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SUDAN: CROCEVIA DI INTERESSI IMPERIALISTICI

(27 Gennaio 2018)

Dal n. 61 di "Alternativa di Classe"

sudan collocazione più attuale

Il Sudan sta vivendo una sempre maggiore crisi, sia dentro che fuori confine. Sul lato interno, dopo anni sotto una dittatura, che ha puntato tutto su corruzione e corsa agli armamenti, le casse dello Stato non sono più state in grado di sostenere la fragile economia del paese.
Nei primi giorni del 2018 sono entrate in vigore una serie di leggi che, prevedendo l’aumento del costo dei beni di prima necessità e dell’energia, stanno avendo un impatto devastante sulla stabilità economica; basti pensare che il solo aumento della corrente elettrica potrebbe causare il fallimento di oltre 100 fabbriche ed il licenziamento di 10mila operai. A seguito delle nuove norme, inoltre, il costo della farina, del pane e del mais ha subito una notevole impennata, ed in un Paese, dove il 46% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e dove, nel 2009, il 32% dei bambini soffrivano di malnutrizione cronica, migliaia di persone sono scese in piazza.
Da Venerdì 5 Gennaio si stanno svolgendo in tutto il Paese manifestazioni e proteste, oltre che contro l’aumento del costo della vita, per chiedere una via di uscita dalla crisi, nuove elezioni e una nuova costituzione. Le manifestazioni stanno venendo duramente represse, con cariche, lacrimogeni, arresti ed, in alcune zone, colpi di fucile; ad oggi si contano tre morti, alcune abitazioni e due scuole distrutte dai mezzi pesanti delle forze armate. All’alba di Lunedì 8, quando già si contavano decine di feriti gravi e centinaia di arresti, sono stati arrestati anche alcuni dei leader politici dell’opposizione e sono stati sequestrati i sei giornali che hanno violato il silenzio stampa sulle proteste e sugli aumenti dei prezzi.
Sul fronte estero la situazione è sempre più instabile: per garantirsi armi e potere, il governo sfrutta la posizione strategica dei suoi territori per negoziare accordi con chiunque. Lo sbocco sul Mar Rosso rende il Sudan un punto di interesse militare per gli equilibri in Medio Oriente; se dal 2008 era stato l’Iran ad avere un accordo per l’utilizzo di Port Sudan come base logistica e navale, dal 2014, a seguito della “donazione” di oltre 2 miliardi di dollari da parte di Qatar e Arabia Saudita e tre bombardamenti eseguiti dagli israeliani sulla base stessa, le concessioni sono passate all’altro fronte della guerra in Yemen, anche se il governo è politicamente avverso ad entrambe le fazioni.
Il pezzo di deserto confinante con la Libia lo rende un punto di interesse economico e militare anche per il resto del mondo; se fino a pochi anni fa il Sudan aveva preferito come partners commerciali russi e cinesi, ora, nonostante interessi strategici diversi da entrambi i blocchi, ha sfruttato l’instabilità del nordafrica per trattare la fine degli embarghi europeo e statunitense (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno V n. 58 a pag. 4), per poi sfruttare lo stesso accordo con gli americani e ricavare condizioni più favorevoli nei rapporti con i russi. Negli ultimi anni l’esercito sudanese non ha mostrato molta capacità strategica, e, anche per dare un segnale politico a seguito dell’inasprirsi dei rapporti con l’Egitto, Al Bashir ed Erdogan, entrambi sostenitori internazionali dei Fratelli musulmani, hanno firmato un accordo che prevede che l’esercito turco possa utilizzare la zona costiera al confine con l’Egitto.
