">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Comunisti e organizzazione    (Visualizza la Mappa del sito )

LA IRRIMEDIABILE CRISI DEL RIFORMISMO

(19 Novembre 2019)

Editoriale del n. 83 di "Alternativa di Classe

Rosa L

Rosa Luxemburg

La socialdemocrazia in Italia è morta. Se cerchiamo una data, è quella del 1991, con lo scioglimento del vecchio PCI. E' necessario che tutte le gradazioni di nostalgici, da quelli del periodo stalinista ortodosso a quelli del periodo “eurocomunista”, elaborino “il lutto” e se ne facciano finalmente una ragione, senza provare periodicamente a riesumarlo...
Il destino del vecchio PCI era già tutto scritto nella lucida analisi del “liquidatore” del riformismo italiano, Enrico Berlinguer, l'antesignano della “politica dei sacrifici”. In epoca di marcescenza del sistema economico, infatti, di CRISI, com'è quella attuale, di restringimento delle possibilità di sviluppo e di aspra concorrenza fra i capitali, non c'è più ricchezza da dividere. Si possono, semmai, dividere i SACRIFICI, e il massimo cui il proletariato può aspirare, restando all'interno dei rapporti sociali dati, è il contenimento dei danni: pagare il meno possibile, contando sulla buona volontà e sulla disponibilità "democratica" del proprio carnefice.
Il capitale, per sua natura, non può essere giusto, né riformatore. Non esiste nel suo ambito di vita un “equo compenso” per chi lavora e produce plusvalore. Non può nemmeno accettare "compromessi" stabili, se non vuole finire travolto dalla concorrenza di "altro" capitale, più agguerrito e spregiudicato. Le “riforme”, all'epoca cui qui ci riferiamo, mantenevano una accezione positiva nell'immaginario collettivo degli oppressi, dato che i loro contenuti erano il prodotto di una mediazione con gli interessi della classe operaia che, indipendentemente dal fatto che la guidassero forze borghesi, oggettivamente spingeva, seppure attraverso semplici rivendicazioni di migliori condizioni, verso la propria liberazione. Le riforme erano, cioè, un “sottoprodotto” della lotta di classe.
In realtà la socialdemocrazia poteva arrivare al massimo allo stato sociale, che si prendeva cura dei suoi cittadini, la casa popolare, la sanità gratis, la scuola per tutti. Era la "GENEROSITÁ" della borghesia nella fase espansiva seguita al secondo dopoguerra e, nello stesso tempo, il PREZZO da pagare per contenere la spinta di un proletariato che, pur in ritirata, non aveva del tutto perso la sua combattiva voglia di emancipazione.
Sul piano internazionale, la socialdemocrazia era anche il modo con cui si combatteva la contesa fra i due blocchi, quello del capitalismo liberista (con robusti innesti di statalismo) e quello del capitalismo statalista (con, sempre meno timidi, innesti di liberismo). Quel "socialismo" reale che funzionava seguendo gli stessi meccanismi economici del capitalismo reale, perfettamente integrato nel mercato mondiale, in concorrenza per la conquista di sempre nuove fonti di energia e risorse e nuove aree di influenza da sottomettere.
Al proletariato, ai produttori della ricchezza, alla forza-lavoro, sottomessa al capitale a est come a ovest, rimanevano le briciole. E su quelle briciole, non certo sullo scontro di classe fra la borghesia in ascesa e il proletariato rivoluzionario, si combatteva. Una guerra, la cui posta in gioco era la conquista del consenso delle classi subordinate del "mondo libero" e del mondo "da liberare", come erano definiti in Occidente. La gara a quale sistema sociale era più prodigo nei confronti delle classi che non detenevano né il potere economico, né quello politico.
La sinistra riformista era questo. Il realismo delle piccole conquiste, dei piccoli passi, contro "l'utopia" del grande balzo nel vuoto. La promessa di un lento, ma SICURO, processo di sviluppo che avrebbe portato a un sempre più diffuso benessere. La sua ideologia, diffusa a piene mani, era questa, e, nelle condizioni allora date, aveva anche una certa credibilità...
Certo le "conquiste" venivano centellinate col contagocce, spesso comportavano sforzi enormi e prezzi salati da pagare per i proletari in carne ed ossa, dato che il padrone mai ti regala niente. Ma c'erano. E il riformista, soddisfatto, poteva raccontare ai suoi "clienti" fidelizzati che dalla sua parte stava la concretezza contro le "utopie" rivoluzionarie, la politica "seria" contro le fanfaluche dei sovversivi. L'ordine DEMOCRATICO contro il disordine e la violenza della lotta di classe.
A chi ha pieno il portafoglio essere generosi non costa, poi, praticamente nulla. E anche al proletariato, irretito nella trappola riformista, non costava granché essere generoso verso i fratelli "meno fortunati". In fondo era solo un problema di tempo. L'ascensore sociale, seppure fra inciampi e lentezze, dava ancora l'apparenza di funzionare, e nel futuro di ognuno ci stava una PROMESSA di miglioramento.
