori autoctoni per difendere questa società, per molti versi prodromo alla nascita ed al proliferare di gruppi armati terroristi reazionari e fondamentalisti (basti pensare alla costante vendita di armi in medio oriente o alle varie “campagne umanitarie” di europei ed americani esportatori di “civiltà” in quelle zone nevralgiche del mondo).
Ovviamente questa ideologia “continentalista” fa il paio (e viene declinata) in salsa nazional-elettorale dall'euroscetticismo diffuso ed all'interno dell'attuale campagna presidenziale americana nella forma razzista e xenofoba piu' o meno estrema.
“Difesa dei valori” e “chiusura delle frontiere” se da un lato servono a creare un “nemico comune alla cittadinanza” dall'altro incidono sulla velocità di realizzazione del percorso di composizione continentale della U.E. che, al contrario, necessita (per ragioni demografiche e geoeconomiche) di forza lavoro migrante professionalizzata.
“Sicurezza e ordine” rispondono alle richieste securitarie di certa destra divenuta movimento reazionario di massa ma, nel contempo, rappresentano un rallentamento nel settore turistico, nello scambio commerciale e nella ripresa economica complessiva post-crisi.
In definitiva, blindature e difese identitarie sono l'attuale forma di risposta contraddittoria all'attacco terroristico che, oggettivamente (ma forse anche soggettivamente!) frena il passo alla possibilità di riequilibrio nei rapporti di forza tra occidente ed oriente sullo scacchiere mondiale.

L'utilizzo variabile della “guerra dell'ISIS” riguarda non solo l'ideologia dominante in occidente, ma anche la fotografia dell'attuale condizione di squilibrio tra potenze mondiali.
La ricerca di un nuovo equilibrio dopo la fine del vecchio equilibrio mondiale post'89 è frutto delle dinamiche complessive globalizzatrici e della plametizzazione capitalista, dello spostamento del baricentro economico, energetico e geopolitico ad est, ed è al centro dell'impegno non solo dei blocchi continentali imperialisti in concorrenza, ma anche di un numero crescente di medie potenze d'area, non ultime quelle medioorientali finanziatrici ed organizzatrici lo “stato islamico”.

Mentre l'America cosciente del suo relativo indebolimento unisce “parziali ritiri” a una “prudenza strategica”, l'Europa cerca di utilizzare gli attentati per centralizzare i suoi apparati di sicurezza rendendo unitaria l'intera catena di comando di intelligence politico militare.
Si cerca cioè di sfruttare morti e feriti per far fare un salto in avanti al processo di centralizzazione militare europea, utilizzabile su “fronti esterni” ma, in prospettiva, pronto a possibili (ma purtroppo improbabili per ora!) “fronti interni” di carattere insurrezionale o rivoluzionario.
I padroni europei cercano di prendere tre o quattro piccioni con una fava: da una parte coinvolgono i “loro” cittadini nella difesa della “loro civiltà”, dall'altra tendenzialmente unificano l'esercito europeo, pronto ad agire su scacchieri internazionali di riequilibrio imperialista e di sfruttamento di risorse, o, se necessario, su moduli interni contro disfattisti ed internazionalisti.
Dal canto loro, le borghesie arabe orfane di molti stati frantumati dalle guerre occidentali cercano un loro spazio (anche utilizzando lo “stato islamico”) al tavolo spartitorio mondiale ben coscienti della forza oggettiva delle proprie risorse energetiche e della collocazione strategica del proprio crocicchio medioorientale.

Su tutto incombe, strisciante, quella “guerra mondiale per pezzi” profeticamente definita dal Vaticano che, distillata con forze variabili dalle potenze occidentali in mediooriente, altro non è che una gigantesca esercitazione di guerra mondiale di nervi e di forze giocata ancora per procura su corpi non occidentali, ma utile a prefigurare possibili nuovi rapporti di forza ed equilibri per il futuro.

Dal punto di vista di classe, oltre a verificare ancora una volta l'inconsistenza se non l'inesistenza di una terza via e di una terza forza proletaria contrapposta alla guerra dei padroni e a quella dei fondamentalisti servi dei padroni, ci da il senso dell'enorme sproporzione di forze tra i lavoratori ed i propri sfruttatori.
Si tratta quasi di ricominciare da zero, in tutti i paesi del mondo, avendo contro tra l'altro una “capacità attrattiva”, anche in occidente, di chi “si ammazza per ammazzare” dove, fino a qualche decennio fa la lotta (anche armata!) per un'altra società era di tutt'altro segno e colore.

Nonostante tutto, però, non ci si può abbandonare al mugugno impotente o alla rassegnazione.
Dalla nostra abbiamo un impetuso sviluppo mondiale capitalistico che, insieme alle sue contraddizioni, sta facendo crescere anche un gigantesco proletariato unificato nella condizione materiale di vita e di lavoro, contaminato migratoriamente, e concentrato nelle metropoli del mondo.
Il proletariato mondiale è una “miscela esplosiva” che già sta contrattando soprattutto ad est nuove e migliori condizioni di esistenza, ma è ancora sprovvisto di una prospettiva indipendente che sappia fare a meno dello sfruttamento, delle guerre, e del sitema economico che li produce.
E' una prospettiva che sta dentro il movimento reale delle cose, quindi certa, cui non si può dare una scadenza temporale, ma alla quale bisogna pur cominciare a lavorare ovunque possibile, collegando i lavoratori piu' coscienti alla teoria che spieghi loro il mondo, alla strategia per un'azione coordinata ed internazionalista, all'organizzazione autonoma per colpire nelle prossime, sicure, nuovi e più forti contraddizioni di sistema.

Pino ferroviere

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