La posizione sul Nilo a monte dell'Egitto, infine, lo rende strategico per i nuovi sviluppi economici nel Corno D’Africa: l’Etiopia, con la collaborazione del Gruppo italiano Salini-Impregilo, sta costruendo un altro impianto idroelettrico nella zona (il “Grand Ethiopian Renaissance Dam Project” - Gerd), il quarto in ordine di numero, ma ancora più importante della Diga di Assuan in Egitto. La costruzione del terzo impianto in zona, il Gibe 3, causò un numero imprecisato di morti, spariti nel nulla dopo essersi opposti all’opera, e 500mila sfollati; inoltre ha talmente ridotto il flusso del Fiume Omo, da causare danni alla flora ed alla fauna di tutta la valle e del parco naturale attorno al lago Turana nel nord del Kenia. Adesso, con la quarta diga, si prevede una compromissione del flusso del Nilo tale da impedire il funzionamento delle centrali elettriche egiziane e da interrompere le piene stagionali; sebbene il governo eritreo lo spacci per una vittoria, il rischio è che molti terreni in Sudan ed Egitto diventino aridi, e che milioni di persone rimangano senza accesso a cibo ed acqua.
Appellandosi ad un vecchio accordo internazionale del 1959, l’Egitto ha reclamato il diritto all’usufrutto del 55,5% dell’acqua, ed ha chiesto che venissero fatti dei rilevamenti ufficiali sull’impatto dell’opera; gli organi internazionali hanno accettato la richiesta ma, una volta saputo che il responso ufficiale arriverà mesi dopo la prevista fine dei lavori, secondo alcune fonti locali l’Egitto avrebbe inviato armi ai gruppi etnici eritrei storicamente in guerra con i promotori della diga. Nel frattempo il governo sudanese, che dalla scissione del sud ha perso quasi il 70% della produzione di energia, ha firmato un accordo per l’importazione dell’elettricità etiope ed ha inviato l’esercito al confine con l’Eritrea per evitare che i ribelli sudanesi, alleati con Al Sisi, decidano di attaccare anche da quel confine, accerchiando la capitale. Nel contempo, proprio Lunedì 15 Al Sisi ha avviato al Cairo un meeting di tre giorni con il premier etiope H. Desalegn.
Mentre continua lo scontro sociale in Sudan, dove Martedì 16 sono avvenuti nuovi scontri dei manifestanti con la polizia, durante i quali sarebbero stati arrestati una quarantina di persone, tra cui diversi leader dell'opposizione e, pare, anche qualche giornalista della BBC a causa del silenzio-stampa che il Governo di Al Bashiri vuole imporre a tutti i costi. Secondo fonti eritree, i turchi sarebbero già presenti in zona, e, a partire da una base in Somalia, si starebbero avvicinando al confine con l'Egitto. D'altro canto, mentre le autorità sudanesi riferiscono di movimenti di truppe eritree al confine, l'Arabia Saudita avrebbe occupato, con il permesso dell'Egitto dei territori di confine con il Sudan, contesi da più di un secolo, ed il Governo sudanese parla già di invasione...
La situazione è in rapida evoluzione in questa metà di Gennaio, mentre si vanno profilando due opposti schieramenti, che si fronteggiano: da un lato, con il Sudan, i governi di Etiopia, Somalia, Turchia, Qatar ed Iran, e dall'altro, con l'Egitto, i governi di Eritrea, Emirati Arabi, Arabia Saudita. La situazione sociale è esplosiva, e sarebbe importante che gli oppressi di entrambi gli schieramenti trovassero livelli di unità di intenti, visto anche che tutto sembra andare in direzione dello scoppio di una guerra, pur se locale, con premesse di rilievo per gli interessi imperialistici, e di cui farebbero le spese, prima di tutto, i proletari e le masse povere dei Paesi del Nord-est e del Corno d'Africa.
Nella contesa, non certo ultimi, vi sono i profitti di un gruppo imprenditoriale, che, con una forte presenza dei ben noti Caltagirone, certamente non vedrà indifferente l'imperialismo di casa nostra!... Per i comunisti, a quel punto, internazionalismo dovrebbe diventare una pratica di lotta e solidarietà concreta con i proletari e gli oppressi arabi ed africani.

Alternativa di Classe

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