I giovani avrebbero vissuto “meglio dei loro vecchi, così come i loro genitori vivevano meglio dei loro nonni”. Poteva funzionare, e ha funzionato fin quando c'era "trippa per gatti". Fin quando era possibile utilizzare quel surplus economico, a volte perfino inventato ipotecando il futuro, che, più che nella realtà dell'analisi economica, andava ricercato nella FIDUCIA nella presunta capacità del sistema capitalistico di illimitato sviluppo e illimitato progresso. Gratta gratta, coscientemente o meno, era questa la base ideologica dei riformisti!...
La critica marxista dell'economia ci insegna, invece, che non poteva durare a lungo. Né poteva superare gli angusti confini delle cittadelle del capitale, ricche sulla povertà del resto del pianeta. Ma la sinistra riformista vinceva perché parlava alla pancia degli sfruttati, e quella pancia la riusciva a riempire senza troppo intaccare i portafogli degli sfruttatori. Non che non si usasse il bastone assieme alla carota. Ma la carota aveva la consistenza materiale di merce utilizzabile e "afferrabile", capace di cambiare, nell'immediato, la vita reale delle persone.
La CRISI, le crisi che si susseguivano e si susseguono con sempre più veloce frequenza, hanno segnato definitivamente la fine di ogni utopica, quella sì, visione riformista. E per il riformista è stata una TRAGEDIA. Era nato per impedire e/o almeno frenare lo scontro fra le classi, per moderare il conflitto, per produrre un cambiamento "concreto", alle condizioni di vita del proletariato. Per convincere le classi subordinate che l'unica loro possibilità di cambiamento era dentro, e non al di là degli steccati imposti dalle leggi del capitale. Per CONCERTARE con chi, ormai, non ha più né voglia, né possibilità di concertare null'altro che la miseria di sempre più ampie fasce della popolazione.
Travolto, il riformismo, dal movimento reale delle forze che immaginava di poter controllare, sconfitto, non dal movimento di classe, che aveva combattuto per tutta la sua non breve esistenza, bensì dalla IMPOSSIBILITÁ a sostenere un ruolo ormai fuori dalle condizioni storiche mutate. Costretto a riempire la pancia delle sue truppe con chiacchiere vuote e "ideali", non più supportati da un progetto politico credibile, capace di mobilitare quelle truppe a difesa delle loro generali condizioni di vita.
Continua a fare riferimento a ideali, valori, "diritti", che, alle classi sfruttate e devastate dalla crisi, appaiono solo come una beffa amara. Sono LUSSI per chi non è nelle condizioni economiche di poterne usufruire. Lussi per la borghesia di sinistra, che continua a danzare mentre il Titanic affonda e i suoi viaggiatori di terza e quarta classe sono lasciati affondare alla mercé delle razzie corsare di destra e qualunquismo.
Che tutti i riformisti superstiti, anche se vestiti di “nuovo” o adottati dal neo-liberalismo, elaborino questo lutto e che la smettano di frignare ad ogni loro sconfitta (elettorale) annunciata, come quella recente in Umbria!... Fra chi ignora e/o rifiuta la realtà dello scontro di classe e chi, invece, la lotta di classe la conduce, pure se dall'altra parte della barricata, alla lunga vincono sempre i secondi. ...Anche se magari sono puttanieri, ladri, lazzaroni e farabutti.
L'area del riformismo politico si assottiglia sempre più, senza rassegnarsi alla definitiva uscita di scena, già certificata anche dalla storica débâcle del 2008 [vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno V n. 52 a pag. 2], quando, non a caso in concomitanza con il primo manifestarsi dell'ultima lunga crisi internazionale del capitalismo, ogni sinistra fallì la propria riconferma in parlamento. Ed oggi non è che quello il loro agognato obiettivo e la stessa ragion d'essere...
Solo le destre, per evidenti motivi di propaganda, continuano a definire “giallorosso” il governo attuale, quando ormai tutti si rendono conto che di rosso non c'è proprio niente, ma anzi risulta difficile capire su quali terreni si muove meno pesantemente e su quali, invece, magari è ancora più ostile, nei confronti dei proletari, rispetto al centro-destra in ascesa.
Sempre più persone, soprattutto giovani, si stanno accorgendo dei disastri ambientali e sociali in corso o incombenti. Disastri, il cui sbocco, in prospettiva, non può che essere la guerra imperialista per il controllo delle risorse, oltre che del suolo, anche dell'acqua da bere e della stessa aria da respirare; sarebbe, di fatto, quella “barbarie” che citava R. Luxemburg più di cento anni fa come possibile alternativa al socialismo.
Organizzarsi oggi per il comunismo, cioè per l'affermazione internazionale degli interessi della classe sfruttata, che ponga fine al sistema che produce lo stesso sfruttamento di uomo e natura, è l'unica alternativa a quella barbarie cui anche K. Marx più di 170 anni fa faceva riferimento nel “Manifesto”, quando parlava di “comune rovina delle classi in lotta”...

Alternativa di Classe

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie del dossier «Dopo il fallimento della sinistra governista. Quali prospettive per i comunisti?»

Ultime notizie dell'autore «Circolo Alternativa di classe (SP)»

6178